Kate Williams
IL PIACERE
DEGLI UOMINI
Traduzione di Mariagiulia Castagnone
I malati... quanto più pensano alle cose dolorose che a quelle piacevoli. I fantasmi delle pene che li tormentano infestano i loro letti. FLORENCE NIGHTINGALE, Cenni sull’assistenza ai malati
Londra, luglio 1840
La notte arriva tardi al mercato di Spitalfields, oltrepassando il fosso sul retro utilizzato dai commercianti per gettarvi gli scarti delle verdure e le ceste sfasciate. I venditori impacchettano le mele e i cavoli, raccolgono i pezzi di carne, le ostriche e i sacchi contenenti il pesce, le pentole ammaccate e i vestiti a buon mercato, tracannano l’ultimo fondo di birra e poi, sostenendosi l’un l’altro, intraprendono il breve percorso che li separa dalle luci del negozio di liquori di Lely, all’angolo. Io resto dietro, vicino al fosso, a guardare la massa luccicante di vermi che striscia fuori dai resti della carne.
I primi che si precipitano ad arraffare i rifiuti sono gli uomini più giovani, soldati in congedo che si arrampicano a quattro zampe lungo le pareti del fosso. Poi le donne, con i figli piccoli aggrappati al petto, che strappano le teste delle trote e dei galletti e spolpano le ossa dei maiali. A questi seguono orde di bambini catarrosi, che mordono gli avanzi delle carote e i germogli delle patate, leccando vecchie scatole e sfregando i piedi negli ultimi residui del sangue colato dalla carne. E quando tutti se ne sono andati, ecco che arriva la vecchia, con un ghigno che le scopre i denti guasti, i seni inerti che ricadono come sudicie lune. Gira attorno al mucchio di rifiuti e ride, scuotendosi tutta.
All’inizio, quando comincia a urlare, nessuno la sente tranne me. Non i marinai che se ne stanno fuori dal negozio di liquori a parlare di soldi o di ragazze, né le donne vestite con abiti rossi e scialli leggeri che aspettano agli angoli delle strade, né i bambini che hanno appena terminato la loro razzia e litigano in un angolo del mercato cercando di strapparsi il bottino a vicenda. A un tratto la vecchia inizia a gridare, un suono ininterrotto che si riverbera sui muri diffondendosi come un’eco. I bambini alzano gli occhi e anche le donne lo sentono, i marinai posano le bottiglie e subito dopo arrivano uomini dall’aria importante, responsabile, con lunghi cappotti neri e non un capello fuori posto, uomini che di solito non si curano affatto di chi lavora nel mercato né di chi razzola in mezzo agli avanzi. Guardano quella povera pazza che si rotola nel sangue e pensano che sia lei la moribonda.
Poi scorgono il fagotto alle sue spalle. È una ragazza, il vestito azzurro strappato in tante strisce che le si avvolgono attorno alle gambe. È stata colpita da una ventina di coltellate, si direbbe, con un accanimento che le ha ridotto la pelle in frammenti simili a piume adagiate sulla carne viva che si sta già scurendo. Le braccia e le gambe sono ripiegate all’indietro, cosicché le si vede solo il torso, e le trecce bionde le sono state ficcate in bocca. Dai capelli pendono un nastro azzurro e un pettine decorato. Sul petto, l’assassino le ha inciso una stella. Sporgendosi, gli uomini vedono una moneta da un penny posata sulla convessità ancora calda del cuore.
Abigail Greengrass esce da Davis, il negozio di modista, scuotendo la gonna spessa, poi batte il tessuto di lana come se, così facendo, potesse scacciare le brutture della giornata appena trascorsa. La porta sbatte alle sue spalle, ma lei non se ne cura. Odia la signora Davis e quelle smorfiose delle sue ragazze. Mentre si dirige verso Long Acre, l’umidità dell’acciottolato penetra attraverso le suole dei suoi stivali. Quattro muratori, in piedi davanti al negozio del panettiere, le rivolgono dei fischi ammirati a cui lei, nonostante la stanchezza, risponde gettando la testa all’indietro e rivolgendo un mezzo sorriso al giovane bruno che se ne sta davanti agli altri. Poi raggiunge Long Acre e la folla che si sta dirigendo verso casa, e la giornata le torna in mente: la schiena le fa male tanto è rimasta curva, l’occhio sinistro le pulsa e la pelle sotto un’unghia è trafitta da un dolore lancinante dove la signora Davis l’ha punta con l’ago, sicuramente di proposito.
Quella vecchia strega. Nel corso delle ultime due settimane l’ha costretta a occuparsi di fodere e di rammendi, il che ha significato starsene seduta tutto il tempo nel retrobottega. Eppure lei se la cava benissimo anche nel merletto e nel ricamo, molto meglio di quella presuntuosa di Emily Warren, che è la cocca della signora Davis grazie ai folti capelli biondo dorato che piacciono tanto agli uomini e a quel visetto scialbo che non fa ingelosire le signore.
Abigail oltrepassa i negozi risplendenti di luci senza vedere niente, né le bottiglie di vetro dalla forma arrotondata, blu, verdi e rosse, che ha osservato mille volte nella vetrina del farmacista, né i cumuli di mele e pere ammonticchiate sulla bancarella vicina alla cartoleria. Ignora il ragazzo che vende i giornali, che annuncia a voce spiegata l’ultimo scandalo sulle dame di compagnia della regina, e il lustrascarpe, con le unghie annerite in modo indelebile. Persino le tortine alla crema che tremolano dietro il vetro appannato della pasticceria, cosparse di un firmamento di uva passa, la lasciano indifferente. L’unica cosa che le interessa sono i pensieri che le affollano la mente.
Mentre percorre Kingsway, diretta a High Holborn, non riesce a pensare ad altro che alla signora Davis. Le screpolature sui talloni sfregano contro le calze, ma lei prosegue imperturbabile. Non le dispiace quella sensazione di ruvidezza e il calore che procura, prima che le lesioni si aprano e comincino a farle male. Abigail attraversa la strada verso St Paul e prosegue lungo London Wall. Sollevando la gonna pesante per evitare una pozzanghera, svolta in Bishopsgate e raggiunge Shoreditch High Street, rimuginando su quello che le ha detto Lily, la commessa, e cioè che un cliente aveva chiesto espressamente di lei, Abigail, ma la signora Davis gli aveva risposto che era a casa malata, proponendogli di farlo servire da Emily. Pensa che un giorno anche lei avrà un negozio tutto suo, e quando la signora Davis ed Emily verranno a implorarla di assumerle lei si limiterà a dare loro dei lavoretti di cucito da fare a casa. “Mi dispiace, ma è tutto quello che posso fare” dirà. “Ho già dell’ottimo personale.” Con gli occhi della fantasia, si figura vetrine piene di cappelli e panche su cui siedono ordinatamente le ragazze che lavorano per lei: “Abigail Greengrass. Modisteria di eccellenza”.
Si sfiora i capelli, poi la morbida seta azzurra del nastro. L’uomo era venuto un giorno con una signora (e che signora, aveva commentato Lily) per scegliere un cappello, poi era tornato un’ora dopo dicendo che, se la ragazza con gli occhi nocciola avesse accettato un nastro di qualsiasi tipo tra quelli che c’erano in negozio, sarebbe stato felice di aggiungerne il costo al suo conto. La signora Davis non c’era, così lei era uscita dal retrobottega. Le sopracciglia dell’uomo si assottigliavano alle estremità e lei aveva provato la tentazione di alzare una mano e lisciarle. Mentre lo ringraziava, Lily le aveva dato un colpetto di gomito e lei si era domandata se quello che era appena successo non fosse l’inizio della sua rovina. L’uomo sarebbe tornato e l’avrebbe convinta ad andare con lui a teatro, dove lei avrebbe indossato un cappello con dei grandi fiori e tutti avrebbero pensato che era una donna perduta. Aveva scelto un nastro azzurro e aveva aspettato, ma l’uomo non si era fatto più vedere e aveva mandato un cameriere a ritirare il suo cappello. “Gli uomini sono proprio indecifrabili” aveva commentato Lily, usando un aggettivo che piaceva a entrambe. Eppure, nonostante fossero passati mesi, Abigail continuava a chiedersi cosa fosse successo. Be’, quando si fosse deciso a comparire sarebbe stato troppo tardi, lei avrebbe avuto il suo negozio e, chissà, forse sarebbe stata già sposata. La ragazza dagli occhi nocciola. E da ieri aveva anche un pettine ornato di piume che aveva trovato per strada, vicino alla chiesa di St Magnus martire.
Gira in Boundary Street. Le luci dei lampioni a gas si fanno più tenui e la strada più buia, ma lei non se ne accorge nemmeno, persa com’è nei suoi pensieri.
Alle sue spalle sente un rumore di passi affrettati.
Guarda davanti a sé, la via è vuota. Si vede solo il riflesso della luna sul selciato. Le fantasie sulla signora Davis ed Emily Warren spariscono per lasciare il posto alla realtà che la circonda.
Ancora i passi, e poi il sibilo lieve di un respiro. Continuando a camminare, Abigail si dice che non è nulla. Quante volte ha pensato che qualcuno alle sue spalle fosse troppo vicino, per poi scoprire che quella vicinanza era del tutto casuale. Sente un colpo di tosse e i tacchi che risuonano sul selciato. Accelera l’andatura, ma chi la segue fa lo stesso.
Mio Dio, aiutami.
Ha deciso di non girarsi. Se lo facesse, sarebbe come riconoscere che chi le sta alle spalle esiste davvero, mentre se continua a camminare fingendo che non ci sia nessuno, l’inseguitore svanirà come neve al sole e lei sarà salva. Presto comparirà qualcuno, si dice, un uomo che torna dal lavoro con il suo fagotto, una donna vestita di stracci in compagnia di due bambini urlanti, e lei si avvicinerà a loro con un sorriso, poi li affiancherà e proseguirà verso casa scegliendo un percorso illuminato.
Continua a camminare, e così anche chi è alle sue spalle.
Sta’ calma, si dice. Manca poco per arrivare a casa. Non parla con Dio da quando era bambina e sua madre stava morendo. Ora lo supplica. Fammi tornare a casa e non ti trascurerò più. Andrò in chiesa ogni domenica. Farò in modo che Joseph mi sposi. Sarò obbediente e gentile con la signora Davis ed Emily Warren. La sua mente cerca di trattenere l’immagine di un uomo con la barba bianca e l’aria gentile, vestito di una sorta di tunica giallastra, simile a quella che indossava suo padre quando riparava qualcosa a casa loro, quand’era bambina.
Accelera il passo, e l’uomo dietro di lei fa lo stesso.
Smettila di lavorare di fantasia. Sta solo cercando di spaventarti.
Gira a sinistra, sicura che lui la seguirà. La via è tranquilla. Qualche anno prima il municipio aveva deciso di abbattere le vecchie abitazioni per costruirne di nuove in cui artisti e artigiani potessero dedicarsi alle loro attività a favore della loro ricca clientela, ma quando gli edifici erano stati completati la situazione era cambiata. Non c’erano più soldi e i locali, rimasti vuoti, ora erano invasi dai topi.
Non ha alternative, deve proseguire per forza. Oltrepassa le case deserte con le finestre che luccicano come occhi spalancati, consapevole della presenza che incombe alle sue spalle. Non succederà niente. Sei una ragazza fortunata, non dimenticarlo. Ti è sempre andata bene. Si sposta verso il lato della strada e sente che lui fa lo stesso. Pensa a qualcosa di bello, si impone. Il giorno in cui era andata con Joseph a passeggiare sulla riva del Tamigi. Le volte in cui, quando era piccola, suo padre la sollevava sopra la testa, facendola dondolare.
Ma l’unica cosa a cui riesce a pensare è la sua stanza, che ha lasciato nel caos quando è uscita di corsa quella mattina, il letto sfatto, la camicia da notte buttata a terra, la signora Wornley che si sporge dalla ringhiera con i capelli che le coprono la faccia, urlando: “Devi darmi i soldi del carbone, ragazza mia. Il tempo è scaduto. O mi paghi stasera, o finisce male”. Darebbe qualsiasi cosa per trovarsi nel suo letto, a respirare la puzza di cavolo stracotto e grasso di rognone, cercando di dormire mentre Nelly, al piano di sopra, si muove rumorosamente e Peter sale le scale sbatacchiando i secchi pieni d’acqua. Come ha odiato la sua stanzetta, mentre sognava di poter vivere in uno spazio meno angusto, in un quartiere meno degradato. Ora non desidera altro che aprire la porta, togliersi gli stivali, sedersi sulla sedia traballante che ha trovato per strada, vicino a Holborn, e sentirsi finalmente al sicuro. Ti metterai a ridere ripensando a tutta questa faccenda, e ti guarderai bene dal rifare un’altra volta la scorciatoia.
Ancora pochi metri. La prima a sinistra e la seconda a destra. Poi le basterà imboccare il vicolo dietro la panetteria e sarà arrivata. Si avvicina all’imboccatura buia della stradina. Ha un attimo di esitazione, poi respira a fondo. Ha caldo, adesso. Pensa alla signora Wornley che le apre la porta e sbircia in strada, mentre la luce proveniente dall’interno si riversa fuori. Casa. Raddrizza la schiena, sorride fra sé e riprende a camminare.
Accanto al nostro cancello ci sono due uomini con indosso un soprabito. Lo zio vorrebbe convincermi che si tratta di operai, che si sono presi un attimo di pausa prima di proseguire nel loro lavoro. Quello bruno l’ho già visto tre volte nel corso dell’ultima settimana. È così vicino che riesco a scorgere i ciuffi di peli neri alle estremità della sua barba. Mi immagino di tirarli e vedo la sua pelle ruvida e scura che prima oppone resistenza poi cede, diventando liscia come quella di un bambino.
Fino all’inverno scorso vedevo un sacco di gente dalla finestra. Coppie che camminavano a braccetto, cameriere che portavano i secchi del latte, muratori che trasportavano ceste piene di mattoni, vecchie che camminavano trascinando i piedi. Ora la canicola di luglio infuoca l’aria e io non vedo altro che uomini, che gironzolano attorno alla casa e si fermano vicino al cancello. Quando passo in carrozza, si fermano a osservarmi. Appoggiati al muro, studiano i miei abiti e mi sfiorano il braccio.
«Fai uno sforzo, Catherine. Almeno oggi pomeriggio.» Lo zio stava fingendo di raddrizzare l’incisione di Hogarth raffigurante Gin Lane con l’unico scopo di non dovermi guardare negli occhi. «Non è certo un dramma sorridere di tanto in tanto.» Mosse un passo indietro, scavalcando la statua proveniente dall’Africa orientale che era appoggiata al secchio del carbone. «Il signor Janisser è molto ricco.»
I battiti del mio cuore accelerarono. «Me l’avete già detto.»
Lo zio si pulì la manica impolverata, lanciandomi una rapida occhiata. «È il vestito più carino che hai, quello?» Ero cresciuta molto negli ultimi mesi, tanto che persino l’abito giallo chiaro, acquistato poco dopo il mio arrivo a Princes Street, era ormai diventato troppo corto e mi lasciava scoperte le caviglie. Il pizzo che lo bordava all’orlo sfiorava appena i miei stivaletti.
«Resterò seduta. Non è il momento di andare a comprare abiti nuovi.»
Lo zio scosse le spalle. «La vita continua, mia cara. Non possiamo restare prigionieri della paura. Non devi preoccuparti. Le vittime sono sempre persone povere. Bene, chiederò a Thomas di accompagnarti dalla sarta la prossima settimana.»
Il suo tono mi fece apparire davanti agli occhi l’immagine di una donna in là con gli anni, che nessuno avrebbe più preso in moglie, chiusa nella sua stanzetta e vestita con gli abiti sbiaditi della sua gioventù.
«Vuol dire che mi sforzerò di non crescere più.»
«Saggia decisione.» La pendola scura che era alle sue spalle batté le ore e la figura dorata che la sovrastava cominciò a girare len...