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L'amore all'improvviso (I Romanzi Oro)
- 784 pagine
- Italian
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L'amore all'improvviso (I Romanzi Oro)
Informazioni su questo libro
La donna del nemico I piani di vendetta di Rufus Decatur vanno a monte quando la sua banda di fuorilegge, invece di rapire la figlia del marchese di Granville, suo nemico, gli conduce Portia Worth, la nipote illegittima. E inaspettatamente si ritrova ad affrontare una delle sfide più ardue della sua vita, mentre combatte con questa ragazza indipendente e ribelle che gli ha rubato il cuore... Malizia e sentimento Quando Phoebe si sposa per convenienza con Cato, marchese di Granville e vedovo della sorella maggiore, per lui prova solo indifferenza. Ma un giorno scopre nel marito un uomo dal fascino misterioso che la attrae irresistibilmente, e se ne ritrova all'improvviso innamorata. Sapendo di non essere una donna seducente, Phoebe si prodiga allora per risvegliare la sua attenzione e conquistarlo... Il cuore non sbaglia Mentre sta passeggiando per un sentiero sulla scogliera, immersa nella lettura, lady Olivia Granville mette un piede in fallo e precipita. Quando rinviene, si ritrova nuda e intrappolata su una nave corsara. L'uomo che l'ha tratta in salvo è un misterioso avventuriero, tanto pericoloso quanto affascinante. Ma che la fa sentire diversa, bella e appassionata, pronta a imbarcarsi nella grande avventura dell'amore...
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Informazioni
eBook ISBN
9788852027857IL CUORE NON SBAGLIA
Prologo
Isola di Wight
Giugno 1648
Nell’oscurità che precede l’alba, una pioggia torrenziale cadeva incessante sulla scogliera battuta dal mare in tempesta. Ondate enormi s’innalzavano impazzite attorno a Saint Catherine’s Point per abbattersi con un fragore assordante sulle rocce frastagliate in un inferno di schiuma e candidi spruzzi.
Non c’erano stelle, né luna. Solo, di tanto in tanto, un lampo illuminava l’isola, acquattata come una balena all’ingresso del Solent, con le sue alture e le sue vallate nere di pioggia. I rintocchi malinconici della campana assicurata alla boa oltre gli scogli sovrastavano il ruggire del vento e il mugghiare del mare, unico monito alle navi in lotta contro la burrasca estiva.
Una piccola barca si tuffò nei marosi; i rematori, tesi fino allo spasimo nello sforzo di impedire al fragile scafo di rovesciarsi, la diressero verso la boa. Uno di essi lanciò una corda, avvicinò la barca a forza di braccia fino a toccare la campana con il suo ritmico suono assordante. Mentre l’uomo tratteneva il galleggiante, un altro, rapido e abile, avvolse strettamente degli stracci attorno al batacchio, azzittendo così il lugubre clangore. Poi gli uomini lasciarono andare la boa e si allontanarono, e il piccolo natante si diresse di nuovo a fatica verso la spiaggia. Uno degli uomini guardò in alto, in cima alla scogliera, e agitò una mano. Subito si accese una luce, chiara e ben visibile nella tempesta: un faro lanciò il suo messaggio mortale nella notte.
Mani solerti si protesero a trascinare a riva la barca. Erano una ventina gli uomini sulla spiaggia, avvolti in abiti neri, quasi mimetizzati fra le rocce scure.
E la nave sbucò fuori dall’oscurità con le sue bianche vele stracciate dal vento e il fasciame scricchiolante come vecchie ossa. Diresse fiduciosa la prua verso la luce che le prometteva riparo e sicurezza e con un fracasso terrificante andò a schiantarsi sugli scogli di Saint Catherine’s Point.
Le urla dei naufraghi si persero nel vento. Squarci enormi si aprirono nelle fiancate e rigurgitarono nel mare in ebollizione figure umane e oggetti di ogni genere. Il vascello si frantumò come un guscio d’uovo e gli uomini che assistevano dalla spiaggia si precipitarono nella spuma con occhi lampeggianti di cupidigia. Uomini, donne, bambini in procinto di annegare nella tempesta chiedevano loro aiuto, disperati, ma quelli portarono a termine con le loro mani ciò che il mare non aveva ancora fatto.
Trascinarono a riva casse, bauli, corpi. Depredarono i cadaveri, strappando loro anelli e tutto quanto di prezioso indossavano, in una sarabanda infernale di esclamazioni festose.
Più sopra, in cima alla scogliera, un uomo strettamente avvolto in un mantello stava ritto accanto al faro traditore. Valutò con un’occhiata la nave morente e ascoltò soddisfatto le grida esultanti dei suoi: il piccione che avevano acchiappato doveva essere bello grasso. Si voltò a spegnere la fiamma e fu di nuovo il buio totale, accompagnato dal fragore della tempesta e dalla follia che si consumava sulla spiaggia.
Al largo della punta un’altra nave, con le vele ammainate, lottava contro il fortunale guidata con mani forti e sicure dal suo capitano, tutto teso a cogliere i rintocchi della campana di Saint Catherine’s Point. Il capitano alzò lo sguardo verso la cima della scogliera dove fino a poco prima brillava una luce traditrice. Non erano le strida dei gabbiani quelli che udiva ora. Un lampo illuminò per un breve attimo la sagoma del vascello fracassato sugli scogli. Dalla campana non proveniva alcun suono.
— Che Dio abbia pietà di loro — mormorò uno dei marinai.
— Sembra un mercantile — replicò il capitano, freddo e distante. — Un bottino ricco, hanno scelto la notte giusta.
— Già — borbottò l’altro, rabbrividendo alle urla dei morenti.
1
Un caldo sole brillava sulle acque calme del Canale della Manica. Olivia Granville percorreva lo stretto sentiero della scogliera al di sopra di Saint Catherine’s Point, dimentica di ciò che la circondava nella splendida mattinata dopo la tempesta della notte. Diede un morso alla mela, assorta nel testo greco che teneva in mano. L’erba umida e alta le accarezzava le caviglie.
Olivia alzò lo sguardo e spostò per un attimo l’attenzione sul mare che si stendeva all’infinito, azzurro e liscio. Era difficile immaginare la ferocia del fortunale che aveva fatto naufragare la nave i cui resti erano visibili sulla la scogliera sottostante. C’erano degli uomini che si affaccendavano come formiche attorno allo scafo, intenti a ricuperare il possibile. In casa, quel mattino, non si era parlato che del naufragio, della possibilità che la nave fosse stata intenzionalmente condotta al naufragio dai contrabbandieri e dai malviventi, divenuti ormai attivissimi sull’isola.
Olivia inspirò profondamente l’aria salmastra. Il sesto inverno di guerra civile era stato interminabile. Un anno prima era sembrato che fosse tutto finito: Carlo I Stuart si era arreso al parlamento ed era stato rinchiuso a Londra nel palazzo di Hampton Court, mentre si svolgevano i negoziati per la definitiva conclusione della guerra. Ma poi il re si era rimangiato la parola, aveva rotto gli accordi ed era fuggito.
Si era rifugiato sull’isola di Wight, roccaforte dei realisti, e si era affidato alla protezione del governatore dell’isola. Questi, però, fedele al parlamento, teneva il re informalmente prigioniero nel castello di Carisbrooke. E i negoziati si erano quindi spostati sull’isola.
Il padre di Olivia, il marchese di Granville, importante membro del parlamento, era uno dei principali negoziatori, perciò alla fine dell’anno precedente aveva trasferito sull’isola la figlia primogenita, il figlio di nove mesi e la moglie di nuovo incinta. Le due figlie più giovani, invece, avevano preferito rimanere nella tranquilla casa di Oxford con l’adorata governante.
Sull’isola lord Granville aveva acquistato una casa ampia e bassa nel villaggio di Chale, poco distante dal castello di Carisbrooke. Per Olivia e Phoebe, moglie di suo padre e anche sua migliore amica, quella sistemazione era infinitamente preferibile alla vita in un ambiente militare. Il re continuava a tenere la sua corte nella grande hall del castello, ma nulla poteva nascondere lo scopo militare dei preparativi.
Olivia aveva trascorso i suoi primi sedici anni nell’imponente maniero di suo padre nello Yorkshire; ma quando la guerra si era spostata a sud, lord Granville l’aveva seguita.
Con un sorriso, la giovane si stirò pigramente al calore del sole. Aveva fatto presto ad abituarsi al clima dolce del sud e ai suoi panorami, lei che aveva sempre vissuto con la neve e il gelo. E ora era estate e pareva che l’inverno non fosse mai esistito. Cieli splendenti e mare a perdita d’occhio. Non aveva mai visto il mare prima: c’erano brughiere e montagne nello Yorkshire, e fiumi sinuosi nella vallata del Tamigi, ma nulla di paragonabile a quella meravigliosa sensazione di spazio infinito.
Olivia gettò il torsolo della mela al di là del promontorio e sentì l’anima librarsi, lo spirito danzare. C’erano delle vele laggiù, graziose vele bianche. Sotto di lei i gabbiani si lasciavano trasportare dalle correnti di aria calda e Olivia ne invidiò la stupefacente libertà , la capacità di abbandonarsi alla corrente senza uno scopo o una necessità , ma solo per puro piacere.
Improvvisamente rise forte, si avvicinò di un passo all’orlo della scogliera e posò il piede nel nulla.
Dolore. Una palude indistinta di diffuso dolore. Un mormorio di voci, una in particolare, una voce calma che accompagnava mani esperte che si muovevano sul suo corpo, voltandolo, sollevandolo, curandolo. Un paio di occhi grigi penetrò attraverso il sogno dove tutto era confusione e paura. Una bevanda amara come il fiele le rievocò immagini terrificanti dal mondo degli incubi, cose innominabili che le si attorcigliarono addosso come serpenti. Respinse le mani che le portavano alle labbra la coppa con l’amara bevanda.
— Ancora uno, Olivia — disse la voce pacata, e le sue mani furono saldamente trattenute, e la testa appoggiata all’incavo di un braccio.
Con un lieve gemito si arrese a una forza e a una volontà troppo superiori alle sue, e il liquido repellente scivolò fra le sue labbra semiaperte: deglutì annaspando di disgusto.
E questa volta affondò in una pozza scura e le verdi acque si chiusero sopra la sua testa. Il dolore si affievolì e non c’erano più incubi, solo un sonno profondo e ristoratore.
Olivia aprì gli occhi. Quello che vide non aveva senso, perciò li richiuse. Dopo un attimo li riaprì: nulla era cambiato.
Giacque immobile, ascoltando il proprio respiro. Non c’erano altri rumori. Il suo corpo era immerso in un languore delizioso e non aveva alcun desiderio di muoversi. Cercò di prendere coscienza di sé e si rese conto di provare un dolore acuto dietro una coscia, e una certa sensibilità qua e là , ma passandosi languidamente le mani sul corpo, le parve che tutto fosse al suo posto. Salvo che era nuda.
Ricordò il momento in cui, ritta in cima alla scogliera, aveva gettato il torsolo della mela. Poi c’erano stati sogni, incubi, voci, mani. Parte dei sogni, però, non reali.
Richiuse gli occhi e la pozza profonda la inghiottì di nuovo.
Quando risalì in superficie, captò dei movimenti attorno a lei. C’erano uomini che bisbigliavano; una sedia raschiò il pavimento; una porta si aprì e si richiuse. Tenne gli occhi chiusi, istintivamente riluttante ad attirare l’attenzione finché non fosse riuscita a ricuperare coscienza di sé e di dove si trovasse.
Quando fu di nuovo tutto tranquillo, aprì gli occhi. Era supina in un letto che non era un letto. O almeno non le ricordava alcun letto nel quale avesse mai dormito prima. Provò a muovere le gambe e toccò le sponde di legno. Non erano alte, ma le sembrò di giacere in una cassa. Alzò lo sguardo su un soffitto in legno di quercia. Da una catena penzolava una lampada spenta: non c’era bisogno che fosse accesa, perché la stanza era inondata di sole.
Ma la parete, rivestita di legno lucido, era curva. Dalla finestra aperta entrava una dolce brezza odorosa di mare.
Olivia girò la testa sul cuscino. La girò con cautela, perché così facendo sentì che le faceva un po’ male. Sotto la guancia il cuscino era ruvido e profumava di fresco.
Guardò la stanza, una stanza rivestita di pannelli, con finestre munite di grate e ricchi tappeti turchi sul pavimento di quercia lucida. C’erano un tavolo ovale, una credenza e varie sedie. Ma non era una stanza dalla forma regolare: non aveva angoli, e sembrava che si muovesse. Molto dolcemente, ma senza ombra di dubbio. Dondolava come una culla.
Gli occhi di Olivia si chiusero ancora una volta.
Quando li riaprì, il sole brillava ancora e la stanza dondolava ancora, ma questa volta non era sola.
Chino sul tavolo ovale, un uomo tracciava segni su dei fogli di carta. A Olivia parve che fosse fatto d’oro: lo circondava un’aura luminosa. Poi capì che era in piedi controluce e che il sole gli accendeva i capelli. Capelli d’oro come ghinee.
Era completamente assorto in quello che stava facendo. Era immobile, solo le sue mani si muovevano. Sembrava distaccato, concentrato solo sul suo lavoro: una capacità che Olivia conosceva, perché l’aveva anche lei. Sapeva che cosa significava perdersi nel mondo della mente.
Si chiese se fosse il caso di parlare, ma le parve indelicato disturbare la concentrazione di quell’uomo, quindi rimase a osservarlo attraverso le palpebre socchiuse, affondata nel languido tepore di quello strano letto. Il corpo le doleva e dietro la testa sapeva di avere una ferita. Si sentiva lontana, soddisfatta, gli incubi erano svaniti. E provava uno stranissimo legame fra lei e l’uomo in piedi accanto al tavolo. Vagamente inspiegabile. Ma soprattutto la faceva sentire felice.
E poi lui parlò. Non sollevò la testa né alzò lo sguardo dai fogli. — Così la Bella Addormentata ritorna al mondo — disse con la voce armoniosa che ricordava di avere udito nei suoi sogni.
La domanda non rupp...
Indice dei contenuti
- Copertina
- L'amore all'improvviso (I Romanzi Oro)
- Introduzione
- La Donna Del Nemico
- Malizia E Sentimento
- Il Cuore Non Sbaglia
- Copyright