
- 168 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Il grande Gatsby
Informazioni su questo libro
Il romantico ed enigmatico Jay Gatsby organizza feste sontuose nella speranza di ritrovare la donna amata in gioventù. Un descrizione spietata e partecipe del mondo fastoso e frivolo degli anni Venti nelle pagine indimenticabili dello scrittore simbolo della "generazione perduta" (1896-1940).
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Informazioni
Print ISBN
9788804493044eBook ISBN
9788852030949VII
Fu quando la curiosità per Gatsby giunse al culmine che un sabato sera le luci del palazzo non si accesero e, oscuramente com’era incominciata, la sua carriera di Trimalcione finì. Mi accorsi solo dopo un po’ che le automobili solite a svoltare piene di desiderio nel suo viale si fermavano un attimo e poi se ne andavano silenziose. Preoccupato che si fosse ammalato, andai a informarmi: un maggiordomo insolito, dalla faccia villana, mi sbirciò sospettoso dalla porta.
«È malato, il signor Gatsby?»
«Macché!» Dopo una pausa soggiunse: «Signore» con un tono ritardatario e scontroso.
«Non l’ho più visto in giro e sono un po’ preoccupato. Ditegli che è venuto il signor Carraway.»
«Chi?» chiese rozzamente.
«Carraway.»
«Carraway. Va bene, glielo dirò.»
Sbatté la porta senza indugio.
La mia finlandese m’informò che una settimana prima Gatsby aveva licenziato tutti i domestici e li aveva sostituiti con una mezza dozzina d’altri che non andavano mai al villaggio a prender mance dai bottegai, e si limitavano a farsi portare per telefono provviste molto parche. Il garzone del droghiere riferì che la cucina sembrava un porcile, e l’opinione generale del villaggio era che i nuovi venuti non fossero per niente domestici.
L’indomani Gatsby mi chiamò al telefono.
«Te ne vai?» gli chiesi.
«No, vecchio mio.»
«Ho sentito che hai licenziato tutti i domestici.»
«Volevo gente che non chiacchierasse. Daisy viene molto spesso… nel pomeriggio.»
Così l’intero caravanserraglio era crollato come un castello di carta alla disapprovazione degli occhi di lei.
«È gente che Wolfsheim voleva aiutare. Sono tutti fratelli e sorelle. Avevano un piccolo albergo.»
«Capisco.»
Telefonava su richiesta di Daisy: volevo andare a colazione da lei l’indomani? Ci sarebbe stata la signorina Baker. Mezz’ora dopo mi telefonò anche Daisy e parve sollevata nell’udire che sarei andato. Qualcosa stava accadendo. Eppure non potevo credere che avrebbero scelto quel momento per una scenata, specie per la scenata sconcertante prospettatami da Gatsby in giardino.
L’indomani era una giornata da arrostire, forse l’ultima, certo la più calda dell’estate. Quando il mio treno sbucò dalla galleria nel sole, soltanto i fischi roventi della National Biscuit Company spezzavano il silenzio ribollente del mezzogiorno. I sedili di paglia della carrozza erano sul punto di accendersi; la donna seduta accanto a me sudò a lungo delicatamente nella camicetta bianca e poi, quando il giornale le si inumidì sotto le dita, crollò disperata nel calore profondo, con un grido di desolazione. Il portamonete le cadde a terra.
«Oh, Dio mio!» ansimò.
Lo raccolsi curvandomi stancamente, e glielo porsi con il braccio teso, tenendolo per un angolo per mostrare che non avevo alcuna mira disonesta, ma tutti i vicini, la donna compresa, mi sospettarono ugualmente.
«Che caldo» disse il controllore alle facce consuete. «Che tempo!… Caldo!… Caldo!… Caldo!… Che cosa ne dite del caldo? Che cosa ne dite? Che cosa…?»
Il biglietto d’andata e ritorno mi venne restituito con una macchia scura. Com’era possibile che con quel caldo qualcuno si preoccupasse di ardenti labbra da baciare, di teste con cui inumidirsi di sudore il taschino del pigiama!
… Nell’atrio della casa dei Buchanan soffiava un vento lieve e trasportò a Gatsby e a me il trillo di un telefono mentre aspettavamo alla porta.
«Il cadavere del padrone!» ruggì il maggiordomo nel microfono. «Mi dispiace, signora, ma non ve lo possiamo procurare… Fa troppo caldo per toccarlo, quest’oggi!»
Ciò che disse in realtà fu: «Sì… Sì… Ora vedo».
Attaccò il ricevitore e venne verso di noi col viso leggermente luccicante per prendere i nostri cappelli rigidi di paglia.
«La signora vi aspetta in salotto» esclamò, indicando inutilmente la direzione. In questo calore ogni gesto superfluo era un affronto alle riserve comuni di vita.
La stanza, ben ombreggiata dalle tende, era scura e fresca. Daisy e Jordan erano distese su un divano enorme come idoli d’argento che trattenessero gli abiti bianchi sotto l’aria canora dei ventagli.
«Non possiamo muoverci» dissero insieme.
Le dita di Jordan, abbronzate sotto la cipria bianca, si trattennero un momento fra le mie.
«E il signor Thomas Buchanan, l’atleta?» chiesi.
Contemporaneamente udii la sua voce, brusca, soffocata, roca, al telefono dell’atrio.
Gatsby si fermò in piedi al centro del tappeto cremisi e si guardò attorno con occhi affascinati. Daisy lo fissò e rise, con la sua dolce risata eccitante; una minuscola raffica di cipria le si alzò dal seno e finì nell’aria.
«Si dice,» bisbigliò Jordan «che al telefono ci sia la ragazza di Tom.»
Restammo in silenzio. La voce nell’atrio si alzò seccata: «Benissimo allora, non vi venderò per niente la macchina… Non ho nessun obbligo con voi… E quanto all’essere seccato durante l’ora di colazione, non ho intenzione di sopportarlo!».
«Tiene il ricevitore attaccato» disse Daisy cinicamente.
«No, non è vero» la rassicurai. «È una faccenda vera. Ne sono per caso al corrente.»
Tom spalancò la porta, ne ostruì l’apertura per un momento col grosso corpo, ed entrò in fretta nella stanza.
«Signor Gatsby!» Tese la mano larga e aperta con antipatia ben celata. «Sono lieto di vedervi… Nick…»
«Preparaci qualcosa di fresco da bere» esclamò Daisy.
Quando Tom uscì dalla stanza, Daisy si alzò e si avvicinò a Gatsby; lo attirò a sé e lo baciò sulla bocca.
«Lo sai che ti amo» mormorò.
«Dimentichi che c’è qui una signora» disse Jordan.
Daisy si guardò attorno dubbiosa.
«Bacia anche tu, Nick.»
«Come sei volgare!»
«Non importa» esclamò Daisy, e cominciò a riempire di legna il caminetto di mattoni. Poi ricordò il caldo e sedette con aria colpevole sul divano mentre una bambinaia, che pareva appena uscita da una lavanderia, entrò nella stanza tenendo per mano una bimba.
«Te-soro bel-lo» canterellò tendendo le braccia. «Vieni dalla mamma che ti vuole tanto bene.»
La bimba, abbandonata dalla bambinaia, attraversò di corsa la stanza e si aggrappò timidamente all’abito della madre.
«Te-soro bel-lo! E la mamma te l’ha messa la cipria su questi capelli gialli? Sta’ su ora, e di’: “Come state?”.»
Gatsby e io ci curvammo l’uno dopo l’altro a stringere la manina riluttante. Poi lui continuò a guardare sorpreso la bimba. Forse non aveva mai creduto a una sua vera esistenza.
«Mi hanno vestita per la colazione» disse la piccola, rivolgendosi impaziente a Daisy.
«Perché la mamma ti voleva far vedere.» Daisy curvò il viso nell’unica ruga del piccolo collo bianco. «Sei un sogno, tu, sei proprio un piccolo sogno.»
«Sì» ammise la bimba con calma. «Anche zia Jordan ha addosso un vestito bianco.»
«Ti piacciono gli amici della mamma?» Daisy la fece girare in modo che vedesse Gatsby. «Ti sembrano carini?»
«Dov’è papà?»
«Non assomiglia a suo padre» spiegò Daisy. «Assomiglia a me. Ha i capelli come i miei e lo stesso ovale del viso.»
Daisy si rimise a sedere sul divano. La bambinaia fece un passo avanti e tese la mano.
«Vieni, Pammy.»
«Ciao, tesoro.»
Voltandosi a guardare con aria riluttante, la bimba ben disciplinata prese la mano della bambinaia e venne sospinta fuori della porta proprio mentre Tom rientrava precedendo quattro bicchieri di gin che tintinnavano pieni di ghiaccio.
Gatsby prese il suo bicchiere.
«Certo danno un’impressione di freschezza» disse con palese nervosismo.
Bevemmo con lunghi sorsi avidi.
«Ho letto, non ricordo più dove, che il sole diventa ogni anno più caldo» disse Tom con aria gioviale. «Pare che presto la terra cadrà sul sole… no, aspettate… è proprio l’opposto, il sole diventa ogni anno più freddo.»
Si volse a Gatsby:
«Venite. Vorrei farvi dare un’occhiata alla casa.»
Uscii con loro sulla veranda. Sullo Stretto verde, stagnante nel calore, una piccola vela strisciava lenta verso il mare aperto più fresco. Gatsby la seguì per un momento con gli occhi, poi alzò la mano e indicò l’altra sponda della baia.
«Io abito proprio lì, di fronte.»
«Già.»
Alzammo gli occhi oltre le aiuole di rose, il prato scottante e le alghe respinte sulla riva canicolare. Lentamente le ali bianche della barca si spostarono contro il fresco limite azzurro del cielo. Davanti a noi si stendevano l’oceano ondulato e le numerose isole benedette.
«Quello sì che è sport» disse Tom con un cenno del capo. «Mi piacerebbe passare un’oretta laggiù.»
Facemmo colazione in sala da pranzo, oscurata anch’essa contro il caldo, e ingurgitammo allegria nervosa con la birra ghiacciata.
«Che cosa facciamo dopo colazione?» esclamò Daisy. «E che cosa facciamo domani? E nei prossimi trent’anni?»
«Non scoraggiarti» disse Jordan. «La vita ricomincia sempre quando si rapprende in autunno.»
«Ma fa così caldo,» insisté Daisy, prossima alle lacrime «e tutto sembra così confuso. Andiamo tutti in città.»
La voce lottava contro il caldo, vi si abbatteva contro, dando forma alla insensibilità dello stesso.
«Ho già sentito parlare di un ...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Francis Scott Fitzgerald
- Bibliografia
- Il grande Gatsby
- Capitolo I
- Capitolo II
- Capitolo III
- Capitolo IV
- Capitolo V
- Capitolo VI
- Capitolo VII
- Capitolo VIII
- Capitolo IX
- Avvertenza
- Copyright