Shadowhunters - 5. Città delle anime perdute
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Shadowhunters - 5. Città delle anime perdute

  1. 552 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Shadowhunters - 5. Città delle anime perdute

Informazioni su questo libro

Lilith, madre di tutti i demoni, è stata distrutta. Ma quando gli Shadowhunters arrivano a liberare Jace, che lei teneva prigioniero, trovano soltanto sangue e vetri fracassati. E non è scomparso solo il ragazzo che Clary ama, ma anche quello che odia, suo fratello Sebastian, il figlio di Valentine. Un figlio determinato a riuscire dove il padre ha fallito e pronto a tutto per annientare gli Shadowhunters. La potente magia del Conclave non riesce a localizzare né l'uno né l'altro, ma Jace non può stare lontano da Clary. Quando si ritrovano, però, Clary scopre che il ragazzo non è più la persona di cui si era innamorata: in punto di morte Lilith lo ha legato per sempre a Sebastian, rendendolo un fedele servitore del male. Purtroppo non è possibile uccidere uno senza distruggere anche l'altro. A chi spetterà il compito di preservare il futuro degli Shadowhunters, mentre Clary sprofonda in un'oscura furia che mira a scongiurare a ogni costo la morte di Jace?
Amore. Peccato. Salvezza. Morte.
Quale prezzo è troppo alto per l'amore? Di chi ci si può fidare, quando peccato e salvezza coincidono? Ma soprattutto: si possono reclamare le anime perdute?

Domande frequenti

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
Print ISBN
9788804622079
eBook ISBN
9788852029943
Parte seconda

CERTE COSE OSCURE

T’amo come si amano certe cose oscure.
PABLO NERUDA, Sonetto XVII
8

Ignis aurum probat

Maia non era mai stata a Long Island, ma se proprio avesse dovuto immaginarsela, l’avrebbe descritta come un posto molto simile al New Jersey: un’area per lo più suburbana, dove vivevano le persone che lavoravano a New York o a Philadelphia.
Aveva buttato la borsa sul furgone di Jordan, sorprendentemente poco familiare ai suoi occhi. Ai tempi in cui uscivano insieme guidava una Toyota rossa, sempre piena di bicchierini per caffè d’asporto accartocciati e sacchetti di fast food; il posacenere traboccava di sigarette consumate fino al filtro. L’abitacolo di quel furgone, con una sola pila di giornali sul sedile del passeggero, al confronto sembrava pulito. Quando salì, li spostò di lato senza dire una parola.
Non avevano parlato attraversando Manhattan e nemmeno sull’autostrada verso Long Island, e alla fine Maia si era appisolata con una guancia premuta contro il freddo vetro del finestrino. Si era svegliata quando avevano superato un dosso, balzando in avanti e, sbattendo le palpebre, si era strofinata gli occhi.
«Scusa» le aveva detto Jordan, dispiaciuto. «Volevo lasciarti dormire fino all’arrivo.»
Lei si era seduta dritta, guardandosi attorno. Stavano percorrendo una strada asfaltata a due corsie e il cielo cominciava appena a rischiararsi. A destra e a sinistra c’erano soltanto campi, qua e là una fattoria o un silo, in lontananza qualche cottage con la staccionata di legno.
«È bello qui» aveva commentato, stupita.
«Già.» Jordan aveva cambiato marcia e si era schiarito la voce. «Dato che ormai sei sveglia… prima che arriviamo alla Praetor House, posso farti vedere una cosa?»
Lei aveva esitato solo un istante, poi annuito. E ora eccoli lì a sobbalzare su e giù per una stradina sterrata bordata dagli alberi. In gran parte erano spogli, la strada fangosa. Girò la manovella del finestrino per annusare l’aria. Alberi, acqua di mare, foglie in lenta decomposizione, animaletti che correvano fra l’erba alta. Fece un altro respiro profondo mentre lasciavano la strada e si fermavano su una piazzola circolare. Davanti a loro c’era la spiaggia, che si stendeva fino allo specchio grigio-azzurro dell’acqua. Il cielo era quasi lilla.
Maia diresse lo sguardo su Jordan, che invece lo teneva dritto davanti a sé. «Venivo sempre qui, quando mi allenavo alla Praetor House» disse. «A volte anche solo per osservare l’acqua e schiarirmi le idee. L’alba in questo posto… ogni volta è diversa, ma sempre stupenda.»
«Jordan.»
Lui non si voltò per guardarla. «Sì?»
«Scusami per prima. Per essere corsa via, al Navy Yard.»
«Tutto a posto.» Espirò lentamente, ma a giudicare dalle spalle tese e dal modo in cui stringeva il cambio, Maia sapeva che non lo era, non proprio. Si sforzò di non badare al modo in cui la tensione gli plasmava i muscoli delle braccia, accentuando la curva dei bicipiti. «Per te è stato troppo, lo capisco. Solo che…»
«Penso che dovremmo andarci piano. Cercare di essere amici.»
«Io non voglio essere tuo amico» fu la risposta di lui.
Maia non riuscì a nascondere lo stupore. «No?»
Jordan spostò la mano dal cambio al volante. La ventola del riscaldamento diffondeva aria calda che andava a mischiarsi a quella più fredda proveniente dal finestrino abbassato di Maia. «Non dovremmo affrontare questo argomento adesso.»
«Ma io voglio farlo» ribatté lei. «Ne voglio parlare adesso. Non voglio pensare alla nostra situazione mentre siamo alla Praetor House.»
Jordan scivolò giù con la schiena lungo il sedile, mordicchiandosi un labbro. I capelli arruffati gli ricaddero sopra la fronte. «Maia…»
«Se non vuoi che siamo amici, allora cosa dovremmo essere? Nemici, di nuovo?»
Lui girò la testa, con una guancia appoggiata al sedile. Quegli occhi erano proprio come lei li ricordava, nocciola con tocchi di verde, azzurro e oro. «Non voglio che siamo amici» le disse «perché ti amo ancora. Maia, lo sai che non ho più baciato nessun’altra da quando ci siamo lasciati?»
«Isabelle…»
«Isabelle voleva ubriacarsi e parlare di Simon.» Tolse le mani dal volante, le protese verso di lei, ma poi se le lasciò cadere in grembo, un’aria sconfitta sul volto. «Sei l’unica che abbia mai amato. È solo pensando a te che sono riuscito ad affrontare gli allenamenti, con l’idea che un giorno avrei potuto farmi perdonare. E ci riuscirò, in tutti i modi possibili tranne uno.»
«Che non sarai mio amico.»
«Non sarò solo un amico, Maia. Io ti amo. Io sono innamorato di te. Lo sono sempre stato e lo sarò sempre. Essere soltanto un amico mi ucciderebbe.»
Lei rivolse lo sguardo verso l’oceano. Il cerchio del sole spuntava appena sopra la superficie dell’acqua, illuminandola coi suoi raggi nelle tonalità del viola, dell’oro e dell’azzurro. «È bellissimo qui.»
«Ed è per questo che ci venivo. Non riuscivo a dormire, perciò restavo ad ammirare l’alba.» Parlava con voce sommessa.
«Ora invece riesci a dormire?» gli chiese Maia.
Lui chiuse gli occhi. «Maia… se stai per dire che no, da me non vuoi altro che amicizia… allora dillo e basta. Via il dente, via il dolore, okay?»
Sembrava una persona che si prepara a ricevere un colpo. Le ciglia gli adombravano gli zigomi; sulla pelle olivastra del collo c’erano piccole cicatrici bianche, cicatrici che gli aveva lasciato lei. Maia si slacciò la cintura di sicurezza e scivolò sul lungo sedile avvicinandosi a lui. Sentì Jordan trattenere il respiro, ma non si mosse mentre lei si piegava per baciargli la guancia inalando il suo profumo. Stesso sapone, stesso shampoo, ma niente più tracce dell’odore persistente di sigaretta. Stesso ragazzo. Con i baci gli percorse la guancia, arrivò all’angolo della bocca e, finalmente, sporgendosi ancora un po’, mise le labbra sopra le sue.
Jordan dischiuse le labbra sotto quelle di lei e, dal fondo alla gola, emise un ringhio. In genere i licantropi non erano delicati fra loro, invece le mani di lui furono leggere quando la sollevarono per mettersela sulle ginocchia e abbracciarla, mentre il loro bacio si faceva più profondo. Il tocco di lui, il calore delle sue braccia coperte dal velluto attorno a lei, il battito del cuore, il sapore della bocca, lo scontro di labbra, denti e lingua le tolsero il fiato. Gli fece scivolare le mani dietro il collo e si sciolse, mentre sentiva il solletico leggero dei suoi capelli, lo stesso di sempre.
Quando infine si allontanarono, lui aveva gli occhi lucidi. «Erano anni che lo aspettavo.»
Maia gli passò un dito sulla clavicola. Sentiva il proprio cuore battere forte. Per qualche istante non erano stati due licantropi in missione verso una letale organizzazione segreta, ma due semplici ragazzi che si baciavano in macchina, sulla spiaggia. «Ed è stato all’altezza delle aspettative?»
«Molto meglio.» L’angolo della bocca di lui si sollevò. «Significa che…»
«Be’, non è il genere di cose che si fanno tra amici, giusto?»
«Ah no? Allora devo dirlo a Simon. Resterà profondamente deluso.»
«Jordan!» Maia gli diede un colpetto leggero sulla spalla, ma stava sorridendo. Come lui, del resto, con un sorriso un po’ ebete e inconsueto che gli stava comparendo in faccia. Maia gli si avvicinò di nuovo e gli appoggiò il viso sull’incavo del collo, inalando l’odore di lui assieme a quello del mattino.
Stavano combattendo sul lago ghiacciato, la città gelata che brillava in lontananza come un faro. L’angelo con le ali dorate e l’angelo con le ali simili a fiamme nere. Clary se ne stava in piedi sul ghiaccio mentre sangue e piume le cadevano attorno. Quelle dorate bruciavano come fiamme nei punti in cui le toccavano la pelle, mentre quelle nere erano fredde come ghiaccio.
Clary si svegliò con il cuore a mille, intrappolata in un groviglio di coperte. Si alzò, tirandosele giù fino alla vita. Era in una stanza che non conosceva. I muri erano intonacati di bianco e lei si trovava in un letto di legno nero, con indosso gli stessi vestiti della sera prima. Scivolò giù, appoggiando i piedi nudi sul freddo pavimento di pietra, e si guardò attorno in cerca dello zaino.
Lo adocchiò subito, su una poltrona di pelle nera. La stanza era priva di finestre: l’unica luce proveniva da un lampadario di vetro nero smerigliato. Mise una mano nello zaino e scoprì con disappunto, ma non con sorpresa, che qualcuno l’aveva già ispezionato. La scatola col materiale da disegno era sparita, e anche lo stilo. Non restava altro che la spazzola per capelli, i jeans e la biancheria intima di ricambio. Almeno aveva ancora al dito l’anello d’oro.
Lo sfiorò piano e col pensiero si rivolse a Simon. Ci sono.
Niente.
Simon?
Nessuna risposta. Deglutì per scacciare il senso di disagio. Non aveva idea di dove si trovasse, né di che ore fossero o di quanto tempo avesse passato priva di sensi. Magari Simon stava dormendo. Non poteva andare subito nel panico e saltare alla conclusione che gli anelli non funzionavano. Doveva inserire il pilota automatico: capire dov’era, scoprire quello che poteva. Avrebbe provato a ricontattarlo più tardi.
Fece un respiro profondo e cercò di concentrarsi su quanto la circondava. Nella stanza c’erano due porte. Provò ad aprire la prima e scoprì che dava su un piccolo bagno in vetro e acciaio cromato, munito di vasca con piedini di rame. Anche lì, nessuna finestra. Si lavò rapidamente, si asciugò con una salvietta bianca e soffice, indossò jeans e maglione puliti. Poi tornò in camera da letto, dove si infilò le scarpe e provò con la seconda porta.
Tombola. Lì c’era il resto della casa. Un appartamento? Una villa? Si trovava in una grande stanza, metà della quale occupata da un lungo tavolo di vetro. Dal soffitto pendevano altri lampadari di vetro nero smerigliato che proiettavano ombre danzanti sulle pareti. Era tutto molto moderno, dalle sedie in pelle nera al grande camino incorniciato d’acciaio, dentro il quale ardeva un fuoco. Segno che doveva esserci qualcuno, o almeno che c’era stato di recente.
L’altra metà della stanza ospitava un grande televisore, un tavolino da caffè nero laccato su cui erano sparsi videogiochi e joy-pad, e divani bassi in pelle. Una scala di vetro a chiocciola portava al piano superiore. Dopo essersi guardata attorno, Clary iniziò a salire i gradini. Il vetro era perfettamente trasparente e dava l’impressione di percorrere una scala invisibile che portava in cielo.
Il secondo piano era molto simile al primo: pareti chiare, pavimento nero, un lungo corridoio su cui si aprivano diverse porte. La prima dava su quella che era chiaramente la camera padronale, dove un enorme letto di palissandro, celato da tende bianche trasparenti, occupava gran parte dello spazio. C’erano delle finestre di colore blu scuro. Clary attraversò la stanza per guardare fuori.
Per un attimo si chiese se fosse di nuovo ad Alicante. Vedeva, oltre un canale, un altro edificio con le finestre chiuse da imposte verdi. In alto, il cielo era grigio, il canale blu-verdastro e, sulla destra, c’era un ponte che portava sull’altra riva. Sopra, due persone. Una di esse aveva una macchina fotografica davanti al viso e si stava dando un gran daffare a scattare foto. No, niente Alicante. Amsterdam? Venezia? Guardò dappertutto per trovare il modo di aprire la finestra, ma senza successo. Picchiò contro il vetro e gridò, ma i passanti sul ponte non si accorsero di lei e, dopo pochi istanti, proseguirono.
Clary tornò nella camera da letto, si avvicinò a uno degli armadi e lo aprì. Le prese un colpo. Il guardaroba strabordava di vestiti, vestiti da donna. Erano magnifici: pizzo, raso, perline e fiori. I cassetti contenevano sottovesti e biancheria intima, magliette di cotone e seta, gonne, ma niente jeans né pantaloni. C’erano persino delle scarpe allineate, aperte e con il tacco, nonché collant ben piegati. Per un istante Clary rimase a guardare, chiedendosi se ci fosse in giro un’altra ragazza o se magari Sebastian avesse inizi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Premessa
  4. Città delle Anime Perdute
  5. Prologo
  6. Parte prima. NESSUN ANGELO MALIGNO
  7. Parte seconda. CERTE COSE OSCURE
  8. Parte terza. TUTTO È CAMBIATO
  9. Epilogo
  10. Note
  11. CONTENUTI EXTRA
  12. Copyright