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I grandi enigmi della Storia
Informazioni su questo libro
Chi ha ucciso davvero Robert Kennedy nel novembre 1968? Quali loschi piani e complotti si celano dietro l'assassinio del senatore? E poi civiltà perdute, come la mitica Atlantide o gli Anasazi; favolosi tesori, dal Santo Graal alla città di El Dorado; gli inspiegabili fenomeni del Triangolo delle Bermuda e dei cerchi nel grano; le leggende di re Artù e dei Templari, l'occultismo nazista, l'Arca di Noè... Cosa nascondono? Gli storici documentaristi di History, canale seguito da milioni di appassionati in tutto il mondo, affrontano in queste pagine alcuni degli enigmi più affascinanti e avvincenti, scremando miti e verità accertate. E finalmente svelano cosa nascondano alcuni dei misteri più discussi della storia dell'umanità.
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Informazioni
PERSONAGGI LEGGENDARI
16
La vita segreta di Ramsete II
Il regno di Ramsete II fu, con tutta probabilità, il regno più prestigioso della storia d’Egitto, sia sotto l’aspetto economico, sia sotto quello culturale e militare. Ramsete II è uno dei faraoni più conosciuti grazie alla grande quantità di monumenti e iscrizioni prodotti nei sessantasette anni del suo regno. Nessun altro faraone lo superò in quanto a numero e grandiosità di statue in proprio onore, né lasciò tante vestigia della propria reggenza. Nonostante l’esistenza di tutto questo materiale, a distanza di più di tremila anni, storici, egittologi e archeologi non hanno ancora svelato molti dei misteri legati alla sua lunga vita, alle battaglie da lui combattute, al rapporto che aveva stabilito con i sudditi e la famiglia. Si sa che il terzo faraone della XIX Dinastia governò dal 1290 al 1224 a.C. (altri storici sostengono che abbia regnato dal 1279 al 1212 a.C., molto più a lungo di qualsiasi altro faraone precedente o successivo), che ebbe molte mogli e prole numerosa: si pensa che i suoi discendenti potessero essere più di novanta. Alcuni esperti ritengono che sia lui il faraone menzionato nell’Esodo della Bibbia, il responsabile dell’espulsione degli Ebrei dall’Egitto. Sempre a lui si attribuisce il primo trattato di pace mai firmato nella storia. Gli incredibili ritrovamenti degli anni Novanta del secolo scorso nella tomba KV5 della Valle dei Re hanno fornito nuove indicazioni su questo schivo personaggio dell’Antico Egitto, ma riguardo a Ramsete II, detto anche Ramsete il Grande, restano ancora molti punti da chiarire.
L’ascesa al potere
Il regno di Ramsete II ebbe inizio nel 1290 a.C. In quel periodo, noto con il nome di Nuovo Regno, l’Egitto conobbe il suo massimo e ultimo splendore e visse un’epoca di prosperità economica. I geroglifici si utilizzavano già da molto tempo, le piramidi di Giza erano state costruite qualche migliaio d’anni prima e il sistema religioso, con le sue numerose divinità, era diventato la fiamma spirituale di una popolazione che credeva fermamente nella vita dopo la morte. Prima e dopo Ramsete II ci furono molti faraoni, ma pochi restarono al potere quanto lui che fu punto di riferimento della civiltà egizia per ben sessantasette anni.
A differenza di molti dei suoi predecessori, Ramsete II non era di stirpe reale. La sua famiglia faceva parte della milizia egiziana. Ma quando suo nonno, Ramsete I, fu nominato coreggente del faraone Horemheb, che non aveva figli, il giovane Ramsete II entrò nella linea di successione al trono. Nel 1306 a.C., Horemheb morì, lasciando il suo regno a Ramsete I e così ebbe inizio la XIX Dinastia.
In quell’epoca prospera della storia d’Egitto, conosciuta come età dell’oro, tutti i sovrani si sforzavano per mantenere la posizione dello Stato dentro e fuori dalle sue frontiere, dopo i profondi cambiamenti avvenuti negli anni precedenti. Uno dei cambiamenti più devastanti avvenne durante la XVII Dinastia. Il più forte vincolo d’unione dell’Egitto, la religione, fu stravolto: il faraone Akhenaton cercò di imporre un sistema di culto in cui i numerosi dei egiziani lasciavano il posto a un unico dio, Aton, il Sole. Fu un cambiamento drastico per gli Egizi che sentivano la mancanza delle precedenti credenze, ma poco potevano contro il potere supremo del faraone. Alla sua morte, i monarchi successivi, compreso Tutankhamon, si dedicarono a lungo a riparare al danno causato da Akhenaton.
Nel 1306, Ramsete I, come i faraoni che lo avevano preceduto, cercò di guadagnarsi la lealtà dei sudditi ripristinando le antiche credenze e le numerose divinità. Nel frattempo, suo figlio Seti riceveva una formazione militare per poter recuperare il terreno perduto. Sia Seti I sia suo figlio Ramsete II furono fondamentali per la ricostruzione del regno d’Egitto e il risorgere del paese.
Nel 1305, dopo la morte di Ramsete I, il potere passò al figlio Seti I. All’epoca, Ramsete II aveva soltanto nove anni ma, in quanto erede al trono, veniva già istruito per il compito che avrebbe dovuto svolgere in futuro. Imparò a leggere e a scrivere e seguì studi religiosi e militari. Quando compì dieci anni, suo padre lo nominò generale dell’esercito. Questo era però soltanto un titolo, perché la sicurezza del futuro re era fondamentale e pertanto egli non poté partecipare a nessuna campagna militare che potesse mettere in pericolo la sua vita. Verso i quattordici anni, dopo sette anni di governo di suo padre, Ramsete fu nominato coreggente e ottenne la carica più importante dell’Antico Egitto che presupponeva la condivisione del trono con il faraone. Le iscrizioni dell’epoca lo descrivono come un «astuto giovane governante». Seti, che voleva insinuare saldamente nella mente del popolo egiziano l’idea dell’autorità di Ramsete, annunciò ai sudditi la sua intenzione di designarlo erede e, nominandolo coreggente, fugò ogni dubbio su chi sarebbe stato il faraone successivo.
Al giovane principe furono assegnati un palazzo e un grande harem, perché era necessario avere molte donne per poter garantire il futuro della XIX Dinastia. Concepire il maggior numero di discendenti era uno dei suoi obblighi di erede, e pare che Ramsete II prendesse molto sul serio questo obbligo. Ebbe almeno mezza dozzina di mogli ufficiali e varie compagne di stato inferiore, senza contare le numerose concubine. Nel decennio del regno di suo padre, ebbe più di dieci figli maschi e molte figlie femmine. La discendenza era assicurata e, con essa, la continuità della XIX Dinastia.
Oltre a essere un padre giovane, aveva anche molte altre responsabilità. Da quando iniziò a condividere il potere con il faraone, lo accompagnò anche nelle imprese militari. A quindici anni lottò al suo fianco in Libia, un anno più tardi lo fece sulla frontiera con la Siria e a ventidue dirigeva la guerra senza l’aiuto di Seti. Le campagne militari, comunque, lo occupavano solamente due o tre mesi all’anno. Nel resto del tempo si occupava di controllare lo sfruttamento delle cave per la costruzione degli enormi monumenti che sono diventati il sinonimo dell’antica civiltà egizia. In quegli anni, ad esempio, visitò luoghi come Assuan e, forse, fu lì che nacque il suo immenso interesse per la costruzione.
«Era ambizioso e i suoi edifici sono i più grandi costruiti tra la Grande Piramide e l’arrivo dei Romani. Era impegnato a costruire ciò che nessuno aveva mai costruito prima» spiega Kenneth A. Kitchen, archeologo e professore dell’Università di Liverpool. Dopotutto, la costruzione, la strategia militare e il procreare sono compiti di un faraone e Ramsete II eccelse in tutti.
Il faraone onnipotente
Quando nel 1290 a.C. Seti morì, Ramsete II era ormai molto preparato per salire al trono. Non si sa a quale età esattamente fu incoronato terzo faraone della XIX Dinastia, ma alcuni studi indicano che doveva avere appena compiuto i vent’anni. Si era preparato per un intero decennio, e quando giunse al potere una delle sue prime azioni fu quella di far innalzare costruzioni monumentali che rappresentassero la sua immagine onnipotente, cosa che tutti i faraoni erano obbligati a fare. «Volle lasciare una traccia di sé in tutti i luoghi importanti. Poiché i suoi monumenti erano enormi e lui fu uno degli ultimi faraoni, le sue opere sono sopravvissute meglio delle costruzioni dei re precedenti» dice la curatrice del Dipartimento di Arte egizia del Metropolitan Museum of Art di New York, Catherine H. Roehring. «Fu molto longevo e quindi ebbe molto tempo per far costruire statue che lo ritraessero e che, oltretutto, fossero più grandi e più belle di quelle degli altri re» spiega l’egittologa e scrittrice Barbara G. Mertz. È per questo motivo che il nome di Ramsete II è quello che si trova con maggiore frequenza sui monumenti antichi.
Lo scopo di tutti questi monumenti e di tanto splendore era che il popolo – che aveva poche occasioni di vedere il faraone – provasse nei suoi confronti sia ammirazione sia timore. «Potevano vedere la sua magnificenza, il suo potere e la sua grandezza solamente attraverso le statue» spiega Rita Freed, curatrice del Dipartimento di Arte egizia, nubiana e del Vicino Oriente del Museum of Fine Arts di Boston. «La maggior parte delle opere artistiche e letterarie dell’Antico Egitto» aggiunge «avevano fine propagandistico e quindi abbiamo soltanto una visione unilaterale delle cose: l’immagine di eroe, di grande militare e di buon padre che Ramsete II voleva lasciare». Pertanto, quella specie di ossessione per la costruzione di templi enormi e spettacolari era un modo per perpetuare l’idea che fosse un re grande e potente quanto i faraoni che lo avevano preceduto.
Molte delle più imponenti costruzioni architettoniche dell’Antico Egitto furono erette proprio durante il Nuovo Regno. Templi maestosi che sono diventati simboli di quell’antica civiltà furono costruiti durante il regno di Ramsete II. Il suo vasto progetto di costruzione era simbolo evidente del potere dell’epoca. Non solo si dedicò a disseminare le sponde del Nilo di costruzioni enormi e splendide, ma usurpò addirittura la paternità di alcune di esse ai suoi predecessori, compreso suo padre: la sua attività in questo campo superò largamente quella di altri faraoni. Trasferì la capitale a Pi-Ramses, città sul delta del Nilo che era già stata capitale durante la XV Dinastia e durante la dominazione degli Hyksos che le avevano dato il nome di Avaris. Dopo che fu distrutta nella guerra contro gli Hyksos, Ramsete II la ricostruì sfruttando il lavoro degli schiavi ebrei, come vedremo più avanti. Nella Bibbia la si indica semplicemente come Ramses o Ramesse. Fece ampliare il tempio di Abydos, modificò in modo consistente il tempio di Amenofis III, eresse l’enorme costruzione funeraria del Ramesseum a Tebe o i templi in Nubia, il più famoso dei quali è quello di Abu Simbel, il più grande tempio al mondo intagliato nella roccia. In esso ci sono quattro statue di più di 20 metri d’altezza che raffigurano Ramsete seduto. Era questo il modo per testimoniare al meglio la sua posizione di potere in quanto la dimensione era, in Egitto, indice di importanza. Il tempio è dedicato agli dei Amon e Ra, ma lo stesso Ramsete appare come una divinità.
Va ricordato che nell’Antico Egitto il re era considerato un essere divino il cui compito era quello di fungere da intermediario tra gli dei e il popolo, intercedendo per esso. La responsabilità più grande del faraone, in quanto essere vivente, era però quella di conservare l’ordine della civiltà egizia. Ramsete prese molto sul serio il suo ruolo di divinità e, pur se non fu il primo faraone ad esigere di essere adorato come un dio, fu il primo a farlo in modo tanto esplicito e il primo a dedicare a se stesso templi e statue in modo tanto sistematico. Inoltre fu tra i pochi faraoni – insieme a Hatshepsut o Amenothep III – a credere realmente (o fingere di credere) di essere stato generato dall’onnipotente dio Amon-Ra.
Ad Abu Simbel, dietro alle quattro statue sedute, si innalza l’ingresso di un tempio che si addentra nella montagna per circa 60 metri. In esso si osservano otto figure di Ramsete con l’immagine del dio dei morti, Osiride, a custodia del corridoio che termina nella stanza sacra. Qui si trovano le statue delle grandi divinità egizie e Ramsete appare seduto tra di loro. Ma c’è di più: come osserva Rita Freed, «si vede il re Ramsete in adorazione del dio Ramsete, in un’immagine molto interessante in quanto egli stesso si rappresenta come divinità. Nessun altro re era stato tanto sfacciato».
Ancora oggi l’Egitto è disseminato di statue di Ramsete II. Erano simbolo di un re che in realtà molto pochi potevano vedere ma che era idolatrato da tutti, pur se alcuni eruditi sostengono che Ramsete II fu non soltanto il faraone dedito a erigere costruzioni in tutto l’Egitto servendosi della manodopera degli schiavi, ma anche il faraone dell’oppressione. Ma Edward F. Wente, egittologo e professore presso l’Istituto Orientale dell’Università di Chicago, puntualizza: «È un errore vedere il faraone come un tiranno che si imponeva sul suo popolo: egli infatti simboleggia l’aspirazione a raggiungere il cielo e rappresenta il popolo innanzi agli dei. Se l’Egitto serviva gli dei, gli dei servivano il popolo, lo benedicevano e gli garantivano la prosperità».
Il guerriero coraggioso
Nei primi anni del suo regno, Ramsete II si sforzò di conservare la pace interna ottenuta dai suoi predecessori. Durante i primi tre anni, visse una vita tranquilla. Concentrò l’attenzione sulla costruzione di enormi monumenti, con incisioni numerose di geroglifici e bassorilievi in tutto il paese. Non diede inizio alla sua prima campagna militare come faraone fino al quinto anno del suo regno. Nel 1286 iniziò una spedizione al fine di controllare l’intera costa orientale del Mediterraneo e recuperare le frontiere dell’impero dell’epoca di Tutmosi. I suoi sforzi ebbero successo e lui e le sue truppe tornarono vittoriosi dopo avere ripreso agli Ittiti una fascia costiera che si estendeva dall’attuale Suez fino al Libano settentrionale.
Gli Ittiti, come gli Egizi, possedevano tecniche militari molto avanzate e temute dai nemici. L’invasione delle loro terre da parte di Ramsete causò una forte tensione tra i due paesi. L’anno successivo, le due potenze si prepararono a combattersi in uno scontro conosciuto come battaglia di Kadesh. Kadesh era una città fortificata ittita che chiudeva il passaggio per la valle del fiume Oronte (oggi Nahr Al-Asi), situata a nord dell’attuale città di Damasco, all’altezza della città libanese di Tripoli. Sarebbe diventata la frontiera tra il regno egizio e quello ittita, il punto dove si sarebbe fermata l’avanzata egizia verso la riconquista di quello che era stato, all’inizio del XV secolo a.C., il regno di Tutmosi I, che si spingeva fino all’Eufrate. Né Seti, né Ramsete II riuscirono a oltrepassare Kadesh. Fu lì che avvenne lo scontro tra l’esercito egizio e la coalizione sirio-ittita del re Muwatalli, uno dei momenti più celebrati e più documentati del regno di Ramsete II. Eppure, se si analizzano i diversi documenti dell’epoca il risultato della battaglia è incerto, perché ognuna delle parti diede degli eventi una versione notevolmente diversa. Gli esperti sostengono che probabilmente la verità si trova a metà tra i racconti trionfalistici degli Egizi e quelli degli Ittiti.
Si racconta che Ramsete divise i ventimila uomini del suo esercito in quattro unità. L’avanguardia catturò quelle che riteneva essere spie ittite, ma queste presunte spie altro non erano che soldati distaccati in quel luogo dagli Ittiti per far credere agli Egizi che i loro nemici si trovavano a più di 150 chilometri. Ramsete, senza sospettare l’inganno, continuò a guidare la sua prima unità verso il nord, in una zona vicina a Kadesh. Attraversato il corso d’acqua di Al-Mukadiyeh, decise di accamparsi sulla sponda settentrionale e, mentre i soldati erano intenti a montare l’accampamento, giunse una terribile notizia: gli Ittiti, in realtà, si trovavano a meno di 3 chilometri. Ramsete era furioso perché era caduto in un’imboscata. Il suo esercito si trovava molto distante quando gli Ittiti sferrarono l’attacco. I rinforzi giunsero appena in tempo per salvare il loro capo.
Il resto della storia è colmo di contraddizioni. Dopo tremilacinquecento anni è molto difficile sapere con certezza che cosa accadde dopo l’arrivo dei rinforzi militari di Ramsete, perché i resoconti scritti delle due parti danno versioni diverse degli eventi. «Leggendo la descrizione dei fatti secondo Ramsete, si può pensare che si trattò di una delle strategie militari più brillanti della storia perché, avendo indovinato che cosa sarebbe successo, fu dato ordine alle truppe di nascondersi e farsi avanti al momento giusto» spiega l’egittologa Barbara G. Mertz. Gli storici assicurano, però, che Ramsete ignorava la strategia degli Ittiti e furono il suo coraggio e il suo esercito venuto in soccorso a permettergli di vincere la battaglia. «Non riuscì a scacciare gli Ittiti ed è più corretto parlare di un risultato di pareggio tra gli eserciti dei due paesi» commenta Kenneth A. Kitchen, professore di archeologia presso l’Università di Liverpool.
Che la proclamazione di Ramsete come vincitore corrisponda al vero oppure no, è meno importante del modo in cui egli presenta se stesso agli dei. La sua impresa è narrata in una delle migliori opere egizie di poesia epica, il Poema di Kadesh inciso a profusione sui templi di Luxor, Karnak e Abydos, dove Ramsete è sempre descritto come eroe. Le numerose descrizioni della battaglia, di cui si autoproclama vincitore (e che afferma di avere combattuto praticamente da solo guidato dal dio Amon), intendono dire agli dei che lui meritava la sua posizione di potente re di un regno, pur se alla fine non fu capace di sconfiggere gli Ittiti.
«Dopo quindici o venti anni di guerra, Ramsete si rese conto che non sarebbe riuscito a vincere e decise di firmare la pace. In questo modo si inaugurò un periodo di prosperità economica e culturale, un’epoca d’oro che si estese per diverse generazioni» indica il professor Kitchen. Ramsete riuscì a firmare con il re ittita Hattusil un trattato di pace che alcuni storici considerano essere il primo di cui si abbia notizia, pur se altri sostengono che ne esistettero di precedenti tra Egizi e Ittiti. Questo trattato di pace fu suggellato con un matrimonio. Ramsete prese in sposa una principessa ittita per dimostrare le sue buone intenzioni ma, in realtà, la nuova sposa non fu altro che una delle tante donne del suo harem. Una volta assicurata la pace, Ramsete si dedicò a conservare il suo regno che occupava il territorio delimitato a sud dal Sudan, a nord dal Mediterraneo, a ovest dalla Libia e a est dal fiume Oronte.
Perpetuazione della dinastia
È impossibile viaggiare in Egitto senza essere testimoni delle numerose opere costruite da Ramsete II e toccare con mano il suo potere. Le iscrizioni e i bassorilievi descrivono la sua determinazione nel conservare la sua civiltà, e le pareti di molti templi mostrano quanto fosse orgoglioso dei suoi figli. La sua famiglia era numerosissima e aveva sempre accanto a sé due regine principali. «Registrati accanto al nome di Ramsete, ci sono più nomi di regina di quanti ce ne siano accanto a qualsiasi altro monarca egizio» dice l’egittologa Barbara G. Mertz.
Tra tutte le sue mogli principali, che furono più di mezza dozzina, ce n’è una che occupa un posto particolare: Nefertari. Secondo vari documenti antichi, Nefertari fu la donna che Ramsete amò di più. Il faraone la onorava facendo sì che la sua presenza fosse conosciuta in tutto il regno. Ad Abu Simbel, accanto all’enorme tempio, ne esiste un altro più piccolo dedicato alla dea egizia Hathor e all’amata sposa. In questo tempio sono state ritrovate figure scolpite stilizzate che rappresentano Nefertari con accanto quattro statue del suo devoto marito. Nefertari ebbe numerosi figli ma né lei, né i suoi figli sopravvissero a Ramsete.
Ramsete pianse per anni la morte dell’amata sposa e la sua devozione per lei è ben testimoniata dal luogo destinato alla sua sepoltura, nella Valle delle Regine. La tomba di Nefertari si trova a 12 metri di profondità e occupa uno spazio di 1.740 metri quadrati decorati splendidamente. Sono in molti gli esperti che concordano sul fatto che la tomba di Nefertari sia la più bella tra tutte quelle conosciute. La mummia scomparve molto tempo fa ma, grazie agli sforzi di preservazione del Dipartimento di Antichità egizie del Getty Conservation Institute di Los Angeles, molti dei bassorilievi sono stati restaurati e riparati. Secondo le credenze della religione egizia, le diverse scene che Ramsete fece dipingere sulle pareti servivano a permettere che Nefertari potesse accedere all’altro mondo senza ostacoli di sorta. La ricchezza del luogo è prova dell’amore di Ramsete II e del suo desiderio che Nefertari compisse il viaggio nell’aldilà in tutta sicurezza e con la speranza di potersi un giorno incontrare nuovamente. Il faraone le sopravvisse per più di quarant’anni.
Nonostante la tristezza per la perdita di Nefertari, Ramsete II, in quanto sovrano di un impero, doveva continuare a procreare per garantire la continuità dinastica dopo la sua morte. La successione era fondamentale. Prima che suo nonno salisse al trono, ci fu un periodo di grande conf...
Indice dei contenuti
- Copertina
- I grandi enigmi della Storia
- Premessa
- CIVILTÀ SCOMPARSE
- TESORI OCCULTI
- FENOMENI INESPLICABILI
- PERSONAGGI LEGGENDARI
- LEGGENDE NAZISTE
- MISTERI RELIGIOSI
- Bibliografia
- Inserto fotografico
- Copyright