
- 224 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Il mondo di Herovit (Urania)
Informazioni su questo libro
Herovit è uno scrittore di fantascienza che non riesce a finire il suo ultimo romanzo sulla Squadra galattica di esplorazione. Come conseguenza, deve soldi al suo agente. Come corollario, la moglie minaccia di cacciarlo di casa. Il soccorso arriva (o così sembra) dal mondo misterioso della Squadra galattica, nella persona del suo asso Kirk Poland. Il comandante Kirk si materializza nella realtà e offre a Herovit la soluzione di tutti i problemi. Perché non fidarsi di lui? Perché non cedere alla tentazione di diventare Kirk? Forse perché il prezzo da pagare è la libertà, la cessione definitiva dei diritti sulla propria mente.
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Informazioni
Argomento
LetteraturaCategoria
FantascienzaIL MONDO
DI HEROVIT
Traduzione di Giuseppe Lippi

IL MONDO
DI HEROVIT
Per Lee Wright e Robert P. Mills
La sfera sfrecciò verso la superficie a velocità immane e quando Mack Miller la fissò capì benissimo che quella sfera era qualcosa di completamente nuovo nell’esperienza della Squadra di ricognizione. Era così strana e incredibile che sfidava la conoscenza di chiunque, sulla Terra!
Eppure, pensò avanzando orgogliosamente incontro agli alieni, lui avrebbe fatto del suo meglio. Non si poteva chiedere di più, a un membro della Squadra, ma di solito bastava. Sarebbe bastato anche adesso? O era troppo tardi?
Eppure, pensò avanzando orgogliosamente incontro agli alieni, lui avrebbe fatto del suo meglio. Non si poteva chiedere di più, a un membro della Squadra, ma di solito bastava. Sarebbe bastato anche adesso? O era troppo tardi?
KIRK POLAND
Ricognizione fra le stelle
Ricognizione fra le stelle
C’è una lunga strada fra il declino di un uomo e la sua morte.
ISAAC BASHEVIS SINGER
1
Al secondo cocktail annuale della Nuova lega professionisti della fantascienza, Jonathan Herovit si vede accerchiato da due lettori arrabbiati che fra l’altro disprezzano il suo lavoro. — Fai schifo, Herovit. Scrivi quelle cazzate da tanto tempo che sono andate a male, e farai meglio a levarti dalla fantascienza prima che ti buttiamo fuori noi — dice il più alto e forte dei lettori... E siccome dev’essere ubriaco, butta un mezzo bicchiere di scotch e soda sulla faccia magra e un po’ querula di Herovit. Poi, rendendosi conto di quello che ha fatto, si scusa in fretta e arretra, con un’aria triste che ricorda quella di Mack Miller quando la Squadra si trova di fronte a un enigma all’apparenza insolubile. — Comunque — conclude il ragazzo — è chiaro che tutti hanno il diritto di vivere.
L’altro fan è una ragazza, vestita in modo uguale al suo compagno, e commuove Herovit per la sua blanda espressione di solidarietà. — Non se la prenda troppo, signor Herovit — dice. — Bill è matto per le cose che riguardano voi scrittori e la fantascienza, ma è vero che lei ha un po’ perso la sua grinta, no? — Poi esce dalla stanza in fretta, tirando Bill per la mano, e si vede che lui trema.
Non se n’è accorto nessuno, pare. I professionisti della fantascienza sono indaffarati a parlare negli angoli con curatori di collane e antagonisti, a promuovere le loro carriere, a rinfocolare vecchi rancori. Herovit prende un fazzoletto dalla tasca posteriore, lo apre con movimenti bruschi ed esegue una cauta operazione sulle macchie che stanno per rapprendersi. Dopo aver inutilmente tamponato la giacca, decide di lasciar perdere.
È una macchia simbolica. La porterà come un’insegna. Nella stanza tutto continua come prima, forse l’incidente si è verificato solo nella sua testa: un fenomeno allucinatorio. Questo capita a fare lo scrittore di fantascienza per vent’anni; prendersi sul serio diventa difficile.
Ed è tipico dei problemi di cui soffre ultimamente, anzi da un po’ di tempo. Finisce il drink domandandosi, fra l’altro, come abbiano fatto due fan a infiltrarsi in un party come questo. In tutte le comunicazioni era descritto come un incontro riservato ai più seri editor e scrittori del ramo, i protagonisti della fantascienza e coloro che, ognuno a suo modo, si dedicano anima e corpo al suo avanzamento.
2
Quella notte, dopo il party, Herovit sogna il ragazzo che gli ha buttato lo scotch in faccia e si sveglia con gemiti di terrore, rendendosi conto che è la prima, sincera attenzione critica che abbia ricevuto in diversi anni, perlomeno da quando un paio dei suoi romanzi sono stati favorevolmente recensiti nella rubrica mensile di un quotidiano della costa ovest (“... Né dovranno mancare al vostro carnet natalizio i due ultimi libri dell’onnipresente Kirk Poland...”). Cerca la moglie accanto a sé, deciso a raccontarle l’accaduto e a cominciare un serio discorso sulla vita che si è scelto, ma all’ultimo momento, quando già le dita sfiorano la ragazza al suo fianco, si rende conto che da parecchi anni si dedica all’adulterio estemporaneo e che la giovane fan tranquillamente addormentata nel suo letto d’albergo potrebbe reagire con un moto di rabbia, se si svegliasse e si trovasse in presenza di un Jonathan Herovit che biascica confessioni d’inadeguatezza nell’incavo della sua schiena. E in certi ambienti si spargerebbe la voce che lui perde colpi.
Herovit si solleva e si gira dall’altra parte. Decide che nelle settimane a venire rifletterà attentamente sulla sua posizione nel campo, e se le cose continueranno a sembrargli brutte come in questo momento, forse comincerà a pensare all’eventualità di ritirarsi temporaneamente dal gioco. Sì, sì.
Si addormenta.
3
A mano a mano che si avvicina ai quarant’anni, ne ha trentasette e le cose non vanno più come un tempo, biologicamente ma non solo, Herovit si sente come il personaggio di uno dei suoi vecchi romanzi a puntate per “Tremendous Stories”. Gli eventi premono su di lui; forze estranee e bizzarre lo assillano. Il suo talento, come quello di Mack Miller, va deteriorandosi in una sfilza di episodi mal riusciti. Il tessuto della sua esistenza è logoro, ma che altro gli resta? I lettori hanno bisogno di lui. Deve stringere i denti, risolvere il problema e fare un buon rapporto al quartier generale.
Il guaio è, ormai comincia ad ammettere l’esistenza di qualche intoppo, che nei vecchi romanzi a puntate i protagonisti avevano sempre a disposizione una macchina. Sotto la plancia, in qualche recesso dell’astronave o sul tavolo da disegno dei tecnici c’era un marchingegno che poteva respingere gli alieni quando cominciavano a farsi pressanti; e se ogni altra risorsa mancava, gli extraterrestri che fino a quel momento avevano minacciato il vecchio Mack (vorrebbe poterlo incontrare, il vecchio Mack, perché allora lui, Jonathan Herovit, lo strozzerebbe) rivelavano di avere avuto fin dall’inizio intenzioni benevole. Era semplice: se lo facevi di quindicimila parole lo piazzavi da Steele, se lo rimpolpavi fino a sessantamila andavi per i diritti dell’edizione in volume. E magari potevi fare le due cose insieme. Perché no? Di solito si fanno le due cose. Puoi sempre rivendere i diritti librari di un racconto già comprato da Steele, a patto di scendere abbastanza in basso.
Ma la situazione in cui si trova Mack Miller, ricordatelo sempre, non è la tua. Herovit non può fare ricorso a nessun macchinario per liberarsi dei problemi in cui è immerso, e qualunque sia la natura delle forze misteriose, non è certo benevola. (In certi momenti può sentirle premere, e benigno non è il loro nome). Tuttavia, come Mack Miller, lui deve tirare avanti, anche se per ragioni diverse.
Tirare avanti. Herovit è uno dei dieci-quindici scrittori di fantascienza più prolifici del paese, con un pubblico di settanta-ottantamila lettori nei tascabili e molti altri sulle riviste. Quanti scrittori seri hanno un pubblico così numeroso? Esistono settantamila lettori per Stanley Elkin? O per Evan Connell? Eccoli relegati all’edizione rilegata, dove diecimila copie è considerato un buon risultato e il tascabile viene solo molto dopo, se pur viene. Herovit, invece, è uno scrittore di massa. La gente lo legge sull’autobus e nei gabinetti pubblici. Non è certo questo il problema della sua carriera, né il fatto che capiti a lui; no, deve guardare più a fondo, andare alla radice della questione. Perché fare il suo lavoro è comunque faticoso, e molti dei suoi personaggi non guardano affatto dentro se stessi. Guardare dentro se stessi rallenta l’azione.
Nei momenti più surreali Herovit sente che il West Side della città è diventato un pianeta misterioso, popolato da oggetti e archetipi che si esprimono in lingue sconosciute, accompagnate da gesti che possono solo terrorizzare... Eppure ha una moglie e ora, maledizione, una bambina. È attaccato a Manhattan perché è il centro della sua vita, per non parlare del lavoro, e quel senso d’irrealtà è solo neurastenia. Una volta ha cercato nel dizionario medico, ed è una grande parola. Conferisce una certa dignità alla situazione.
4
Herovit vorrebbe già essere a pagina quaranta del nuovo romanzo con Mack Miller e la Squadra di ricognizione, che la Branham Books pubblicherà sotto lo pseudonimo Kirk Poland. All’inizio aveva pensato di scrivere con il suo vero nome, ma John Steele, venerabile direttore di “Tremendous Stories” all’epoca in cui Herovit s’era affacciato sulla scena, aveva decretato che “Jonathan Herovit” non avesse il suono giusto per la nuova immagine della rivista; meglio usare uno pseudonimo con cui i tecnocrati e gli adolescenti disturbati che leggevano “Tremendous” potessero identificarsi facilmente.
— Insomma, giovanotto, Jonathan Herovit ha un suono troppo urbano, troppo europeo e cosmopolita per la mia pubblicazione — aveva detto Steele, strizzando ferocemente l’occhio e alzando le enormi braccia verso il soffitto, mentre il torace si gonfiava di fumo di sigaretta. — Ha un che di tipicamente newyorkese, se mi segui, e la nostra è una rivista a diffusione nazionale. Vendiamo bene anche nel sud, e l’esercito compra migliaia di copie per distribuirle attraverso i suoi canali.
Herovit, che non era un cretino, aveva mangiato la foglia. — Sicuro — aveva detto — magari potremmo accorciarlo per dargli un suono più ariano. Qualcosa come “John Herr” per cominciare a vendere. O anche...
— Quello che ci vuole, giovanotto, è un bel nome americano. — Steele aveva una pessima abitudine, quella di continuare nella sua linea di pensiero qualunque cosa dicessero gli altri. Ma Herovit aveva deciso che fosse un segno della sua grandezza: perché un John Steele avrebbe dovuto cambiare parere quando la sua tiratura era di sessantamila copie e quella degli altri di quarantamila al massimo? Certo, le riviste più recenti come “Thrilling” e “Thoughtful”, la concettosa, lo pungolavano un po’ ai fianchi, ma lui restava il grand’uomo della fantascienza e tale sarebbe rimasto. — Magari un tocco bizzarro nell’insieme, un pizzico di esotismo, capisci, ma non devi mai essere aggressivo con i lettori. Se non riesci a inventare uno pseudonimo efficace lo farò io, come ho fatto per tanti altri, e naturalmente devi prima vendermi un racconto. È il requisito principale, no? Ora come ora ho l’archivio pieno, ma tu tenta pure. Chiunque è il benvenuto se è disposto a tentare, perché dobbiamo pompare sangue nuovo. — Così aveva detto Steele congedando Herovit (all’epoca ventiduenne e single) dal suo cubicolo nella gigantesca casa editrice di pulp magazine, un angolo insignificante ricavato tra l’ufficio posta e la stanza dei fattorini.
Herovit era stato più che ansioso di tentare e di entrare nel campo della fantascienza, per cui aveva ascoltato Steele in tutto. Non era soltanto ambizione: dopo un periodo di prova era stato licenziato dal Dipartimento servizi sociali del comune di New York, e in quel momento della vita vedeva un solo mezzo per procurarsi il soldo veloce di cui aveva bisogno: il mercato dei pulp, che nessuno sospettava essere sull’orlo della catastrofe.
Così, troppo orgoglioso per permettere che fosse Steele a decidere il suo nome, si era deciso per Kirk Poland, un pò perché il dannato governo Gomulka teneva le prime pagine in quel periodo, e un po’ perché il suo padrone di casa, nonché creditore, si chiamava Joe Poland. Sotto quel nome – Kirk, non Joe – aveva venduto a Steele il primo, lungo racconto dopo un mese dall’incontro in redazione. Kirk era un buon nome: a un uomo che si chiamava così non sarebbe capitato niente di irreparabile, a patto di mettersi d’impegno.
Da allora Herovit ha venduto cinquecentotre racconti e novantadue romanzi firmati Kirk, che fin dall’inizio ha immaginato (forse in sogno, anche se non è mai stato bravo a individuare l’origine delle cose) come un uomo alto, magro, un po’ curvo, con mani incredibili e grandi occhi infossati. Un uomo che non ha problemi a venire, sia in una cosa lenta che in una sveltina. Kirk, d’altronde, non è mai riuscito a scrivere romanzi porno: gli danno, o meglio danno a Herovit, i sudori freddi e un livido senso d’imbarazzo, come se sua suocera dovesse leggere le pagine man mano che escono dalla macchina da scrivere, di sopra la spalla. Comunque, oggi che il mercato del sesso è crollato ed è troppo tardi per strisciare da sotto lo pseudonimo e cercarsi un’altra identità, Herovit si pente di aver seguito acriticamente il suggerimento di Steele. Se avesse agito per conto suo, sarebbe diventato un bravo scrittore.
D’altra parte (e questo deve ricordarlo sempre) ci sono migliaia, forse milioni di persone che hanno tentato di fare gli scrittori a tempo pieno e hanno fallito, per cui ha motivo di essere grato. Grato, sì, anche se l’anno scorso ha guadagnato solo undicimila e quattrocento dollari e solo pochi fan e un pugno di lettori bene informati sanno che è lui, Jonathan Herovit, l’artefice della Squadra di ricognizione di Mack Miller, non Kirk Poland. In diciassette anni come scrittore professionista, Kirk ha ricevuto esattamente dodici lettere di ammiratori e una profferta sessuale da una donna che affermava di avere quarantun anni ma di essere appassionata di marchingegni, e che, grazie a un particolare addestramento ricevuto negli anni Cinquanta, se ne intendeva ancora.
“‘Lothar, vai di sotto ed esamina la tavola degli elementi. Cerca accuratamente e vedi se riesci a trovare la tanamite. Fai presto, marinaio’ disse il comandante con voce ferma e tranquilla” scrive Herovit, e di colpo si blocca nel mezzo del novantatreesimo romanzo. È il momento di farsi venire delle idee per il lato scientifico della trama. La cosa da fare (ci è già passato tante volte, perché turbarsi proprio adesso?) è buttare giù una lunga scena fra il comandante e il primo ufficiale, Lothar, entrambi extraterrestri assai poco simpatici, e presentare la misteriosa sostanza che centocinquantanove pagine più tardi segnerà la loro disfatta. Ma Herovit, fissando la ventunesima cartella infilata nella macchina, si rende conto che non può farlo. Non per l’ennesima volta. Esiste questa tanamite o è solo nell’immaginazione di un pazzo? si chiese oziosamente Lothar, mentre trottava come uno schiavo fedele a eseguire la volontà del padrone. Herovit non può sul serio. Non ce la fa. Non regge più una sola riga di descrizione, e non c’è verso che possa prendere sul serio i personaggi: Lothar e il comandante sono figure già apparse in almeno settantatre avventure complete e originali. Un giorno si sarebbe vendicato del comandante: sarebbe stato terribile e l’equilibrio fra loro si sarebbe ristabilito, ma non poteva accadere in questa spedizione, temeva Lothar. Ascoltò il brusio dei motori giganti che instancabili li portavano verso il loro destino e l’inevitabile conflitto che li attendeva. Semplicemente, non ce la fa più a scrivere frasi come queste.
Il guaio è (meglio affrontare le cose, non è uomo da autoingannarsi) che Herovit sta andando in pezzi. Dagli oblò neri e cristallini che inquadravano le coordinate, poteva vedere le costellazioni di un’altra galassia, avere la sensazione di mille nuovi soli e le avventure che sarebbero seguite. A quel pensiero si riempì di umiltà e timore reverenziale, pur nel suo basso rango. Lo sforzo psichico dello scrivere, la marginalità del genere fantascientifico e le difficoltà della sua vita personale si sono coalizzati negli ultimi mesi. Adesso Herovit non è affatto sicuro di potersi prendere sul serio, per non parlare del lavoro. Era qualcosa da far riflettere, l’aspetto delle stelle. Pochi le avevano viste, meno ancora sarebbero tornati alle galassie d’origine per raccontare la storia. Il romanzo che dovrebbe scrivere è il ventinovesimo della serie Conquistatori della ricognizione. Il suo agente ha negoziato un anticipo standard di duemila dollari a valere sul quattro virgola sei per cento dei diritti per l’edizione tascabile, mille alla firma del contratto e mille alla consegna. Herovit ha un bisogno disperato degli altri mille dol...
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