“Chiuda gli occhi, immagini che la paura assuma dentro di lei il volto di una donna antica…” Con queste parole invito i miei pazienti a diventare esseri cosmici. Trasformare l’ansia in un’immagine è un’alchimia: è ragionare con i codici dell’anima.
Il panico non è un nemico da sconfiggere, ma la manifestazione di un’energia primordiale, soffocata da un atteggiamento verso il mondo che non corrisponde all’essenza di chi lo vive.
Guardarsi non significa volersi bene, piacersi, stimarsi.
Guardarsi è semplicemente percepire cosa accade adesso nel nostro mondo interiore, lasciar emergere sentimenti, emozioni, stati d’animo. Bisogna accoglierli e lasciarli lì dove sono e così come sono. È necessario percepire la loro presenza e cedere, senza resistere. Perché ogni volta che guardo, che percepisco l’interno senza esprimere alcun giudizio, sono nella casa dell’anima. Che non vive nel tempo, che non sa cosa farsene dei nostri ricordi, della rievocazione del passato. Siamo ciò che siamo perché una trama invisibile sta tessendo l’essere che sono e che non conosco. Il lato più prezioso di me è nascosto e segreto. Questo libro è dedicato a chi vuole che questo segreto rimanga tale. Non c’è niente di peggio che spiegare ciò che sono adesso attraverso ciò che sono stato.
“Non so chi sono, non so dove devo andare, non so cosa è meglio per me, non c’è niente da decidere, nessun progetto da realizzare.” Queste sono le parole che l’anima adora. Non c’è un passato che mi ha creato, non c’è una storia di cui mi devo rendere conto. Il tempo non esiste per l’anima che, come i sogni, vive di immagini senza tempo.
Se per il mondo interno il tempo non conta, neanche un secondo ci separa dal primo giorno della creazione e quindi il principio cosmico che abita in ciascuno di noi è sempre identico. Fuori dal tempo, nel buio, nel vuoto, nel nulla, qualcosa crea l’essere che sono. Solo se ragioniamo come l’illimitato che ci abita possiamo riuscire a vivere una vita piena, che si realizza secondo la natura di ciascuno di noi. Se per l’anima il tempo non esiste, le sue funzioni sono eterne. Dobbiamo ragionare secondo gli “eterni” che la abitano.
“Guarire senza medicine”, allora, significa prima di tutto e più di tutto comprendere che siamo abitati da un principio cosmico che ha la sua dimora nelle zone più antiche del cervello e da lì irradia la sua forza smisurata, il suo immenso potere di guarigione. Qualcosa dentro di noi sa curarci… meglio di qualsiasi farmaco.
Ogni disagio è ricco di risorse da sfruttare
Nell’ipotalamo gli stati energetici (emozioni, sentimenti, paure, disagi) si trasformano in ormoni, sostanze che modificano l’organismo. Il mio modo di vedere il mondo e di starci dentro, le mie idee e le mie relazioni possono diventare il perno della salute o l’inizio di una malattia. Più di tutto è importante il nostro modo di stare con noi stessi. C’è qualcosa che posso fare quando sto male? Ci sono leggi del mondo interno dell’anima capaci di curarmi e di guarirmi? Tanti anni di lavoro mi hanno insegnato che cambiando il modo di stare con se stessi si possono ottenere risultati prodigiosi.
E allora, niente medicine? No, ci sono patologie per cui i farmaci sono decisivi, come l’infarto, il cancro e le malattie genetiche. Ma ci sono tante patologie psicosomatiche, tanti disagi psichici dove sono irrinunciabili le leggi dell’anima. Le passeremo in rassegna.
Un disagio può diventare l’inizio di una vita piena, felice, serena, che ci conduce verso la realizzazione dell’essere unico che ciascuno di noi rappresenta. Oppure può aprire la porta all’inferno, condannandoci a una vita tormentata, lamentosa, infelice, in continua lotta con noi stessi.
Dunque il principio decisivo della cura risiede nell’anima: la cosa fondamentale è la capacità di “arrendersi” al disagio. Come dicono i taoisti e come ha ben chiaro il pensiero zen, il saggio va alla meta senza alcuna intenzione. Arrendersi ai disagi significa non cercare di cambiare le cose, ma disporsi ad accogliere le energie sconosciute come l’ansia, la tristezza, la rabbia, la gelosia, che vengono dall’invisibile. Soltanto se rinunciamo ad allontanarli da noi gli dèi si mettono sullo sfondo e non ci danneggiano.
“Perché mi ha lasciato?” No, niente domande! Io voglio percepire il dolore. E basta. Devo diventare straniero a me stesso, perché so che i poteri terapeutici che possiedo appartengono al mio lato sconosciuto, invisibile, che è la radice dell’anima. Ognuno di noi esiste adesso, solo adesso. L’adesso è il riflesso del presente, vale a dire il modo con cui l’eternità si affaccia e cerca di farsi conoscere. Stare nel presente significa immergersi nell’unica energia esistente, rimanere nel luogo dove ci sono tutte le soluzioni. Non sono obbligato a risolvere i problemi, devo solo riuscire a restare presente per qualche istante. E basta! È così che si attiva l’Immagine innata di ciascuno di noi; è lei, e lei soltanto, che può davvero risolvere i miei disagi.
C’è un’Immagine che guida la mia vita? C’è un sapere innato che costruisce l’essere che sono? C’era il mio volto quando ero un grumo di cellule nell’utero? Sì, c’era. Non si vedeva, ma c’era. C’è un’immagine di me che vive al di là del tempo, sconosciuta, cosmica, essenziale. Capire che non va disturbata tormentandosi è fondamentale. Per curare i disagi, è decisivo comprendere che quest’Immagine, questa forza innata che sta costruendo la mia vita, i miei organi, il mio volto adora il vuoto, il Nulla, l’assenza di ragionamenti e di pensieri.
Comprendere come funziona il principio cosmico, di cui siamo il riflesso, è fondamentale per fare quello che serve a risolvere i disagi. Sbagliare significa cronicizzarli.
Non dobbiamo far altro che “ragionare” come l’anima. Le sue leggi sono in grado di provvedere alla nostra vita, alla nostra realizzazione più autentica.
Per stare bene, per conoscere la felicità, la salute del nostro mondo interiore, occorre usare le chiavi dell’anima. Senza di loro siamo perduti.
L’importante è non voler mai spiegare l’anima
C’è un’idea deleteria che ha percorso la psicoterapia fin dall’inizio: quella di spiegare noi stessi in base a quanto ci è accaduto nella vita. Crediamo di essere il risultato di una storia, di parole che ci sono state dette, dell’amore o del rifiuto che i nostri genitori hanno manifestato nei nostri confronti. Così da questa convinzione ereditata dalla psicologia si è formata una chiave di lettura univoca della sfera emotiva e, quindi, un vero e proprio conformismo delle emozioni.
Un giorno ho chiesto a una mia allieva: “Come stai?”. Siccome non rispondeva, ho aggiunto: “Tutto bene?”. Mi ha risposto: “Bene è una parola grossa”. Le ho fatto notare che è una frase ricorrente, che tutti ripetono quando parlano di sé.
Forse a noi, figli della cultura psicoanalitico-romantica, piace farci vedere sempre un po’ sofferenti, un po’ a disagio.
La felicità è vissuta dagli intellettuali come un sentimento che appartiene alle persone semplici, come i contadini, o a chi si accontenta di una vita naturale, senza la complessità cerebrale dei pensatori. Ma essere cerebrali, perdere la spontaneità e la naturalezza è il peggior peccato di cui possiamo macchiarci. La vera conquista è la semplicità, come ricordava Jung in età avanzata, al culmine della sua saggezza.
Alla mia allieva ho detto che chi ritiene che “star bene” sia “una parola grossa”, farebbe bene a cambiare mestiere. Uno “psicoterapeuta cerebrale”, che indossa la maschera della sofferenza per essere più interessante, è troppo concentrato su di sé, sul proprio Io, sui rami secchi della sua anima, per riuscire ad andare da qualche parte… e soprattutto per portare fuori dal guado dei loro problemi (cioè delle loro convinzioni) i pazienti che cura.
Sia nelle terapie di gruppo sia in quelle individuali ho osservato che i pazienti iniziano sempre convinti di sapere qual è la “causa scatenante” del loro problema.
Le “cause” riguardano sempre esclusivamente il passato e quindi la “storia” dei pazienti. Quasi tutti rimangono sorpresi quando mostro disinteresse per il loro racconto. In genere faccio una specie di patto con chi viene da me, che si potrebbe riassumere con queste parole: “Io e lei non dobbiamo cercare la spiegazione di ciò che lei è in base a quanto le è accaduto”.
All’inizio non è semplice comprendere che tu non sei quello che ti è accaduto, anzi all’inizio la frase standard è: “E per forza che soffro tanto! E già… con tutto quello che mi è successo!…”.
Sono convinto che abbia assolutamente ragione l’ultimo grande uomo della psiche in Occidente, James Hillman, quando sostiene che c’è un’Immagine innata in ognuno di noi (il daimon) che conduce la nostra vita, che si è scelta persino i genitori e che non sa che farsene dei traumi infantili, se non perché le servono a realizzare meglio il destino che le appartiene.
Le vicende della vita non sarebbero altro, in questa chiave, che i mattoni che servono al nostro Architetto per costruire la sua casa, come le sostanze che sono utili al ragno per fare il suo capolavoro, la ragnatela. Nel cervello della lumaca, dell’ape, delle termiti (un cervello arcaico, agli albori dell’evoluzione) è presente una geometria che deve essere realizzata a ogni costo. La cattedrale che la lumaca costruisce sul proprio corpo, nella quale nascondersi, occultarsi, scomparire, è la perfetta prova generale dei nostri templi… La lumaca non bada ai traumi che ha subito: il lavoro della sua unicità è costruire la propria casa, che già presenta le prime tracce di ciò che si evolverà in chiesa, moschea, sinagoga.
Il tuo talento dove ti porta?
Quando un paziente viene da me e mi racconta il suo problema, io mi faccio solo questa domanda. Sì, solo una domanda: “Quanto si sta allontanando dalla sua vocazione, dalle capacità della sua Immagine innata, della sua unicità?”. Se un ragno smette di fare la ragnatela, muore!
Non stai male perché non ti hanno amato, o perché il tuo lavoro non è andato bene, o perché tuo padre era un orco, o perché tua mamma non ti ha mai capito… No, stai male semplicemente perché non ti basi su ciò che ti caratterizza, sulla tua diversità. Essere diversi significa che nessuno può avere il problema di un altro, mentre tutti, proprio tutti, come nelle trasmissioni più di moda, amano piangere per gli stessi motivi. Un abbandono, una violenza infantile, un fallimento, le liti familiari prendono il sopravvento nel nostro mondo interno e impediscono di vedere che noi siamo “altro”, ben altro rispetto alla storia in cui ci siamo barcamenati. E anche dai pensieri, dai ragionamenti, dal nesso di casualità.
Mentre analizzo il mio Io, dimentico che il cervello arcaico continua incessantemente a produrre, costruire, generare, realizzare l’essere che sono. Proprio come fanno la lumaca e il ragno, quando costruiscono dal nulla la chiocciola e la ragnatela.
Di questo mi interesso… Se qualcosa di profondo crea il mio volto, vi sono tendenze, attitudini, vocazioni che appartengono a me e solo a me. Se non le realizzo, mi ammalo…
Le grandi “epidemie” di disagio psicologico di questi ultimi anni (ansia, panico, depressione, insonnia, malattie psicosomatiche) sono figlie di un conformismo mentale che ci vuole tutti uguali e del quale fa parte anche l’idea che “star bene è una parola grossa”, che saremo veramente à la page se avremo fatto un po’ di ore di psicoterapia e potremo riconoscere, individuare, spiegare ciò che siamo in base a quanto ci hanno fatto nell’infanzia. Poiché il passato non è modificabile, mentre le convinzioni si fissano nelle aree cerebrali e diventano croniche, fissazioni che incasellano la nostra esistenza, possiamo conoscere la gioia di vivere e realizzare la nostra vita solo se ci affidiamo alle aree creative del cervello, vale a dire solo se facciamo le cose che ci vengono spontaneamente, che ognuno di noi ha in sé.
Fare quello per cui si è portati, anche solo qualche minuto al giorno, libera le sostanze che combattono il dolore, l’ansia, la depressione. Meglio di qualsiasi psicofarmaco…
I bambini, quando giocano silenziosi per ore e ore, fanno la prova del loro futuro lavoro, della vocazione che li porterà a essere individui realizzati. Siamo realizzat...