umore di Max-Ernest non poteva essere peggiore.
Leggere il libro trafugato non lo aveva aiutato affatto a leggere nella mente di Cass.* Per quanto lo riguardava, La seconda vista. Vedere con il terzo occhio in quattro facili passi probabilmente era stato scritto da qualcuno che aveva davvero tre occhi, tanto era sciocco.
Dopo che quel libro in particolare si era rivelato di scarso valore, era riuscito a ottenere il permesso dei genitori di frugare fra i loro scaffali. L’arrivo imminente del fratellino sembrava aver fatto abbassare loro la guardia.
— Già che ci sei, controlla che non ci sia sfuggito nessun manuale di puericoltura — disse il padre.
— Se vedi altri libri su come crescere i bambini, diccelo — disse la madre.
Max-Ernest rimase seduto sul pavimento dell’ufficio per ore a sfogliare un libro dopo l’altro, non sui bambini ma sulla percezione extrasensoriale – alcuni logici e scientifici, ma la maggior parte troppo fantasiosi per i suoi gusti – e imparò un bel mucchio di sciocchezze affascinanti. La bilocazione, per esempio, era la condizione di trovarsi in due posti allo stesso tempo (proprio come gli era toccato di essere spesso quando i suoi genitori vivevano in case separate). La rabdomanzia era una forma di divinazione che implicava l’uso di un filo di ferro o di un pendolo per localizzare un oggetto smarrito (si chiese se la calamita della professoressa Johnson e il modo in cui aveva individuato il Diapason Culinario rientrassero nella categoria). Mentre la cristallomanzia era usare un oggetto come una palla di cristallo o uno specchio per vedere eventi lontani (un po’ come guardare la televisione, rifletté Max-Ernest; in fin dei conti non era tanto impressionante).
C’erano molte teorie sui perché, i come e i dove della telepatia, ma a Max-Ernest parevano più o meno tutte delle gran fesserie. E in ogni caso non aveva trovato istruzioni per leggere nel pensiero di una ragazzina in coma. La maggior parte di quello che lesse consigliava di cominciare guardando qualcuno negli occhi (quelli di Cass erano chiusi), di studiare le espressioni facciali della persona (Cass ne faceva pochissime), o di ascoltare la sua voce (Cass se ne stava zitta).
“Perché lo chiamano leggere nel pensiero e non vedere nel pensiero o udire nel pensiero” si chiese Max-Ernest “se poi non fanno che ripeterti di guardare e ascoltare?”
Da grande decifratore e risolutore di indovinelli, il ragazzo era abituato a trovare una chiave, una serie di regole, una norma con cui risolvere qualsiasi problema dovesse affrontare. Ma i libri consigliavano di fidarsi delle proprie intuizioni, cosa che lo faceva sentire parecchio frustrato.
— Cos’è un’intuizione, in fondo? — brontolò fra sé. — Un’intuizione non è niente. È una specie di sensazione. Non è logica. Non si basa su nulla. Io non ho intuizioni. Ho idee.
Quelle letture però lo condussero a un paio di scoperte inaspettate. La prima riguardava il ciondolo calamita della professoressa Johnson. Uno dei cosiddetti oggetti magici di cui Max-Ernest aveva letto era una pietra chiamata magnetite, una calamita di origine naturale. Aveva già pensato che il ciondolo della preside somigliasse a una pietra, e adesso ne aveva la certezza. Non che quell’informazione gli fosse utile in qualche modo. Dubitava di riuscire a svegliare Cass facendole ondeggiare un sasso nero sopra la faccia.*
L’altra scoperta riguardava il biglietto con la scritta SCEMO; con l’aiuto di un libro intitolato La mente aperta, Max-Ernest era riuscito finalmente a decifrare il messaggio.
“La cultura non sempre aiuta” consigliava il libro. “Ricordate, è importante fidarsi anche del proprio intuito, delle proprie sensazioni. Se siete di quelli che non riescono a muovere un passo senza aver prima consultato centinaia di libri, fate così: provate per un attimo a cancellare dalla vostra mente tutti i libri letti. Riducete il vostro vocabolario. Il messaggio fondamentale per la vostra vita spesso è molto più semplice di quello che sembra.”
A Max-Ernest piaceva leggere. I libri lo avevano sempre aiutato a trovare un sacco di informazioni interessanti, oltre che divertenti, e non aveva nessuna intenzione di smettere o di rinunciare a quello che aveva imparato. Però forse il messaggio che gli serviva – quello della Società Terces – era davvero più semplice di quanto non sembrasse.
Due parole gli erano saltate agli occhi leggendo: CANCELLARE e LETTI.
Cosa diceva il messaggio? RITIRARE LETTI. Anzi no: RITIRARE LEtti.
La parola “LEtti”, scritta in quel modo bizzarro, era la chiave, l’aveva capito subito.
E se la frase si fosse dovuta leggere “RITIRARE LE T”? O meglio ancora: “CANCELLARE LE T?”
Max-Ernest ci provò, ma non ottenne un grande risultato. Il messaggio senza le T non aveva proprio senso:
AENZIONE!
L’ULIMA NAVEA ORD FARÀ RIARDO
ENERE PREMUO ON
E RIIRARE LEi
È IMPORANE!
VI OCCA OGLIERE UO
V. O.
Poi capì. “TOGLIERE TUTTO”, c’era scritto. Non doveva togliere solo le lettere, ma tutte le parole che contenevano la T.
L ORD FARÀ
ON
E
È
VI
V. O.
LORD FARAONE È VIVO!
Ecco che voleva dire! Ce l’aveva fatta!
La soddisfazione per aver risolto l’enigma durò pochissimo. Che razza di messaggio era? Sembrava una di quelle scritte che si vedono sui muri dei bagni pubblici. Tipo: ELVIS È VIVO, o VIVA LA SQUADRA X, IL GRUPPO X, IL VATTELAPPESCA X ecc. Era uno slogan, non un vero messaggio.
Una cosa era certa: non era di Pietro. A pensarci bene, per quanto al vecchio mago piacessero gli scherzi, non avrebbe mai messo un foglietto con la scritta SCEMO sulla schiena di Max-Ernest; aveva il cuore troppo tenero. Erano quelli del Sole di Mezzanotte a sbeffeggiarlo con il nome del loro eroe alchimista e fondatore, Lord Faraone. Era l’unica spiegazione possibile. Il messaggio aveva il solo scopo di dimostrargli quanto potevano arrivargli vicino a sua insaputa.
E non c’erano dubbi: potevano arrivargli molto, molto vicino.
Quindi, chi gli aveva piazzato quel messaggio sulla schiena? Era questa la domanda che si stava facendo l’indomani mattina mentre andava a scuola, anziché pensare alla sua ricerca sul ruolo dei giullari nelle commedie shakespeariane (stavano studiando Shakespeare in preparazione alla Fiera Rinascimentale; Max-Ernest si era offerto volontario per fare una relazione sui giullari, senza rendersi conto che avrebbe dovuto leggere le commedie in cui comparivano).
Glob e Daniel-non-Danielle, vagamente più amichevoli adesso, lo salutarono con un cenno quando passò davanti al Tavolo delle Zucche. Era facile immaginarli come gli autori della scritta SCEMO. Ma come agenti del Sole di Mezzanotte? Non consapevolmente, in ogni caso.
La candidata più ovvia – in effetti l’unica – era Amber. Ufficialmente era la ragazzina più simpatica della scuola. Ufficiosamente era un’agente (anche se non un membro vero e proprio) del Sole di Mezzanotte.
Quando la raggiunse al suo solito tavolo al centro del cortile, aveva già:
a) stabilito che il colpevole era lei,
b) immaginato tutte le cose sprezzanti e coraggiose che le avrebbe detto non appena l’avesse vista, e
c) deciso di non affrontarla affatto. Le avrebbe dato troppa soddisfazione.
Purtroppo Amber, che di solito non amava rivolgere la parola a Max-Ernest più di quanto lui amasse rivolgere la parola a lei, scelse proprio quella mattina per fargli cenno di fermarsi a parlare. — Max-Ernest! Ehi, ciao! Vieni un attimo qui!
Lui cercò in tutti i modi di fingere di non averla sentita.
Ma, ahimè, Amber non era tipo da mollare. — Max-Ernest! Iuu-uuh! Lo so che mi senti!
Ignorarla stava rapidamente diventando una provocazione peggiore di quanto sarebbe stato affrontarla, così Max-Ernest si fermò e si voltò. Ma non disse nulla, limitandosi ad aspettare con un’espressione che diceva chiaro e tondo: “Sì? Che vuoi?”
Seduta di fronte a Amber, la sua amica Veronica si godeva la scena, curiosa di vedere come sarebbe andata a finire.
Amber fece un largo sorriso. — Non mi saluti nemmeno?
— Ehm, in effetti non l’avevo programmato — replicò Max-Ernest.
Imperturbabile, la ragazza fece un sorriso ancora più largo. — Be’, io invece volevo proprio salutarti. Ciao, Max-Ernest! Come hai passato l’estate?
— Perché mi saluti? Tu non mi parli. Mi detesti — replicò lui, in tono indifferente. “O è solo perché vuoi capire se so che sei stata tu a lasciare il messaggio?” si chiese.
— Ma dai, tutta quella roba che è successa fra di noi ormai risale a tre mesi fa. Non possiamo essere amici? Chiedilo a chi vuoi: io sono molto simpatica.
Veronica annuì con forza. — Assolutamente.
— Alcuni pensano che io sia la più simpatica della scuola, lo sapevi?
— Sì, lo sapevo. Ma questo non significa che abbiano ragione.
— Cavolo, ma cosa ti ho fatto? No, dico sul serio.
— Be’, vediamo… — Max-Ernest stava per rispondere alla domanda, iniziando da quella volta in cui Amber aveva detto che lui e Cass si piacevano (piacevano piacevano, nel senso di piacersi-di-più-che-starsi-simpatici-e-basta, ovvero in un senso che secondo Max-Ernest non avrebbe mai dovuto essere applicato a loro due), per continuare con la volta in cui aveva aiutato il Sole di Mezzanotte a catturare il loro amico omuncolo, e per finire con il foglietto con la scritta SCEMO, ma ci ripensò.
— Lo sai benissimo — rispose.
— Così adesso dovrei pure essere telepatica o roba del genere? — rise Amber. — A dire il vero, qualche potere ce l’ho. Io e Veronica oggi prediciamo il futuro. Non abbiamo voglia di aspettare fin...