
eBook - ePub
Come allevare un bambino felice
e farne un adulto maturo
- 516 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro
Molti adulti ritengono che per far crescere sereni i bambini basti semplicemente avere con loro un rapporto naturale e spontaneo. Solo quando le difficoltà relazionali giungono a provocare vere e proprie turbe del comportamento infantile si rivolgono agli esperti, ma spesso i più piccoli sono stati ormai minacciati in quanto hanno di più prezioso: il senso di sicurezza e di fiducia.
Nel libro la psicoanalista Françoise Dolto, attenta studiosa dell'universo infantile, invita a porsi subito in un atteggiamento di ascolto e apertura nei confronti dei bambini. Per educare un fanciullo senza "ammaestrarlo", diventando con il passare degli anni un adulto sereno e maturo, capace di affrontare la vita.
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Informazioni
Print ISBN
9788804531333eBook ISBN
9788852028298Appendice
Esempio di una psicoterapia
Che cos’è una psicoterapia? Vorrei rispondere nel miglior modo possibile a questa domanda, posta tanto sovente, e per molti divenuta più oscura di quella analoga concernente la psicoanalisi1; attraverso l’esempio di una psicoterapia semplice, detta di sostegno, vorrei far comprendere lo spirito in cui si opera e il lavoro che vi si svolge.
La psicoterapia ha come scopo il recupero di un equilibrio che si è spezzato, recentemente, in occasione di una prova imposta dalla realtà, di fronte alla quale il soggetto si sente impotente oppure responsabile, in quanto non ha saputo o potuto affrontarla, intralciato da avvenimenti occasionali. Il soggetto non ha immediatamente trovato intorno a sé l’aiuto esterno di cui aveva bisogno, che avrebbe sdrammatizzato la situazione immaginaria (risentimento, umiliazione) e l’avrebbe subito riconciliato con se stesso davanti all’insuccesso reale; l’incoraggiamento gli avrebbe permesso di accettare delle realtà intercorrenti, talvolta inevitabili, per le quali, questa volta, non ha alcuna responsabilità, ma che lo colpiscono tanto più nella sua sensibilità dato che è reso fragile dall’insuccesso.
Nell’impossibilità di risolvere il suo problema, il soggetto è trascinato in una serie di azioni e reazioni a catena, che riguardano, al tempo stesso, la sua vita personale e le reazioni degli altri nei suoi confronti. La situazione emotiva, psichica e sociale si deteriora e il soggetto si trova senza via d’uscita. Talvolta si ammala fisicamente, a volte subentrano disturbi funzionali del sonno, dell’appetito, mal di testa, perdita di ciò che, prima, lo distendeva. La sua vita gli appare priva di valore. È disperato per la propria impotenza, oppresso da sensi di inferiorità e di colpa, comincia a regredire, sconcertato da conflitti di desideri i cui effetti sul suo carattere sono destrutturanti. Alla colpevolezza immaginaria può reagire con atti colpevoli, effettivamente delinquenziali, per un breve piacere. Oppure arriva alla disperazione, trascinato da una fantasia di morte accidentale: morte che è possibile provochi impulsivamente, senza sapere che il suo obiettivo è di placare tensioni aggressive nei confronti di un oggetto irraggiungibile, e tali tensioni si ritorcono, alla fine, contro il suo corpo. Altrimenti, se nel suo senso di colpa domina la nota coscientemente depressiva, soffre di indicibile angoscia e inizia a bere o a drogarsi per dimenticare i suoi affanni. O ancora, assalito dalla stanchezza della sua inutile lotta contro l’irrimediabile, cercherà il suicidio dolce, salvatore e lento attraverso gli stupefacenti, rischiando, se pure non lo desidera esplicitamente, il riposo definitivo.
PAUL, otto anni e mezzo, è intelligente. Ma dalla riapertura delle scuole non fa che collezionare insuccessi. Ora siamo a fine aprile. Ha una grave fobia per la scuola. Insormontabile. Non va più a scuola da qualche settimana, ma fa credere ai genitori di andarci. Ha cominciato con il perdere la pagella mensile, poi ha falsificato i voti ed è stato punito. Allora ha preso in odio la scuola. I genitori sono attoniti: Paul ha oltrepassato i limiti di sopportazione della direttrice, che ha intimato loro l’allontanamento del ragazzino dal ciclo normale. Il suo posto è in un convitto specializzato per bambini soggetti a turbe caratteriali.
Che cosa è successo? Risaliamo all’inizio.
Alla fine dell’anno scolastico precedente, Paul era tra gli alunni migliori: come sempre, dal suo ingresso alla materna e, in seguito, alla scuola elementare. Non ha cambiato scuola. La maestra di quest’anno ha la reputazione di sapere tenere la classe, di essere un’insegnante eccellente. Gli alunni la temono ma, al tempo stesso, la apprezzano.
Paul, dunque, ha terminato bene l’anno scolastico precedente. È andato alle colonie estive come gli altri anni, e poi, insieme ai genitori e al fratellino, minore di lui di cinque anni, ha passato alcune settimane dai nonni materni, in campagna. Tutto procedeva bene. È tornato a casa all’inizio di settembre, in buona salute. I bambini sono stati riportati indietro dal padre prima del previsto perché il nonno non stava bene; si pensava che non fosse niente di serio e che la nonna sarebbe venuta, una settimana dopo, non appena il marito si fosse rimesso.
La madre, è lei che parla, aspettava il terzo figlio, nato qualche giorno dopo il ritorno dei due bambini, per l’occasione sistemati dalla loro babysitter abituale. Nasce una bambina, con due settimane di anticipo sul previsto. Senza dubbio la madre è molto stanca, in quanto ha lavorato fino al termine della gravidanza. Contava sul soggiorno dei figli dalla madre fino alla riapertura delle scuole per potersi riposare. In seguito, sarebbe venuta ad aiutarla sua madre.
Ma lo stato del nonno si è aggravato. E la nonna è dovuta rimanere accanto a lui. Era stato operato quattro anni prima, di cancro, che si era diffuso. E il nonno è deceduto in gennaio. Erano andati tutti a trovarlo per Capodanno.
Forse la madre di Paul avrebbe dovuto andare prima a rivedere suo padre? Lui era irriconoscibile. La signora piange, nel parlarne. Lui era troppo affaticato per sopportare i bambini. Però ha visto la sua nipotina: «Volevo che la conoscesse». E piange. «I bambini lo adoravano, tutti noi gli volevamo bene, era un brav’uomo. Sono figlia unica. Mio marito, anche lui figlio unico, ha perduto i genitori ed è rimasto orfano a otto anni. È stato allevato dalla nonna materna, deceduta alla nascita del nostro secondogenito. Le volevamo tutti molto bene, è morta a casa nostra.» E si mette di nuovo a piangere. «Ci è rimasta soltanto mia madre.»
Il padre, suo marito, fa il camionista; è assente durante la settimana e presente nei weekend. È una coppia che ha una buona intesa. I bambini sono stati tutti desiderati. Marito e moglie volevano tre figli: entrambi avevano rimpianto di essere figli unici. Quando il padre è a casa, si occupa bene dei figli e aiuta la moglie.
La signora fa l’impiegata. Le piace il suo lavoro. I colleghi sono gentili. È assunta nella stessa azienda fin da quando ha iniziato a lavorare, un’azienda in cui era impiegata sua madre, prima di lei. D’altronde, ha sostituito sua madre quando questa è andata in pensione, volontariamente, perché il padre, più vecchio di lei di dieci anni, aveva smesso di lavorare a sessantacinque anni. Si trattava di una grande ditta di granaglie. Lei ha avuto un’infanzia felice. I suoi genitori si sono ritirati in campagna in una casa della bisnonna materna, dove sua madre ha trascorso l’infanzia. «Ci andavamo sempre, in vacanza. È in Normandia. Conoscevo già mio marito. Quando ci siamo sposati, ci hanno lasciato il loro appartamento di Parigi e sono andati a vivere là.» E torna agli avvenimenti di settembre.
La bambina, dunque, è nata prima della riapertura delle scuole.
«Non ho potuto portare il piccolo alla materna. Lo ha portato la babysitter. Paul, lo stesso, ma lui c’era abituato. Nel weekend c’era mio marito, e i bambini sono rientrati a casa. Poi sono rientrata io, molto stanca, ma andava tutto bene, eravamo tanto contenti di avere una femmina. Paul accompagnava il fratello a scuola, la babysitter me lo andava a prendere e Paul passava da lei nel tornare, faceva merenda e restava da lei come quando io lavoro. Tornavano la sera.»
Quanto alla scuola, le cose sono accadute piano piano. Paul aiutava molto la madre. Parlava della maestra che gli dava dei compiti di punizione da fare la sera, delle pagine da copiare; allora, sua madre gli faceva un po’ la predica. Ma aveva tanto da fare, e poi era talmente stanca. Aggiungete l’inquietudine per suo padre… «E poi ho ripreso a lavorare, ho proprio dovuto. Mettevo la piccola al nido al mattino e la riprendevo la sera. La babysitter del secondo è troppo vecchia, ora, per dei bambini piccoli. Anche il secondo è andato al nido. Paul no. Per lui, era venuta mia madre, che se ne è occupata finché lui era molto piccolo. Poi, mentre lo portava a passeggio, ha conosciuto questa signora che in seguito si è occupata di Paul durante il giorno.
Era l’ultimo piccolo, per questa signora. Ne aveva anche un altro, e i due bimbi andavano molto d’accordo. Dopo, quando il secondo ha cominciato a camminare, ha tenuto anche lui. Se ne occupava bene, lo portava a passeggio ai giardinetti; è meglio del nido e poi, quando hanno un raffreddore, lei abita vicino, li prende… Al nido, non li tengono in questi casi; se sono malati, devono andare all’ospedale. Ma non con lei. E poi, mia madre tornava e li curava a casa: rosolia, varicella… Insomma, devono pure farle. Godiamo tutti di buona salute, ma ora, con Paul, sono preoccupata.
«Dopo la morte di mio padre, mia madre, che si era affaticata troppo, si è ammalata. Il cuore. È venuta a stare da noi. E già la casa non è grande, con tre figli! È andata dal suo medico, che le ha segnalato un grande specialista. Lui la cura. Ha bisogno di riposo.»
La nonna, una donna ormai depressa, non sopportava più il rumore e il movimento dei bambini. Lei, tanto dolce prima, non faceva che sgridarli, ora.
La madre di Paul ha dovuto lasciare il lavoro, temporaneamente, spera, per occuparsi della propria madre.
E Paul? «Avevamo ricevuto la pagella del primo trimestre. Negativo ovunque. Vedevo che avrebbe perso l’anno. Sono andata a parlare con la sua maestra dopo la morte di papà. Ce l’aveva con lui, che non faceva niente, disturbava in classe, non ascoltava niente, chiassoso, fannullone, insopportabile, insomma. Lei non vuole dare troppe lezioni o compiti, ma per lui non ci sono problemi: o se li scorda oppure li fa in modo raffazzonato. Scrittura illeggibile minuscola. Lei è visibilmente delusa. Non è il bambino che le avevano descritto. E poi, in classe, o è insopportabile, oppure dorme. Non è più possibile.» La madre si rendeva ben conto che lui era pallido, che non aveva più appetito: cambiato, sì, ma chiassoso, lui? «A casa, non lo sento neppure. Fa tutto quello che può per aiutarmi. Gentile, servizievole. Certamente è nervoso. Il medico l’ha detto: prova ne è che dorme male e ha degli incubi. Ma in più, da quando c’è la nonna, dormono tutti e tre nella stessa camera. Paul si è alzato la notte fin da quando è arrivata la piccola; per lasciarmi dormire, era lui che le dava il biberon, la cambiava e faceva tutto proprio come fa mio marito quando è a casa; e poi doveva cullarla quando piangeva, per non disturbare i vicini. All’inizio, la piccola dormiva dopo aver mangiato, ma, con l’andare al nido, aveva perso il ritmo, non dormiva più la notte. Ora va meglio, ha preso il ritmo giusto. Ma il problema qui, è il mio secondogenito… Da quando siamo ritornati dopo aver trascorso il Natale dai miei genitori, dove non aveva riconosciuto il nonno, ha degli incubi. Sveglia Paul, che lo rassicura. Può darsi che, a forza di rassicurare il fratello, abbia finito lui per credere agli incubi.
«Poi, quando è arrivata mia madre, per Paul la scuola è diventata la bestia nera. Credo che sia a partire da qual momento che ha preso a non andarci più. Noi non ne sapevamo niente. Usciva e rientrava all’ora giusta. Non andava neppure più alla mensa. Andava a prendere il fratello dalla babysitter. Se gli chiedevo: “Va bene, a scuola?”. Lui rispondeva, a malincuore: “Non va bene. Le sto sullo stomaco. Non so cosa le ho fatto. Sono stufo, della scuola”. Io lo facevo ragionare. Da scuola non ci avevano detto niente, credevano che fosse malato. Poi, uno della sua classe l’ha visto, e ha detto: “Non è ammalato, l’ho visto in giro”. Allora ci ha scritto la direttrice. Sono andata a parlarle. Non capivo. Ci ha detto che il bambino aveva senz’altro qualcosa. I bambini non cambiano a questo modo senza ragione. Ho dimenticato di dirle che, dopo la pagella del primo trimestre, io, con la morte di papà, non ci ho più pensato… Lo avevo portato da una psicologa perché lo sottoponesse a dei test, per sapere se i risultati negativi nello studio dipendessero da quello. Ha detto che era intelligente ma facile ad affaticarsi e troppo sensibile. A Capodanno avevamo visto il nonno. Era molto triste. Anche noi. La psicologa ci ha detto che si trattava di rifiuto per la scuola, che lo si doveva condurre dal medico. Ci siamo sentiti rassicurati. Ora, ci dicono che è un caratteriale, che lo si deve mettere in un istituto speciale, che non deve più vivere con noi. Io non lo riconosco. Tra quello che mi dicono a scuola e come si comporta a casa, è difficile credere che si tratti dello stesso bambino. Gli ho detto che ci crea delle preoccupazioni. Gli ho chiesto perché lo fa. Dice che non è colpa sua. Un giorno, mi sono arrabbiata: “E neppure colpa mia, e neanche di tuo padre! Noi non ci meritiamo questo!”. Lui si è accigliato. Ha risposto che avrebbe fatto meglio a morire. A volte, temo che possa compiere una sciocchezza. Non so più che fare.
«Dopo che ho visto la maestra e poi i test, mio marito si è arrabbiato; lo ha punito, lui che non li picchia mai. Io mi dicevo, forse una buona correzione lo farà cambiare. Mio marito lo ha accompagnato a scuola, un giorno che era di riposo. La direttrice ci ha mostrato le assenze. Mi pare proprio che fossero cominciate… sì, dopo il ritorno dalla casa dei miei genitori, la prima volta. Mi dicevo che era una bella sfortuna, un bambino intelligente che prende una cattiva piega. Forse non eravamo abbastanza severi?
«Mi dicevo che, nelle vacanze di Pasqua, lo avrei lasciato dormire al mattino. Io avevo smesso di lavorare per stare con la mamma. Non stava bene, in quel periodo. Non potevo lasciarla. Il secondo andava tutto il giorno dalla babysitter, mia madre non lo sopportava più intorno. Anche la piccola, l’ho lasciata al nido, perché mia madre si riposasse. Il medico aveva detto: “Riposo, niente preoccupazioni”. E poi, lei pensava a mio padre, alla tomba, a queste cose, non adatte ai bambini. Sa come capita in un appartamento. Fanno disordine dappertutto, bisogna pure che si muovano, il piccolo, intendo, perché Paul non lo si sente. Dormiva fino a tardi, poi restava con la nonna. Io facevo da mangiare, poi lui andava dalla babysitter. Lei li porta ai giardinetti, quando è bel tempo. Ma, a casa, io mi arrabbio. Anche io sono nervosa. Grido. Poi mi rincresce. Non serve a niente. Non so più che fare! Anche quando arriva loro padre: prima era una festa: “Ecco papà!”. Ora… con Paul bisogna urlare perché mangi, non ha fame. Si vede che non sta bene.» (E neppure lei sta bene: faccia piccola, tirata, magra.)
Dopo questo lungo monologo della madre, il padre. Un uomo di corporatura media, carnagione colorita. In buona salute, apparentemente.
«Allora, che ne pensa di questo figlio che vi dà delle preoccupazioni?»
«Io non capisco. Era un bambino d’oro. Ora, è testardo come un mulo. La scuola, ho proprio paura che sia ormai persa per lui. Non gli interessa più. Prima, gli piaceva. Era orgoglioso della pagella; me la mostrava non appena tornavo a casa. Io ero contento. Non servono a niente promesse o sgridate. Gli ho perfino dato una scarica di botte. Certi dicono che, a volte, questo scuote i bambini. Eppure, badi che non è il mio genere. Non mi piace picchiare i bambini. Credo che sia l’unica volta in vita mia che l’ho picchiato. Adesso, sembra che abbia paura di me. E tutto per questa maestra che l’ha preso per storto. E, poi, abbiamo saputo che, dopo Pasqua, non ci sono stati più neppure compiti e punizioni; non ci andava più. Niente da fare. La scuola, per lui, zero. Da ammazzarlo, che non ci andava.
«Un giorno ce l’ho portato io stesso. È tornato… ma che cosa ha fatto dopo? Quel giorno era segnato assente da scuola. Si deve essere nascosto nei gabinetti… per farla franca. E poi, dove va a gironzolare? Ha paura di me, ha paura della maestra, e non ha paura per la strada!»
Il padre, pieno di senso di colpa, in ansia, tace. Poi riprende.
«Ho provato a farlo vergognare davanti ai compagni. “Ci si deve comportare da uomini. Lei non ti suonerà, ti pare? Fai del tuo meglio. Sei intelligente; senti, ti puoi riprendere.” Dice che non serve a niente. Quando ascolta, non capisce più, mentre prima capiva. Dice che i compagni lo prendono in giro. Alla ricreazione, gli fanno degli scherzi.
«È dai suoi compagni, e non da lui, che ho saputo che la maestra, il suo metodo, sono delle frasi da copiare più volte, paginate intere, anche tre o quattro, di frasi tipo: “Non devo dormire in classe”. Anche altri hanno dovuto farle. Ma, lui, non le portava. Le aveva dimenticate, perdute. I compagni le facevano. E, a lui, lei le raddoppiava, le triplicava. Un giorno, gli ha detto: “Se tu non le porti quando torni dalle vacanze (era Pasqua) puoi anche fare a meno di venire…”. E allora, lui non c’è più andato. Testardo come un mulo, gliel’ho detto. Io penso che lei avrebbe dovuto cedere. Aveva troppo da fare. Oppure, non so, quattro o cinque pagine. Cioè… chissà se poi le avrebbe fatte lo st...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Introduzione. di Silvia Vegetti Finzi
- Come allevare un bambino felicee farne un adulto maturo
- Prefazione
- C’è sempre una ragione
- L’uomo sa tutto fin da quando è piccolo
- Vedi, noi ti aspettavamo
- Quando il padre se ne va
- Che cosa è giusto
- A proposito di pulizia
- Chi abbandona chi?
- Tutti diversi riguardo al sonno
- Voler bene, amare con desiderio
- Strillare per farsi sentire
- Separazione, angoscia
- Domande indirette
- Ci sono madri affaticate?
- I grandi sono un po’ la testa e i piccoli sono le gambe
- Quand’è che una cosa è vera?
- Noi moriamo perché viviamo
- È il neonato a creare la mamma
- Ancora un momento a casa
- Non c’è un «deve parlare»
- Sarà un artista
- Domande mute
- Quel che è fatto è fatto
- Capire un’altra lingua, adottare nuovi genitori
- I bambini hanno bisogno di vita
- Quando si tocca il bambino nel corpo
- Il bimbo va sostenuto
- Bimbi incollati, gemelli gelosi
- Dire «no» per fare «sì»
- Nudi, davanti a chi?
- «Si direbbe che sia morta»
- Che cosa indica il «si» impersonale?
- Giocare all’Edipo
- Problemi ricorrenti
- Bambini aggressivi o aggrediti?
- Aiutarsi scrivendo
- Accogliere in modo civile
- Tu hai un padre vero
- Il bambino tocca-tutto
- Non esiste una mano giusta
- Sono gli oggetti a essere al nostro servizio
- Vedi, avevo voglia di darti una sculacciata
- La madre si strappa i capelli, il figlio è come un pollo spennato
- Il padre non è un lattante
- La passività non è una virtù
- Comandare alle proprie mani
- Il diritto di sapere il prezzo delle cose
- Nella sfera dell’immaginario
- La realtà e l’immaginario
- La verità deve risiedere nelle parole della realtà
- Divertirsi insieme e ciascuno al suo posto
- Tu volevi nascere e noi volevamo un bambino
- Il diavolo non c’entra niente
- È una festa?
- Non è una bugia, è per ridere
- La proibizione e il disprezzo
- Romeo e Giulietta avevano quindici anni
- Lettere del mercoledì
- Nuove lettere del mercoledì
- Psicoterapia, psichiatria, rieducazione, psicoanalisi
- Cosa si deve fare a quella data età?
- Il bambino deve essere desiderato da entrambi i genitori
- Vedi, ti tocco: sono io, sei tu
- Affascinati dagli elementi
- Quando i circuiti del computer si aggrovigliano
- Biancaneve è una che sgobba da mattina a sera
- Non solo con i genitori, ma con molti altri
- Spiegare il rumore, insegnare ad amare la musica perché noi la amiamo
- Non sempre si può dire la verità
- È il bambino che deve assumerela responsabilità di se stesso
- Perché la scuola deve essere così triste?
- Prepara il tuo avvenire
- Sono stufo!
- I bambini sono allegri quando il posto è allegro
- Sono sempre intelligenti in qualche cosa
- Essere molto dotati a scuola non vuol dire essere superdotati
- Coccolare i nipotini non vuol dire amarli per quello che sono
- Chi ha ragione?
- Ogni lavoro merita una paga
- Appendice. esempio di una psicoterapia
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