La neve era arrivata senza avvisare nessuno.
Era scesa nella notte, furtiva e lenta, adagiandosi sui tetti, nei vicoli, sopra gli scogli lontani dalla riva. Polignano si era svegliata sotto un velo bianco da sposa, che la rendeva magica, poetica e soprattutto scivolosa. Solo al mare non interessava. Si mangiava i fiocchi come popcorn, con la presunzione di essere uno spettacolo difficilmente sostituibile.
Fu proprio quello a ingannare Ninella, quando si svegliò in preda alla solita insonnia e aprì le persiane.
Vide il blu e si rasserenò, anche se il cielo era un po’ troppo opaco per i suoi gusti. Lo osservò meglio e notò che qualcosa si muoveva nell’aria: «Mamma mè… nevica» disse, e per un attimo tornò bambina. Si ricordò di quell’anno in cui la scuola aveva chiuso una settimana e lei se n’era restata in casa a guardare la finestra dicendo: «Ma al mare non si appiccica».
Per Ninella era quella la neve. Certo negli anni successivi non si sarebbe messa in macchina per andare a vederla a Monopoli, come avevano fatto alcuni compaesani. Lei si spostava a Monopoli solo per Mondo Mocassino.
Da quando aveva fatto pace con la signora Labbate era diventata una cliente affezionata del negozio. Che poi, lei, di comprare le scarpe non era proprio capace. La prendeva una strana agitazione e non capiva mai se la misura era quella giusta. Stava da sola a camminare davanti allo specchio, per convincersi, finché la commessa giungeva in soccorso con la frase: «Comunque dopo un po’ la scarpa cede». Lei, puntualmente, si fidava del consiglio e arrivata a casa se ne pentiva. Era talmente orgogliosa che non aveva nemmeno il coraggio di tornare indietro con lo scontrino, così ogni tanto regalava scarpe alle sue clienti, che per sdebitarsi consigliavano le amiche di farsi cucire i vestiti da lei. Del resto, era pur sempre la più brava sarta di Polignano.
Dal momento in cui aveva scoperto Mondo Mocassino era cambiata. Sembrava un’allegra Cenerentola di mezza età e appena il figlio della signora Labbate, Mario, la vedeva, la faceva subito accomodare sulla poltroncina dei clienti “vip”. Quella dove lui, come capocommesso, faceva sedere solo persone di un certo livello, dalla moglie del sindaco alle figlie del geometra Serripierri. Ma Ninella ormai era una di famiglia. Si sedeva sul suo trono, si rilassava e trovava ogni volta la calzatura adatta. Aveva capito che il segreto per la scarpa perfetta è non preoccuparsi mai della misura: se ci pensi troppo, vuol dire che è stretta. E, soprattutto, la scarpa perfetta non chiede mai di essere tolta, vorrebbe restare sempre attaccata ai tuoi piedi. Piedi che quella mattina erano ancora nudi, e iniziavano a sentire il gelo del pavimento e l’aria che entrava dalla finestra.
Ninella accostò le persiane e tornò alla realtà del suo specchio. Provò a fare un sorriso, che non le riuscì benissimo. La vigilia di Natale le metteva sempre addosso un po’ di malinconia, anche se quella mattina avrebbe avuto un piccolo sussulto. Rossano, l’uomo della Bofrost, che negli ultimi mesi le aveva fatto più di una visita, le aveva chiesto se poteva passare poiché si trovava in zona per le ultime consegne.
“Ma in casa c’è pure Nancy, che hanno le vacanze da scuola” gli aveva scritto. E quando lui le aveva ribattuto che voleva solo farle gli auguri, lei per un attimo si era sciolta.
Non era l’uomo che sognava.
Non era l’uomo che avrebbe mai lasciato la sua compagna.
Ma era un uomo che si ricordava di lei, e voleva vederla a prescindere dal sesso. Andò in cucina a controllare quante patate Ziggy avesse ancora nel freezer, per poter improvvisare una conversazione se Nancy l’avesse vista parlare con lui. Nancy, in realtà, aveva già notato quell’uomo e si era fatta il suo film. A diciassette anni – quasi diciotto – è quasi inevitabile, e lei era convinta che sua madre se ne fosse innamorata ma che non avesse il coraggio di confessarglielo. Un “amore platonico” di cui aveva discusso solo con Carmelina, e insieme avevano deciso che sarebbe stato meglio non chiedere nulla alla madre. Ma Nancy pensò bene di non ascoltare i consigli dell’amica appena vide Ninella che trafficava nel freezer.
«Noi mamma mangiamo troppi surgelati» le sussurrò con un po’ di malizia.
Lei non le rispose, semplicemente la fulminò, e la figlia pensò subito di correggere il tiro dicendo che il pesce più sicuro è comunque quello surgelato, che lo sapevano tutti, e a scuola le compagne erano assai invidiose che loro si facessero portare i cuoricini a casa.
«Basta fare l’ordinazione» disse Ninella guardandola quell’istante di troppo che fece capire alla figlia un sacco di cose. Innanzitutto che non solo sua madre era la padrona di casa, ma la sua parola non si discuteva. E da quando Chiara si era sposata e le aveva lasciate sole, Ninella era diventata ancora più dura.
In realtà, era solo apprensiva. Una volta era entrata in camera di soppiatto e aveva trovato Nancy che guardava la foto gigante di un pene. «Serve per quella di biologia!» aveva provato a difendersi lei, ma le era uscito un acuto così stridulo che si vergognò di essere la voce più bella della Schola Cantorum del paese. In fondo, erano due ragazze in cerca di amore. E se Nancy aveva tutta la vita davanti, Ninella temeva di perdere l’ultimo treno.
La neve riportò entrambe alla realtà. Quando la ragazza si rese conto che quella che vedeva non era pioggia, abbracciò sua madre con un tale impeto che le fece quasi male: «E muvet, che è solo neve», ma Nancy si era già affacciata in ciabatte e pigiama alla porta di casa per vedere quanta ne era caduta. Non ebbe però nemmeno il tempo di godersi quella meraviglia, che la signora Labbate era già al suo balconcino pronta a osservare le scarpe dei passanti. Lei, prima delle facce, guardava i piedi, e sapeva dire subito se eri un 42 o un 43 e mezzo e se avevi la pianta larga.
«Hai visto che bella nevicata, signorina? Le tieni le scarpe con la pelliccia?»
Nancy le fece cenno di no e si precipitò a chiudere la porta. Non poteva farsi vedere struccata neppure dalla signora Labbate: lo star system ha certe regole e lei sarebbe diventata l’Aretha Franklin del Sudest barese. Se per caso fosse giunto alle orecchie di Tony che trascurava il make-up, non l’avrebbe più desiderata nemmeno appesa a un palo di lap dance con cinque chili in meno.
Ninella, intanto, era rimasta davanti alla finestra a cercare un po’ di conforto. Alle sue spalle, un alberello circondato da regali si accendeva e spegneva con una certa lentezza.
Zia Dora stava arrivando da Castelfranco Veneto.
Il suo amante stava arrivando per un saluto.
Ma lei non vedeva l’ora che arrivassero le 11.30. Aveva prenotato la tinta da Lucia Coiffeur. Sarebbe stato il primo Natale biondo della sua vita.
Nancy non sapeva più a chi dare i resti della sua adolescenza.
Era riuscita ad arrivare alla vigilia di Natale dei suoi diciassette anni ancora vergine. L’unica a saperlo era Carmelina, che aveva superato il traguardo da qualche mese con un ragazzo di Fasano conosciuto a Cozze, e dopo una settimana aveva detto addio alla sua illibatezza.
Per Nancy era stata una vera umiliazione, a tal punto che per un paio di settimane aveva fatto pure l’offesa non rispondendo né al telefono, né ai messaggi. Ci era voluto un chiarimento davanti a casa sua, occasione in cui Carmelina – che l’aveva aspettata per due ore – le aveva detto che sarebbe stata disposta a lasciare il suo fiancé, come lo chiamava lei, pur di salvaguardare la loro amicizia. E Nancy si era sollevata: aveva capito che quello non era vero amore, altrimenti l’amica non avrebbe mai detto una cosa del genere.
Inoltre si era resa conto che lei avrebbe compiuto quel passo solo quando si fosse sentita veramente pronta. Aveva ancora i traumi del suo primo tentativo, il giorno dopo il matrimonio della sorella. Tony il calciatore l’aveva finalmente portata nel trullo del nonno. Lei si era vestita di nero, perché voleva essere sexy e soprattutto magra, e si era truccata più pesante del solito perché le donne cariche di rossetto, ai suoi occhi, non avevano paura di niente. Per darsi un tono, si era anche bevuta un bicchierino di vodka al melone.
Tony non le aveva nemmeno lasciato il tempo di guardare il trullo – lei lo avrebbe trasformato in una scuola di canto: The Nancy Casarano Music School – per passare a quei preliminari che l’avevano reso noto come l’“apripista” più accreditato della zona. Lo eccitava l’idea che tutte si ricordassero di lui e del trullo del nonno, che sicuramente dal paradiso era orgoglioso di un tale discendente: calciatore e seduttore, il massimo cui un maschio possa ambire.
Ma Tony non aveva tenuto in considerazione che Nancy – Annunziata all’anagrafe – non era una ragazza come le altre. Lei, se poteva complicarsi la vita, lo faceva. Così, mentre lui la spogliava lentamente con quelle pause ormai collaudate, l’Aretha Franklin del Sudest barese iniziò a pensare che:
- forse non si era messa il deodorante;
- forse non si era fatta bene la ceretta, per cui aveva le gambe a grattugia;
- forse il suo sedere non era più lo stesso della Pippa Middleton di Polignano.
Tutti questi forse si erano trasformati in un’unica certezza: aveva la rigidità di un carabiniere che ha già deciso di farti la multa.
Impalata dalle insicurezze si era lasciata spogliare fingendo che il sogno si stesse avverando. E dopo che Tony aveva puntato il naso nelle sue mutandine e lei pensava che ormai il peggio fosse passato, arrivò la prova per cui non era affatto preparata: la penetrazione. Era così tesa che la presunzione dell’“apripista” non fu sufficiente a superare quell’ostacolo. Dopo diversi tentativi lui aveva desistito – «finiamola qua» – senza neanche prenderla troppo male. Si erano sentiti entrambi falliti. Questo aveva reso Nancy incredibilmente più desiderabile agli occhi di lui, che però da quel giorno l’aveva evitata per settimane, arrivando addirittura a fingere di non conoscerla dopo un allenamento. Lei ne aveva fatto quasi una malattia, trovando un’unica via d’uscita: la focaccia “Checco Zalone”, con la mortadella dentro.
In poco tempo si era ripresa i cinque chili che aveva perso faticosamente per il matrimonio della sorella e per il suo esordio canoro. Ormai guardava l’abito che aveva indossato nella chiesa Matrice con grande nostalgia. Dopo lo stress del trullo, con l’aggravante di essere rimasta l’unica della sua classe a non aver avuto esperienze sessuali, il cibo era diventato la sua sola forma di consolazione. Ma sapeva che ne sarebbe uscita, perché era convinta che le persone di talento sono sempre aiutate dal destino. E lei, comunque, avrebbe riempito le locandine con la scritta SOLD OUT.
Chiusa nella sua camera, mentre osservava la neve dai vetri, le era venuto un attacco di romanticismo e aveva preso il coraggio di mandare a Tony un whatsapp. Ci aveva messo venti minuti e due telefonate prima di comporre una frase che a lei sembrava di perfezione dantesca:
“Anche se è un po’ che non ci sentiamo, buon Natale.”
E lui, che pareva non aspettasse altro, si era messo subito a rispondere. Dopo pochi secondi di eccitazione pura – “sta scrivendo… sta scrivendo…” – ricevette ciò che non si sarebbe mai aspettata:
“Ho un regalino per te. Ci vediamo oggi pomeriggio?”
E Nancy si era sentita di nuovo protagonista. Calcolò quante calorie avrebbe potuto perdere non mangiando più fino alle cinque, ma non si sentì rincuorata. Aveva molta più fiducia nei fuseaux. Scelto il look, doveva trovare il tempo da dedicare al make-up senza fare scelte avventate, ma aveva appena sperimentato un nuovo mascara colorato che la convinceva abbastanza.
Ninella entrò in stanza piuttosto nervosa, seccata che Nancy non si fosse ancora presentata per la colazione. La trovò davanti allo specchio che provava sguardi di varia intensità, e non ebbe il coraggio di dirle nulla: era pur sempre meglio trovarla lì che di fronte a un glande ingigantito al computer.
«Si può sapere che fai? Muvet!»
«Ma’, oggi non ho fame. E poi già abbiamo il pranzo con zia Dora e finiremo alle quattro.»
Conoscendo la cognata, Ninella sapeva che avrebbe fatto di tutto per arrivare prima del previsto, e mai avrebbe voluto vederla mentre era ancora col suo amante della Bofrost. Nel dubbio, disse a Rossano di darsi una mossa e arrivare il prima possibile, frase che lui colse come un messaggio di speranza. Non aveva mai avuto il coraggio di dirlo a Ninella, ma lei gli piaceva più di quanto pensasse. Se n’era accorta anche la sua compagna, che da qualche mese lo vedeva un po’ troppo distratto. «Ma è la stanchezza» ripeteva lui. La stanchezza, insieme al mal di testa, è una delle espressioni più pericolose del dizionario amoroso.
Ninella lasciò credere a Nancy che poteva anche saltare la colazione e si precipitò a telefonare a zia Dora, sperando che l’emergenza maltempo frenasse un po’ la sua tabella di marcia.
«Siamo in Abruzzo e zero traffico» disse zia Dora con la solita supponenza, «la crisi ha fermato tutti, ma non noi.»
Ninella mise giù, guardò il mare e si bevve un caffè.
Si rassegnò al destino come aveva se...