La morte di Madame Gabrielle e, poco tempo dopo, la partenza di Eddie Ponti da Saragosa avevano chiuso un’epoca.
Madame era morta nel sonno e senza soffrire; sparse nel letto c’erano decine di fotografie che la ritraevano bella e giovane in costume da bagno, a cavallo, in bicicletta e da bambina con i genitori.
C’era anche una foto in cui teneva in braccio un neonato in fasce e un’altra, che meravigliò tutti quanti, di Gabriele d’Annunzio in persona con una dedica che diceva: “A Rosa, dei fiori tutti il più ricco di passione”.
Ai funerali erano presenti soltanto Eddie, le tre ragazze e il povero Igor Patanè, per niente consolato dal fatto di aver ricevuto in eredità il pianoforte.
Nevicava insolitamente quella mattina di gennaio e alla tristezza del momento si aggiunse il disagio di dover attendere che un piccolo trattore scavasse la buca per Madame. Sulla lapide, per volere della defunta, venne scritto:
“Rosa Fegarotta Madame Gabrielle. Benefattrice.”
Di Maddalena Virlinzi nessuno aveva saputo più nulla e la grande casa, con porte e finestre serrate, non aveva dato più segni di vita.
Qualche tifoso ne aveva anche imbrattato i muri senza che nessuno protestasse o fosse intervenuto per cancellarle: “Alè Saragosa! Serie A!”, e altre idiozie simili.
La cameriera e il cuoco che vivevano a palazzo erano ritornati ai rispettivi paesi di origine con una grossa liquidazione e, se interrogati su Maddalena, rispondevano: «Nenti sapemu! Si ni iu dassubra», dove “dassubra”, cioè là sopra, è espressione che indica genericamente il Nord.
La partenza di Eddie invece non aveva avuto nulla di misterioso. Il pedinatore, piombato nella cupezza e pieno di ferite causate da una spada a forma di naso, non aveva seguito il vecchio consiglio del barone Fragalà che aveva saggiamente predetto il fatidico dopo dal quale ci si poteva salvare solo scappando senza valigia.
Dopo che Maddalena aveva lasciato in lacrime il suo atelier, Eddie aveva tentato disperatamente di ritrovarla. Senza alcun appiglio aveva persino cercato aiuto tra le vecchie conoscenze della polizia nella persona del questore Grillo, evitando di raccontargli quanto era accaduto e giustificandosi col fatto di essersi semplicemente invaghito della signora.
Il questore, piuttosto impressionato dallo stato in cui si trovava Eddie, si era mosso con qualche telefonata, ma senza successo. L’impegno in tale ricerca, vista la sua indole incline a stare il più possibile lontano dai guai, in sintonia con una città dormiente come Saragosa, del resto era stato minimo.
Erano passati così i giorni e le settimane e il tempo, unico lenitivo delle pene d’amore, unica medicina lenta ma efficace che sfuma i contorni dei ricordi dolorosi, aveva fatto la sua parte.
Una mattina Eddie si trovava all’hotel I Faraglioni di Aci Trezza per riprendere alcune opere che aveva prestato a un vecchio compagno di scuola. Costui, Giuseppe Cirelli, si occupava di moda e gli aveva chiesto una decina di quadri per la scenografia di una sfilata.
Era la prima volta che mostrava le sue opere in pubblico e, pur non trattandosi di una collettiva in una galleria d’arte o peggio di una personale, era rimasto piuttosto agitato e in disparte, scettico, pensieroso e per nulla distratto dalla bellezza di alcune modelle.
Dal gelataio, Giochiamo?, Il boia di Lille e altri lavori avevano fatto da inutile contorno alla sfilata, per lo più ignorati dai presenti.
E così era stato per tutta la sera. Persino opere poetiche e riuscite come Apologia di Snoopy e Tiro alla fune a Rimini non avevano destato il minimo interesse.
La mattina successiva dunque, mentre Eddie prendeva i suoi lavori e dalla sala della sfilata li caricava sulla 600 Multipla, entrò nella hall, in compagnia di una bellezza siderale, il famoso critico d’arte Geremia Bucciarelli Ducci, giunto a Saragosa per presenziare all’inaugurazione di una galleria privata.
Costui, mentre dava i documenti al portiere che gli consegnava le chiavi della camera, dopo un iniziale timore di essere riconosciuto da un pittore locale che lo avrebbe sicuramente scocciato, aveva man mano prestato attenzione alle opere che gli passavano dietro la schiena.
Quando Eddie passò con Apologia di Snoopy Bucciarelli Ducci si staccò dal bancone, lo fermò poggiandogli una mano sul braccio e disse:
«Permette? Posso guardare?»
Eddie mostrò svogliatamente il quadro.
Il critico, scuotendo la testa lentamente come per dire no e smentendo poi quell’atteggiamento che pareva di disapprovazione, esclamò per ben tre volte:
«Veramente notevole!»
Eddie cambiò umore e, poiché abbonato a un paio di riviste d’arte, riconobbe Bucciarelli Ducci mentre la bellezza siderale, tambureggiando impaziente con le unghie argentate sul balcone, stava dicendo:
«Geremia... dài... ho la chiave... andiamo in camera.»
«Un momento papera» rispose il critico. «Vengo subito.» Poi sorrise rivolto a Eddie:
«Permette? Sono Geremia Bucciarelli Ducci, critico d’arte.»
«Molto lieto, Ponti. Non l’avevo riconosciuta subito.»
«Qual è il titolo di questo lavoro?»
«Apologia di Snoopy.»
«Gagliardo! Le va di mostrarmi le altre cose? Ho visto che le sta caricando in macchina. Lei fa il pittore?»
«No. Sono un investigatore privato.»
«Mi prende in giro?»
«È la verità. Questo è solo un hobby.»
«E chiamalo hobby!» esclamò il critico.
Bucciarelli Ducci costrinse così Eddie a tirare fuori dalla macchina tutte le opere e, licenziata la papera siderale dicendole «Vai su, ti raggiungo in camera», cominciò a meravigliarsi di fronte all’originalità di quei lavori esaltandosi poi appena sentiva i titoli.
Nel pomeriggio si recò a casa sua e ebbe conferma della prima impressione proponendosi dunque come manager e promotore di quella che riteneva, con eccessivo entusiasmo, una nuova visione dell’arte concettuale che prendeva corpo e valore grazie a quei titoli perché, a suo dire, facevano sconfinare l’ambito della pittura moderna in quello di una letteratura classica e romanzata ma intrisa di sottile ironia.
Tre settimane dopo Eddie Ponti lasciava definitivamente Saragosa e veniva lanciato nel mondo dell’arte contemporanea con lo pseudonimo di Delphus.
Dopo una decina di mostre collettive per saggiare il terreno, sotto la potente protezione di Bucciarelli Ducci, Eddie era arrivato a esporre con una personale che aveva attirato tutto il bel mondo romano e aveva venduto parecchio.
Seguendo in parte il vecchio consiglio del barone Fragalà, era partito da Saragosa portando con sé solo le opere e più denaro possibile.
Venduta la casa, la moto e, a malincuore, la 600 Multipla aveva però conservato la sua enorme attrezzatura necessaria ai travestimenti.
Egli non escludeva la possibilità di una carriera effimera nel mondo dell’arte, e aveva messo in conto la possibilità di doversi ancora procacciare da vivere investigando.
Il suo atteggiamento nei confronti delle opere che creava rimaneva però, nonostante il successo crescente, piuttosto distaccato e permeato da uno scetticismo di cui non si liberava mai per onestà intellettuale.
Infatti, nonostante gli apprezzamenti di Bucciarelli Ducci e le vendite sempre più consistenti, Eddie sapeva benissimo che i suoi lavori erano deboli e che solo grazie a titoli non privi di genialità acquistavano un certo fascino.
E pensava spesso a due opere famose, La tempesta di Giorgione e L’impero delle luci di Magritte, accomunate, a suo avviso, da due titoli che poco sembravano avere a che fare col dipinto stesso.
Sul primo, raffigurante una donna che allatta e una figura maschile appoggiata a un bastone che la guarda distaccato, la tempesta, ancora lontana, è preannunciata da un bagliore lampeggiante accennato sullo sfondo, elemento che nel quadro non pare sufficiente a determinare il titolo.
Nel secondo una casetta, illuminata da un lampione, si affaccia su un lago scuro ma è sovrastata da un cielo chiaro con qualche nuvola candida, e questo crea un conflitto tra notte e giorno che l’artista, grazie alla sua perizia, riesce quasi a far passare inosservato. Il quadro però ha un titolo in cui il dominio è tutto appannaggio della luce.
Tra i suoi lavori Eddie non disprezzava invece il solo Waterloo, un semplicissimo olio in cui, per puro caso e non per maestria, vedeva del valore nonostante Bucciarelli Ducci lo avesse trovato banale. E quel quadro, dopo che Maddalena ne aveva sancito la fine della realizzazione suggerendo di non inserire la figura di Napoleone, era per lui la prova tangibile di un doppio fallimento, artistico e sentimentale.
Il ricordo di Maddalena, sfumato ma sempre presente, si era attenuato ancora di più con il trasferimento a Roma, ma non avevano contribuito a renderlo completamente evanescente né successi inanellati con tanta facilità né i guadagni esagerati prima inimmaginabili.
Geremia Bucciarelli Ducci inoltre, introducendolo nello sfavillante mondo dei salotti romani, lo aveva messo in condizione di passare da una conquista all’altra, ma nemmeno tali distrazioni femminili, spesso le più efficaci nella tecnica “chiodo scaccia chiodo”, annullavano del tutto il pensiero di una criniera rossa e di un naso rimasto ago della sua bussola esistenziale.
Le persone famose, anche se brutte, ma Eddie non lo era affatto, si sa, conquistano donne più facilmente degli sconosciuti e così, con la scusa di visitare l’atelier e comprare, ricche ed eleganti signore fedifraghe avevano popolato la sua nuova vita senza alcuna possibilità di fare breccia nel suo cuore.
Viveva in un loft a Monteverde e, in seguito alla necessità di un assistente per realizzare le opere enormi che lo spazio finalmente gli consentiva, Eddie aveva chiamato a sé l’amico Igor Patanè facendo persino arrivare a Roma il vecchio pianoforte di Madame Gabrielle.
Il pianoforte era stato restaurato e Igor suonava mentre lui lavorava ricreando così la nostalgica e velata atmosfera della Maison.
Patanè inoltre gli era molto utile quando si trattava di preparare opere la cui complessità e grandezza richiedevano sforzi che da solo non avrebbe potuto sostenere e perciò inchiodava assi, laccava enormi superfici o sollevava pesi eccessivi per tornare subito al piano qualora il suo aiuto fisico non fosse più necessario.
Igor era contento della sua nuova vita ma aveva problemi non indifferenti quando era costretto a partecipare alle mostre e tali problemi erano dovuti principalmente a motivi politici. Un convinto e romantico trotzkista come lui provava un sincero ribrezzo per il bel mondo che frequentava l’atelier o partecipava soprattutto ai vernissage. Tutte le volte poi che Eddie vendeva un’opera a prezzi esagerati Patanè lo massacrava fino a notte fonda con discorsi classisti, ricordandogli quanto guadagnava, e con che fatica, un operaio, un minatore o un impiegato.
Eddie ci rideva sopra e, scherzando, gli diceva:
«Dài... ti do un aumento.»
«Non si possono corrompere le masse!» urlava Igor scaldandosi.
Ben presto però l’impeto della passione politica e il bolscevismo cominciarono a scemare nel suo fraterno amico e quindi a scomparire del tutto senza lasciare alcuna traccia di Unione Sovietica.
Ciò accadde, manco a dirlo, grazie a una donna.
Il giorno in cui arrivò nell’atelier il noto stilista Krypton accompagnato da due modelle per convincere Eddie ad allestire la scenografia della sua collezione autunno-inverno, Igor se ne stava al piano ignorando i presenti, come era solito fare.
In quei casi suonava a...