11 dicembre, Ziegenberg
I generali si stropicciavano i piedi al freddo, al quartier generale del feldmaresciallo Von Rundstedt. Stavano aspettando un pullman che li avrebbe portati dal Signore della Guerra. Il Führer li aveva convocati in vista della grande offensiva.
Quando il pullman arrivò a prenderli, l’arcigno sergente delle SS che lo guidava non scese nemmeno ad aprire la porta agli illustri passeggeri. I generali salirono, si strinsero sui sedili e rimasero silenziosi per tutto il viaggio.
Vennero portati a Ziegenberg, nel quartier generale di Hitler sul fronte occidentale. Mancavano cinque giorni all’offensiva, ed era arrivato il momento di informare quantomeno i comandanti di divisione.
Ai generali fu ordinato di privarsi delle armi. Quindi passarono tra due file di gigantesche SS e scesero in un cupo rifugio. Si sedettero sotto l’occhio delle guardie, e quando tutti si furono sistemati arrivò il Führer. Con lui c’erano Keitel, nominalmente il numero uno della Wehrmacht, di fatto un irrilevante portaordini, e Jodl, capo delle operazioni, una mente indipendente e brillante.
Hitler era l’ombra del condottiero che cinque anni prima aveva scatenato la più grande carneficina della Storia. Era stanco e invecchiato, con un evidente tremolio alle mani. Guardò tutti con diffidenza, quasi con ostilità. Riservò qualche occhiata meno gelida soltanto ai comandanti che sapeva più fedeli. I generali attendevano in silenzio. Cominciò, con voce debole e roca:
«Mai nella storia vi è stata una coalizione simile a quella dei nostri nemici, composta da elementi così eterogenei e con scopi così divergenti. Stati ultracapitalisti da una parte, ultramarxisti dall’altra. Da un lato un impero morente, la Gran Bretagna, e una colonia che aspira alla sua eredità, gli Stati Uniti. Dall’altro la Russia, desiderosa di diffondere i suoi ideali. Ognuno dei membri di questa coalizione vi è entrato con la speranza di realizzare le proprie ambizioni politiche: l’America quella di sostituirsi all’Inghilterra, la Russia di guadagnare i Balcani, gli Stretti e il golfo Persico, la Gran Bretagna di rafforzarsi nel Mediterraneo. Queste nazioni, oggi, sono vittime di antagonismi sempre più feroci...»
I generali ascoltavano sbalorditi.
L’uomo che pochi minuti prima era sembrato a tutti debole e malaticcio si trasformava man mano che proseguiva nella sua orazione. Si esprimeva con lucidità e proprietà di linguaggio e diventava sempre più tonico e aggressivo, come se per una forza misteriosa aumentasse in vigore e persino in statura.
«Se ora riusciamo a vibrare alcuni colpi energici» continuò il Führer, «questo fronte comune artificialmente imbastito può crollare d’un tratto con un gigantesco frastuono, purché, naturalmente, non ci sia da parte nostra alcuna debolezza. L’essenziale è privare il nemico della certezza della vittoria, e a questo scopo una sola cosa può servire: una potente e vittoriosa offensiva.»
Il generale Fritz Bayerlein si aspettava un discorso del genere.
Comandante della Panzerlehr, la migliore divisione corazzata dell’esercito, aveva subito intuito che i suoi uomini avrebbero avuto un ruolo fondamentale nei piani di Hitler. Si trattava solo di capire che tipo di operazione avesse in mente il Führer. Aveva gli occhi che gli luccicavano per l’emozione e il freddo. Estrasse da una tasca il fazzoletto, e vide con raccapriccio che le due SS alle sue spalle stavano per bloccarlo. Si trattennero solo quando videro la stoffa bianca tra le mani del generale.
«Quasi sempre le guerre» proseguì il grande capo «sono decise dall’ammissione di una delle parti di non poter vincere. Perciò dobbiamo dare una dimostrazione al nemico della nostra volontà di resistere, dobbiamo fargli sapere che non potrà mai contare sulla nostra capitolazione. Mai! Mai! Mai!»
I generali ascoltarono scettici ma rapiti dall’oratoria del loro comandante. E ora erano ansiosi di sapere che cosa avesse in mente.
Quando Hitler ebbe finito di spiegare il piano, il feldmaresciallo Von Rundstedt, decano della vecchia guardia prussiana e comandante in capo del fronte occidentale, si sentì sconfortato. Per lui la guerra era già stata perduta.
«Mein Führer» ardì il feldmaresciallo Model, «siamo certi che le risorse siano sufficienti per un obiettivo così ambizioso? Non sarebbe più prudente una soluzione più piccola, tagliare il saliente di Aquisgrana, ricostituire la difesa della linea Sigfrido e attendere l’inverno in posizioni più solide?»
Hitler aveva un debole per lui. Sapeva che era un nazista convinto e fedele e le sue capacità militari erano indubbie. Con qualsiasi altro avrebbe avuto uno scatto di collera, invece rispose tranquillamente:
«Mio caro Model, non è più tempo di prudenza. La sua proposta, ora, non porterebbe a niente. Tra sei mesi saranno operative armi terribili, che ci daranno la vittoria finale. Ma nel frattempo il nemico si sta rafforzando su tutto il fronte, e noi dobbiamo dare un segnale importante» e guardò significativamente il generale Jodl, che si alzò prontamente in piedi.
«In effetti» disse Jodl con calma professionale «il nemico è ora molto più forte di noi in termini di uomini e mezzi. Questo lo sappiamo. Ma ha commesso l’errore dei francesi nel 1940, disseminando le divisioni lungo tutto il fronte, e senza ammassare una riserva strategica. Ora, sulle ottanta miglia delle Ardenne hanno poche truppe. Noi attaccheremo le loro divisioni con forze cinque volte superiori e con uomini freschi, motivati e dotati di un ottimo equipaggiamento.»
L’intervento di Jodl, da militare a militari, forse lasciava aperto uno spiraglio di dialogo. Bayerlein, superato lo shock del fazzoletto, provò a intervenire. Si rivolse a Jodl, anche perché il Führer sembrava esausto:
«Un piano decisamente audace, Herr General, come si addice alle grandi imprese. Ed è vero che gli angloamericani non hanno una riserva strategica, quantomeno non hanno una massa di manovra in senso stretto. Ma le loro forze sono estremamente mobili, non come quelle francesi di cinque anni fa. Se comprendono immediatamente l’entità della nostra offensiva e richiamano subito una dozzina di divisioni dai vari gruppi d’armata, non lasceranno sguarnito il loro fronte e riusciranno a tagliare in due il nostro.»
«Questo non avverrà» gridò Hitler. I generali videro che l’uomo si era improvvisamente risvegliato dall’apparente torpore. «Questo non avverrà, perché gli alleati non avranno il tempo di riorganizzarsi. E non lo avranno perché per le prime quarantotto ore il nemico sarà paralizzato, sarà nel panico, e senza guida. Senza guida, capite? E prima che possano decidere quali divisioni muovere, e dove, noi saremo già arrivati al mare! Parola del vostro Führer!»
11 dicembre, Parigi
McLaglen era esasperato. Aveva fatto un breve rapporto al suo superiore sull’omicidio dei due ragazzi della polizia militare, sull’esito dell’autopsia e sugli allarmanti risultati dell’esame balistico, e aveva concluso:
Vi è dunque la forte probabilità che una spia tedesca abbia oltrepassato le nostre linee e si sia introdotta in Francia per svolgere attività di sabotaggio, o quantomeno per raccogliere informazioni riservate. Ritengo che questa persona parli perfettamente la nostra lingua, indossi una divisa del nostro esercito e che sia munito di documenti falsi. Propongo pertanto di rafforzare adeguatamente le misure di sicurezza, per la tutela delle comunicazioni, delle strutture e delle persone.
McLaglen era certo, a quel punto, che Strong non avrebbe potuto far finta di niente, e invece lui aveva risposto laconicamente che avrebbe studiato la vicenda, il che significava che erano fantasie da non prendere in considerazione.
Ma c’era di peggio. Gli osservatori avevano rilevato un altro volo notturno sulla stessa zona dei precedenti. La contraerea aveva sparato a vuoto, ma aveva fatto un rapporto dettagliato: voli così non se n’erano mai visti.
Il generale Strong aveva postillato laconicamente: “Ordinaria attività di ricognizione. Chiedere ulteriori conferme”.
Cosa vuole, si era detto McLaglen, che gli atterrino sotto il naso?
E non era ancora finita. Dal quartier generale del 12° gruppo d’armate di Omar Bradley, quello dispiegato poco più a nord dell’Alsazia, era giunta notizia che i tedeschi avevano spostato delle truppe a ridosso delle linee. E alcuni prigionieri avevano detto che per Natale il Führer avrebbe avuto un bel regalo. Avevano anche indicato quale: Aquisgrana, la prima città tedesca a cadere nelle mani degli alleati.
Inoltre dal fronte italiano, fermo durante l’inverno, erano partite due divisioni dirette in Germania, e i tedeschi avevano smesso di comunicare via radio. Forse sospettavano che i segreti della loro macchina cifrante fossero stati violati, e non volevano correre rischi. Ma tutto questo non aveva impressionato né Strong, né Bradley. «Al massimo» aveva detto quest’ultimo «tenteranno di metter fuori la testa. Così gliela taglieremo.»
Purché non ci mangi prima, aveva pensato McLaglen.
Quando si calmò andò direttamente da Odette. Era strano che il colonnello si recasse personalmente dalla segretaria, ma l’ufficio di Odette era più isolato e nessuno avrebbe sentito i suoi sfoghi.
«Legga qui» disse burbero, e le diede il rapporto sull’ultimo volo notturno.
Odette lesse e sorrise:
«Glielo avevo detto che il Lysander è un grande aereo. È quasi impossibile buttarlo giù, almeno di notte. Quando lo vedi non fai in tempo a sparargli che è già sparito.
«Santo cielo» esclamò innervosito, «non sono venuto da lei per sentire l’elogio di quel maledetto velivolo.» Poi, più calmo: «Voglio sapere cosa ne pensa. Lei sembra l’unica ad avere del cervello qui dentro».
Odette rifletté. Poi:
«Penso che abbiano mandato il contatto.»
«Il contatto?»
«Sì, il contatto, con le istruzioni finali.»
«Si spieghi meglio.»
«È semplice. Come le dicevo, il Lysander è un piccolo gioiello, ma proprio perché è piccolo può portare solo due, al massimo tre persone. Il che significa che con i primi due viaggi, quelli eseguiti qualche giorno fa a distanza di poche ore l’uno dall’altro, hanno mandato il grosso della squadra, mettiamo cinque o sei uomini, e ora hanno mandato il contatto con le istruzioni definitive per la squadra già sul posto.»
McLaglen annuì, sconcertato. Quella ragazza sapeva il fatto suo, il tono era sicuro e le conclusioni erano chiare. Ma se ciò che diceva era vero, allora la situazione si prospettava anche più grave di quella temuta. La guardò preoccupato e si accese una sigaretta:
«Certo, potrebbe essere proprio così. Ma perché rischiare aereo, equipaggio e passeggero quando esistono le radio e i cifrati?»
Odette non ebbe esitazioni:
«Intanto perché, come ha visto, il rischio di un volo notturno su distanze molto brevi è minimo, soprattutto se il pilota conosce a memoria la rotta e se il luogo di atterraggio è sicuro. E poi perché, se l’impresa è dannatamente importante, il rischio di essere ascoltati e decrittati è molto maggiore della perdita dell’aereo, del pilota e anche del contatto. Il volo si può ripetere con un altro aereo e un altro messaggero, basta che impari a memoria le istruzioni, come facevamo noi. Ma se la comunicazione radio è intercettata, e il gioco è scoperto, l’intera operazione va a farsi benedire. Con rispetto parlando, colonnello.»
McLaglen le avrebbe dato un bacio.
«Sì, temo che mi abbia convinto. Questo però significa due cose: che l’operazione è davvero importante e, soprattutto, che è imminente. E noi stiamo ancora a zero. Non posso dare l’allarme senza passare per un visionario. Ho fatto rapporto a Strong, che l’ha praticamente accantonato. Tutti i generali dicono che i crucchi sono alla frutta e Patton continua a predicare che se solo avesse la benzina penetreremmo nel fronte tedesco come la lama rovente nel burro... per la verità Patton ha usato un’espressione molto più volgare.»
Odette rise:
«Ha detto “come la merda attraversa il culo”?»
McLaglen stavolta arrossì davvero:
«E lei come lo sa?»
«Be’» rispose misteriosa, «anch’io qui dentro ho i miei informatori.»
Kroller fumava più nervosamente del solito. Era pentito di essersi scoperto troppo con Molineux insistendo per incontrare Eisenhower. Poteva essere stato un rischio inutile, perché in realtà i dettagli operativi della sua missione non gli erano ancora stati comunicati; tutto ciò che Schellenberg gli aveva detto era di rapire, o uccidere, il comandante. Il resto non lo conosceva nessuno.
Forse, con gli ultimi contatti, gli sarebbero arrivate delle istruzioni che avrebbero reso pericoloso l’ultimo approccio con il professore.
Kroller ebbe un attimo di panico. Aveva parlato troppo. E se il professore fosse stato un agente del controspionaggio americano? Anche lui, con la sua Gestapo, aveva sguinzagliato a Parigi individui apparentemente innocui per drizzare le antenne e raccogliere informazioni sugli elementi ostili. Ecco, forse era tutto perduto per un eccesso di iniziativa. Il fiato gli mancava.
Si alzò e fece alcuni respiri profondi. Non era la prima volta che veniva assalito dall’angoscia, ma sapeva che sarebbe passata. Aprì le finestr...