Gente di Dublino
  1. 224 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Personaggi dublinesi che, nella loro inerzia e nella loro ipocrisia, riflettono caratteri universali. Racconti naturalistici che mettono a fuoco i momenti fondamentali dell'esistenza: la fanciullezza, l'adolescenza, la maturità.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804448310
eBook ISBN
9788852047220

Gente di Dublino

Le sorelle

Questa volta non c’era più speranza per lui: era il terzo attacco. Ci passavo sempre davanti alla casa (s’era in vacanza allora) a studiare il riquadro illuminato della finestra, e una sera dopo l’altra mi era apparso sempre alla stessa maniera, soffuso di luce fioca e uniforme. Se fosse morto, pensavo, vedrei il riflesso delle candele sulle imposte abbassate, perché sapevo che si devono mettere due ceri al capezzale della salma. M’aveva detto più d’una volta: «Non ci resterò molto a questo mondo» ma io credevo che parlasse a vanvera. Ora sapevo che diceva la verità. Ogni sera, mentre alzavo lo sguardo alla finestra, ripetevo piano piano fra me la parola paralisi. M’era sempre suonata strana, come gnomone in Euclide e simonia nel catechismo. Ora tuttavia mi risuonava come il nome di un essere malefico e peccaminoso. Un essere che mi riempiva di paura e al quale comunque bramavo star vicino per contemplarne l’ordito mortale.
Quando scesi per la cena, il vecchio Cotter era seduto accanto al fuoco a fumare. Mentre la zia mi versava la minestra col mestolo, se ne uscì con queste parole, quasi volesse completare un’osservazione precedente:
«No, non voglio dire con questo che fosse proprio… ma c’era qualcosa di buffo… qualcosa di misterioso in lui. Vi dirò quel che penso…»
Cominciò a tirare boccate dalla pipa nell’intento di ordinare i termini di questa sua opinione. Vecchio rimbambito! In un primo momento, quando lo conoscemmo, ci sembrava un individuo interessante con tutti quei discorsi sulle distillazioni e gli alambicchi; ma poi m’ero stancato alla svelta di lui e delle sue interminabili storie sulle distillerie.
«Ho la mia teoria in proposito» disse. «Penso che fosse uno di quelli… di quei casi particolari… Ma è difficile dirlo…»
Riprese ad aspirare la pipa senza spiegarci la sua teoria. Lo zio mi vide con gli occhi sgranati e allora mi disse:
«Be’, ti dispiacerà saperlo, ma il tuo vecchio amico se n’è andato.»
«Chi?» feci io.
«Padre Flynn.»
«È morto?»
«Mr Cotter ce l’ha detto proprio ora. È passato da casa.»
Sapevo che mi stavano osservando, così continuai a mangiare come se la notizia non avesse alcun interesse per me. Lo zio spiegò al vecchio Cotter:
«Lui e il ragazzo erano proprio amici. Gli insegnava tante cose, il vecchio, sapete. Lo dicevano tutti che gli voleva un gran bene.»
«Dio abbia in pace l’anima sua» fece la zia in tono devoto.
Il vecchio Cotter mi stette a osservare per un po’. Sentivo che mi scrutava con quei suoi occhietti neri e lucenti, ma non volevo dargli la soddisfazione di sollevare lo sguardo dal piatto. Tornò alla sua pipa e alla fine non si riguardò dallo sputare nella griglia del focolare.
«Non mi andrebbe per niente» disse «che i miei figli avessero a che fare con un tipo simile.»
«Cosa volete dire, Mr Cotter?» domandò la zia.
«Voglio dire che non sta bene per i ragazzi» rispose il vecchio Cotter. «Ecco quello che penso: che i ragazzi vadano a correre e a divertirsi con quelli della loro età, e non farsi… Ho ragione, Jack?»
«La penso esattamente così anch’io» disse lo zio. «Che ognuno badi a stare al proprio posto. È quel che dico sempre a questo Rosacroce qui. Fai un po’ di esercizi fisici. Oh, quand’ero ragazzo io tutte le mattine mi facevo un bagno gelato, estate e inverno. Ecco cosa mi mantiene ancora in gamba. L’istruzione sarà anche una bella cosa… Forse Mr Cotter gradirebbe un pezzo di quel cosciotto di montone» aggiunse rivolto alla zia.
«No, no assolutamente» disse il vecchio Cotter.
La zia tirò fuori il piatto dalla dispensa e lo mise in tavola.
«Ma perché secondo voi non starebbe bene per i ragazzi, Mr Cotter?» chiese.
«Non sta bene per i ragazzi» rispose il vecchio Cotter «perché sono ancora così impressionabili. Vedere certe cose, capite, può avere un effetto…»
Mi riempii la bocca di minestra per paura di dare sfogo alla rabbia. Vecchiaccio rimbambito e ubriacone!
Era tardi quando m’addormentai. Per quanto ce l’avessi col vecchio Cotter per quel suo modo di trattarmi come un bambino, mi tartassavo il cervello per carpire il senso di quelle frasi lasciate in sospeso. Nel buio della stanza mi immaginavo di rivedere la faccia bigia e greve del paralitico. Mi coprii fin sopra la testa con le lenzuola e cercai di pensare al Natale. Ma la faccia bigia mi perseguitava. Bisbigliava e capivo che voleva confessarci qualcosa. Sentivo che il mio animo si ritraeva in qualche regione piacevole e malvagia, ma eccola lì che mi aspettava. Cominciava a confessarsi bisbigliando e mi chiedevo perché sorridesse di continuo e perché avesse le labbra così umide di saliva. Poi mi ricordavo che era morto per un attacco di paralisi e sentivo che stavo anch’io accennando a un sorriso, come per assolvere il simoniaco del suo peccato.
Il mattino seguente, dopo colazione, andai a dare un’occhiata alla casetta in Great Britain Street. Era una botteguccia senza pretese con la generica scritta: “Merceria”. E la merce consisteva per la maggior parte in ombrelli e calzerotti per bambini; di solito in vetrina era appeso un avviso con la scritta: “Si ricoprono ombrelli”. Ora però non si scorgevano cartelli perché le imposte erano chiuse. Alla porta era appeso un fiocco di crespo nero con un nastro. Due donnette e un fattorino del telegrafo stavano leggendo il biglietto appuntato al crespo. M’avvicinai anch’io e lessi:
1 luglio 1895
Il Rev. James Flynn
(già della Chiesa di Santa Caterina, in Meath Street)
di anni 65
R.I.P.
La lettura del biglietto mi persuase che era morto davvero e mi sentii a disagio dinanzi all’inoppugnabile. Se non fosse morto, sarei andato nel bugigattolo scuro dietro al negozio e l’avrei trovato in poltrona, accanto al fuoco, infagottato nel pastrano sin quasi a soffocare. Forse la zia m’avrebbe dato da portargli un pacchetto di High Toast e il regalo l’avrebbe destato dal suo pesante letargo. Toccava sempre a me vuotargli il pacchetto nella tabacchiera nera, infatti gli tremavano talmente le mani che, se l’avesse fatto da sé, ne avrebbe sciorinato metà sul pavimento. Anche quando si portava al naso la manona tremolante, piccole nuvole di tabacco gli sfuggivano fra le dita riversandosi come altrettanti rivoletti sul davanti della veste. Erano state probabilmente queste spruzzate di tabacco a conferire ai suoi vecchi abiti da prete quello sbiadito colore verdastro, tanto più che il fazzoletto rosso, annerito come sempre dalle chiazze di tabacco di una settimana, con il quale tentava di spolverarsi, si rivelava completamente inutile.
Avrei voluto entrare per guardarlo, ma non ebbi il coraggio di bussare. M’allontanai camminando pian piano lungo il lato assolato della strada, mettendomi a leggere durante il percorso tutti gli avvisi teatrali delle vetrine. Mi sembrava strano che né io né la giornata ci sentissimo in lutto, anzi mi dispiaceva scoprire in me un senso di liberazione, come se la sua morte mi avesse sciolto da qualche vincolo. Me ne stupivo perché, come aveva detto la sera prima lo zio, mi aveva insegnato tante cose. Aveva studiato a Roma, lui, nel collegio irlandese, e mi aveva insegnato a pronunciare correttamente il latino. Mi aveva raccontato storie sulle catacombe e su Napoleone Bonaparte, e poi mi aveva spiegato il significato delle varie cerimonie della messa e dei paramenti diversi che indossano i preti. A volte si divertiva a pormi domande difficili, chiedendomi come ci si dovesse comportare in certi casi, o se questo o quel peccato fosse da considerare mortale o veniale o una semplice imperfezione. Le sue domande mi mostravano quanto fossero misteriose e complesse certe istituzioni della Chiesa che avevo sempre considerato come gli atti più semplici di questo mondo. Le responsabilità del sacerdote nei confronti dell’Eucarestia e del segreto della Confessione mi sembravano talmente gravi che mi chiedevo come potesse esserci qualcuno in grado di trovare in sé il coraggio di affrontarle; e non rimasi sorpreso quando mi disse che i Padri della Chiesa avevano scritto libri su libri, più alti dell’Annuario delle Poste e coi caratteri fitti come quelli degli annunci legali sui giornali, per chiarire tutte quelle intricate questioni. Spesso, quando ci pensavo, non riuscivo a dare alcuna risposta o magari balbettavo una qualche sciocchezza della quale era solito sorridere fra sé e sé scuotendo due o tre volte la testa. Talora mi faceva ripetere le risposte della messa che mi aveva fatto imparare a memoria, e mentre le sciorinavo tutte d’un fiato sorrideva mesto e tentennava il capo, infilandosi di tanto in tanto grosse prese di tabacco ora in una narice, ora nell’altra. Quando sorrideva scopriva sempre i grossi denti giallastri e lasciava pendere la lingua sul labbro inferiore; un’abitudine che nei primi tempi della nostra amicizia, prima di conoscerlo bene, mi dava fastidio.
Mentre camminavo al sole mi tornarono alla mente le parole del vecchio Cotter e mi sforzai di ricordare cosa in seguito fosse successo nel sogno. Rammentavo di aver scorto lunghe tende di velluto e una lampada di antica foggia che oscillava, sentivo che ero stato in un luogo remoto, in un paese dai costumi bizzarri… forse in Persia, chissà… Ma non riuscivo a ricordare come andava a finire il sogno.
In serata la zia mi portò con sé a far visita alla casa del morto. Era dopo il tramonto, ma i vetri della casa che davano a occidente riflettevano l’oro fulvo di un grande ammasso di nubi. Nannie ci ricevette nell’entrata e poiché sarebbe parso sconveniente gridarle all’orecchio, la zia si limitò a darle una stretta di mano. La vecchia accennò con sguardo interrogativo al piano di sopra e appena la zia ebbe annuito, prese ad arrancare davanti a noi su per la stretta scala con la testa ricurva che superava appena la ringhiera. Sul primo pianerottolo si fermò e ci invitò a proseguire con un cenno d’incoraggiamento verso la porta aperta della camera ardente. La zia entrò e, quando la vecchia s’accorse della mia esitazione, si dette a ripetermi l’invito con un cenno della mano.
Entrai in punta di piedi. Attraverso l’orlo di trina delle tende si diffondeva nella stanza un riverbero di luce cupa e dorata in cui le candele sembravano ridotte a sottili ed esangui fiammelle. L’avevano messo nella bara. Nannie dette l’esempio e ci inginocchiammo tutti e tre ai piedi del letto. Feci finta di pregare, ma non riuscivo a raccogliere i pensieri distratto com’ero dal borbottio della vecchia. Notai la maniera goffa in cui aveva allacciato sul dietro la gonna e come i tacchi delle pantofole di panno fossero consumati da una parte. Mi venne in mente la strana idea che il vecchio prete sorridesse, disteso nella bara.
Ma no. Quando ci alzammo e ci avvicinammo a capo del letto vidi che non sorrideva. Giaceva imponente e solenne, vestito come per andare all’altare, le manone che trattenevano il calice, inerti. Il volto era truce, grigio e massiccio, con le narici nere e cavernose, orlate di scarsa peluria bianca. Un odore greve stagnava nella stanza, i fiori.
Facemmo il segno della croce e sortimmo. Nella stanzina di sotto trovammo Eliza seduta con aria solenne nella poltrona del prete. Mi diressi con fare incerto verso la sedia dove andavo sempre, nel cantuccio; Nannie intanto si volse verso la credenza e ne tirò fuori una bottiglia di sherry e i bicchieri. Li pose sul tavolo e ci invitò a prendere un bicchierino di liquore. Quindi, a un cenno della sorella, riempì i bicchieri di sherry e ce li porse. Insistette che prendessi dei biscotti alla crema, ma io rifiutai perché avevo paura di fare troppo rumore sgranocchiandoli. Sembrò che restasse piuttosto male al mio rifiuto e si diresse in silenzio verso il divano e si mise a sedere dietro la sorella. Non parlava nessuno. Guardavamo tutti il focolare vuoto.
La zia attese un sospiro di Eliza e quindi disse:
«Be’, se n’è andato in un mondo migliore.»
Eliza sospirò di nuovo e chinò il capo in segno di assenso. La zia fece scorrere il dito lungo lo stelo del bicchiere prima di berne un goccio.
«È avvenuto… serenamente?» chiese.
«Oh, proprio serenamente, signora» rispose Eliza. «Non ce ne siamo nemmeno accorte quando è spirato. Ha fatto una bella morte, ringraziando il Signore.»
«E per il resto?…»
«È venuto padre O’Rourke a dargli l’olio santo martedì scorso e a prepararlo.»
«Allora capiva?»
«Era completamente rassegnato.»
«Oh, ne ha tutta l’aria» disse la zia.
«È quello che ha detto anche la donna che è venuta a lavarlo. Ha detto anzi che pareva dormisse come ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. James Joyce
  4. Gente di Dublino
  5. Copyright