Nella prefazione all’edizione originale dei «Verbali postumi del Circolo Pickwick» si era scritto che quelle pagine volevano semplicemente presentare dei personaggi e degli episodi divertenti, e che non si sarebbe fatto alcun tentativo per offrire un vero intreccio, come infatti in quel momento, e dato il sistema saltuario scelto per la pubblicazione, dall’autore non era giudicato nemmeno possibile. Si diceva inoltre che la complessa idea del Circolo era stata abbandonata via via che il lavoro procedeva perché troppo poco maneggevole. Almeno intorno a uno di questi punti l’esperienza e lo studio mi hanno in seguito insegnato qualcosa, ma sebbene ora potrei forse desiderare che questi capitoli fossero legati da un filo più robusto per suscitare un interesse maggiore, devo tuttavia affermare che essi sono rimasti quali erano nel progetto iniziale.
Ho letto intorno all’origine di questi «Verbali» varie spiegazioni che presentavano ai miei occhi l’indubbia attrattiva della più assoluta novità , ma poiché tali congetture tornano di tanto in tanto ad apparire e mi è lecito dedurre che l’argomento non sia per i miei lettori privo di un certo interesse, ho deciso di raccontare io stesso come il lavoro sia nato.
Ero un giovane di ventidue o ventitré anni quando i responsabili della casa editrice Chapman e Hall, avendo notato degli articoli che in quel periodo andavo scrivendo per il quotidiano «Morning Chronicle», o avevo scritto poco prima per la rivista «Old Monthly Magazine» (una serie dei quali era stata di recente raccolta e pubblicata in due volumi con le illustrazioni di George Cruickshank), mi proposero di scrivere qualcosa che si potesse convenientemente pubblicare a dispense, un metodo che allora faceva pensare, e non credo solo a me, a certi romanzi interminabili stampati con quel sistema e che di solito venivano diffusi da venditori ambulanti, e sui quali ricordo di avere versato innumerevoli lacrime quando ancora non avevo compiuto il mio tirocinio nella vita.
Nel momento stesso in cui apersi la porta della mia stanza al Furnival’s Inn a chi veniva da me, quale rappresentante della casa editrice, riconobbi colui che dopo d’allora non avrei più avuto l’occasione di rivedere, ma che solo due o tre anni avanti mi aveva venduto una copia della rivista in cui appariva con tutta la gloria della pagina stampata la mia prima fatica letteraria e che negli «Schizzi di Boz» avrebbe poi avuto come titolo Il Signor Minns e suo cugino, il cui manoscritto avevo fatto scivolare non senza timore e tremore nella nera cassetta postale di un ufficio piuttosto scuro in un vicolo buio della Fleet Street.1 Fu in quella occasione che mi rifugiai in Westminster Hall e seguitai a camminare avanti e indietro per mezz’ora perché i miei occhi velati per la gioia e per l’orgoglio non avrebbero sopportato la luce delle vie e non erano adatti a lasciarsi vedere dai passanti. Parlai di quella coincidenza al mio visitatore ed entrambi la giudicammo di buon auspicio, dopo di che incominciammo subito a discutere intorno alla proposta che era incaricato di recarmi.
L’idea era che io scrivessi ogni mese un certo numero di pagine destinate a fornire il testo per certe illustrazioni create da Seymour. Sia questo eccellente pittore umoristico sia il mio visitatore di quel giorno erano dell’avviso che il mezzo migliore per far circolare tali illustrazioni sarebbe stato quello di narrare le avventure dei membri di un certo «Circolo Nimrod», i quali se n’andavano alla caccia, alla pesca e così via, incappando in vari guai per causa della loro goffaggine. Dopo aver riflettuto obiettai che pur essendo io nato e cresciuto in campagna, come sportivo non valevo gran che, se non per il gran camminare che facevo; dissi che l’idea non era nuova, anzi se n’era già abusato, e sarebbe stato infinitamente meglio se le illustrazioni fossero nate dal testo; avrei preferito insomma seguire una strada di mia scelta e avere a mia disposizione un più vasto orizzonte di paesaggi inglesi e di gente; anzi avrei finito in ogni caso per far questo, nonostante qualunque piano di lavoro che mi fossi da principio imposto di seguire.
Il mio punto di vista venne accettato, immaginai il personaggio del signor Pickwick e scrissi la prima dispensa, sulle cui bozze il pittore Seymour disegnò il quadro del Circolo e l’indovinatissimo ritratto del suo fondatore, ispirandosi per costui alla descrizione fattagli da Edward Chapman dell’abito e dei modi di un personaggio vero da lui più volte incontrato. Per tener fede al progetto iniziale posi il signor Pickwick in rapporto con un Circolo, e per compiacere Seymour inserii il personaggio del signor Winkle. Incominciammo con un numero di ventiquattro pagine invece di trentadue, con quattro illustrazioni invece di due. L’improvvisa e lamentata scomparsa di Seymour prima che fosse pubblicata la seconda dispensa portò a una rapida decisione intorno a un punto rimasto in sospeso: ogni dispensa sarebbe stata di trentadue pagine con due sole illustrazioni, e così fu sino alla fine.
Confesso la mia riluttanza nel dover ora smentire certe chiacchiere assurde fatte circolare con la palese intenzione di favorire la memoria di Seymour e tendenti a stabilire che egli avrebbe contribuito alla creazione di questo libro, o di una parte di esso, diversamente da quanto fedelmente riferito nel precedente paragrafo. Con la moderazione che esigono sia il rispetto dovuto a un collega scomparso, sia quello verso la mia persona, mi limiterò a riferire i seguenti fatti.
Seymour non ha creato né suggerito un solo brano, una frase o una parola che compaiono in questo libro. Seymour è morto quando erano state pubblicate solo ventitré pagine del libro, e scritte nemmeno quarantotto. Ritengo di non avere mai visto in vita mia la scrittura di Seymour. Mi sono incontrato con Seymour una sola volta, precisamente due giorni prima che morisse, e quella sera egli non mi diede assolutamente alcun suggerimento; erano presenti altre due persone, entrambe ancora in vita, che sono perfettamente a conoscenza di tutti questi fatti e le cui testimonianze scritte si trovano in mia mano. Dirò infine che il signor Edward Chapman, il socio sopravvissuto della casa editrice denominata in origine Chapman e Hall, ha scritto e depositato una dichiarazione su ciò che egli sa intorno all’origine e alla stesura di questo libro, all’assurdità delle infondate asserzioni in argomento, e all’impossibilità comprovata in ogni particolare che esse contengano la sia pur minima particella di verità . Per non venir meno alla pazienza che mi sono proposto di praticare, mi asterrò dal riferire la descrizione che il signor Chapman vi ha inserito dell’accoglienza che il suo defunto socio riservò in una certa occasione ad affermazioni sul genere di quelle già citate.
«Boz», lo pseudonimo con cui firmavo gli articoli che pubblicavo nel «Morning Chronicle» e nella rivista «Old Monthly Magazine», che comparve anche sul frontespizio delle dispense con cui questo libro venne da prima pubblicato, e che ho conservato poi a lungo, era il vezzeggiativo dato in famiglia a un bimbo che mi era oltremodo caro, un fratellino minore, al quale avevo dato il soprannome di Moses in onore del «Vicario di Wakefield»,2 nome che venendo pronunciato per gioco nel caso era diventato «Bozes» ed era stato quindi abbreviato in «Boz». «Boz» era per me un appellativo familiare già molto tempo prima che incominciassi a scrivere e per questo me ne servii.
È stato notato a proposito del signor Pickwick che di pagina in pagina il suo carattere subisce un deciso mutamento e che egli diventa a poco a poco più buono e più sensibile. Non mi pare che tale cambiamento debba risultare forzato o innaturale ai miei lettori se essi vorranno riflettere che nella vita reale le peculiarità e le stranezze di chi abbia veramente in sé qualcosa di singolare fanno di solito più spicco al principio, mentre quando si conosce meglio l’individuo si incomincia a vedere al di là dei suoi tratti superficiali e ad apprezzarne la parte migliore.
Affinché nessuna persona onesta manchi di rilevare (come invece alcuni non fecero quando pubblicai il romanzo intitolato Old Mortality) la differenza che corre tra il sincero sentimento religioso e la simulazione di esso, fra la pietà vera e quella ipocrita, fra l’umile venerazione delle grandi verità della Scrittura e l’offensiva applicazione della sua lettera invece che del suo spirito ai contesti più comuni e agli eventi più meschini della vita, con grandissima confusione delle menti ignoranti, voglio dire che in questo libro la satira viene rivolta al secondo tipo di spirito religioso e non mai al primo. Aggiungerò che si fa qui la satira del secondo appunto perché l’esperienza ci ha insegnato che esso è incompatibile con il primo al quale non si può mai congiungere, e perché rappresenta una delle falsità più malvagie e dannose che esistano nella società , sia che abbia per un momento il suo quartier generale in Exeter Hall o nella Ebenezer Chapel3 o in entrambe le sedi. Può darsi appaia superfluo dedicare anche solo due parole a un argomento così evidente, ma non è invece mai male protestare contro la volgarità di chi ha familiarità delle cose sacre con le labbra e le ignora con il cuore, o contro l’insulto al cristianesimo di cui si rendono colpevoli coloro che, per usare le parole dello Swift,4 possiedono quel po’ di religione che li induce a odiare il prossimo, ma non mai abbastanza per essere indotti ad amarlo.
Nell’esaminare le pagine di questa ristampa, ho trovato curioso e interessante rilevare quali importanti progressi siano avvenuti quasi impercettibilmente nella nostra società da quando il libro è stato scritto. Altri progressi potranno diminuire la corruzione dei legali e la misura con cui i giurati possono venire astutamente frastornati, come rientra pure nelle possibilità il miglioramento del sistema di condurre le elezioni per il Parlamento (e forse anche del Parlamento stesso). È vero tuttavia che le riforme legali hanno già tagliato le unghie a professionisti sul tipo degli avvocati Dodson e Fogg, e che tra i loro dipendenti si è andato diffondendo uno spirito di decoro, di scambievole tolleranza, di buona educazione e di collaborazione; posizioni un tempo lontane si sono andate ravvicinando con grande comodità e vantaggio del pubblico e per la futura immancabile distruzione di una caterva di meschine gelosie, di cecità e di pregiudizi dei quali era il pubblico stesso a soffrire. Sono mutate le leggi sulla incarcerazione per debiti, e la prigione della Fleet è stata demolita.
Ma forse il giorno in cui si terminerà di leggere questa storia si scoprirà che vi sono ancora in città e in campagna dei magistrati ai quali si dovrebbe insegnare a stringere la mano ogni giorno al buon senso e alla giustizia; che perfino le leggi sui Poveri possono avere pietà dei deboli, degli anziani e degli infelici; che le scuole, in forza dei grandi principii del Cristianesimo sono in lungo e in largo il miglior ornamento di questo paese civile: che le porte delle prigioni dovrebbero essere sbarrate dall’esterno non meno accuratamente e saldamente di quanto lo siano dall’interno; che l’universale diffusione dell’igiene e della salute raggiunge i più poveri fra i poveri, come è indispensabile che per la salvezza stessa dei ricchi e dello Stato, pochi indegni enti e istituti, meno importanti di gocce d’acqua nel grande oceano dell’umanità che rombando li circonda, non abbiano più la possibilità di scatenare a piacer loro sulle creature di Dio la febbre e la tubercolosi, né di seguitare a fare stridere i loro meschini violini per accompagnare una interminabile Danza della Morte.
Samuel Pickwick, fondatore del Circolo Pickwick
| Augustus Snodgrass | | membri corrispondenti |
| Tracy Tupman | della Associazione |
| Nathaniel Winkle | del Circolo Pickwick |
Benjamin Allen, studente in medicina | Peter Magnus |
Jack Bamber | Mallard |
Angelo Cyrus Bantam | Martin |
Tommy Bardell | Miller |
Capitano Boldwig | Mivins, soprannominato «lo zeffiro» |
Colonnello Bulder | Jonas Mudge |
Buzfuz, avvocato | Muzzle |
Il prigioniero della Corte di Giustizia | Neddy |
Sir Thomas Clubber | George Nupkins |
Dodson, avvocato | il dottor Payne |
Capitano Dowler | Solomon Pell |
Dubbley, ufficiale di polizia | Perker |
Horatio Fizkin | Phunky |
Fogg, avvocato | Pott |
Daniel Grummer | Raddle |
Jack Hopkins, studente in medicina | Tom Roker |
Anthony Humm | Bob Sawyer, studente in medicina |
Leo Hunter | il dottor Slammer |
Jem Hutley, soprannominato «il tetro Jemm» | l’onorevole Samuel Slumkey |
Jackson | Slurk |
Alfred Jingle, attore ambulante | Smangle |
Jinks | John Smauker |
Joe, il ragazzo grasso | Snubbin, avvocato |
Lowten | il giudice Stareleigh |
il tenente Tappleton | il reverendo Stiggins,soprannominato «il pastore» |
Job Trotter | Samuel Weller |
Trundle | Tony Weller |
Wardle | Winkle, padre |
Personaggi femminili
Arabella Allen | la signora Pott |
Martha Bardell | Mary Ann Raddle |
la moglie del colonnello Bulder | Susannah Sanders |
Lady Clubber | Lady Snuphanuph |
Betsy Cluppins | Emily Wardle |
la signora Craddock | Isabella Wardle |
la signora Dowler | Rachael Wardle |
la signora Hunter | la signora Wardle |
Mary, cameriera | Susan Weller |
la signora Nupkins | la signorina Witherfield |
Henrietta Nupkins | la moglie del colonnello Wugsby |
Personaggi che compaiono nelle storie
il principe Bladud | John, attore di pantomime |
John Edmunds | il vecchio Lobbs |
il signor Edmunds | Jack Martin |
la signora Edmunds | Nathaniel Pipkin |
Gabriel Grub | Tom Smart |
Henry | Kate |
George Heyling | Mary Heyling |
Jinkins | Maria Lobbs |
Il...