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Stava camminando lungo il fiume, su un tortuoso sentiero pieno di ortiche e felci. Era il terzo giorno della sua fuga da Stoccolma, da Kristina Tacker e dalla bambina. Al mercato di Söderköping, tra i banchi del pesce, aveva cercato qualcuno che potesse portarlo a Finnö attraverso la baia di Slätbaken. Due garzoni di Kettilö si offrirono di accompagnarlo in cambio di un po’ di acquavite. Si sarebbero incontrati due giorni dopo alla foce del fiume, speravano nel frattempo di aver venduto tutto il loro pesce.
Di fianco al sentiero vide una radura che arrivava giù fino al fiume. Si sedette su un sasso e chiuse gli occhi. Aveva camminato lentamente, senza sforzarsi, ma faticava a respirare come se avesse corso. Gli capitava non solo quando si muoveva, ma anche se era seduto o dormiva. Il polso gli batteva forte.
Prima di prendere il treno che lo avrebbe portato verso sud aveva scritto una lettera a Kristina Tacker. Le aveva spiegato l’improvvisa partenza con il fatto che l’immane conflitto aveva subìto una svolta inaspettata e pericolosa. Tutto, come al solito, doveva rimanere segreto. Ogni lettera che le avrebbe scritto, contenente anche il minimo accenno alla sua missione, poteva diventare un pericolo per lei, per la bambina e per lui stesso.
Era seduto a un tavolo nella sala ristorante di prima classe della stazione centrale. Quando scrisse il nome Laura gli tremò la mano, non riuscì a dominarsi e iniziò a piangere. Una cameriera lo guardò stupita, ma non disse nulla. Si ricompose e iniziò a dare vita alla sua missione urgente.
La guerra, scrisse, si avvicina sempre più ai nostri confini. Per il momento niente può essere rivelato alla gente di questo paese, ma i militari come me sono al corrente di tutto. Dobbiamo intensificare la difesa dei nostri confini. Sarò a bordo di varie navi, e le mie posizioni cambieranno, nel Baltico settentrionale e meridionale, lungo le coste dell’Halland e del Bohuslän. Le mie lettere non viaggeranno con la posta militare di Malmö, ma saranno inviate da punti particolari della costa orientale. Niente di quanto ti dirò deve essere svelato, rischierei ritorsioni e perfino il licenziamento. Ti scriverò presto.
Imbucò la lettera alla stazione, comprò il biglietto per Norrköping e lasciò la città. Appena prima di Södertälje il treno attraversò un incendio. Il fumo, dai finestrini, sembrava una fitta nebbia.
“È quello che cerco” pensò. “Una nebbia nella quale remare, come quella volta in cui sono approdato sull’isola di Sara Fredrika.”
Arrivò fino a Söderköping e passò la notte nell’albergo vicino al canale. Senza capirne il perché si registrò sotto falso nome, Ludwig Tacker. Non indicò alcun titolo e come indirizzo scrisse Humlegårdsgatan.
La notte era afosa, si stese nudo sopra le lenzuola.
“Nessuno sa dove sono” pensò. “Sono al sicuro adesso, e quando sapranno che sono stato qui avrò già fatto sparire le mie tracce.”
All’alba fece una passeggiata lungo il canale, salì sulla collina di Ramunderberget, ritornò in albergo, bevve un caffè, scrisse un’altra lettera a sua moglie. Le disse che era felice per la nascita della bambina, ma che al tempo stesso aveva piena coscienza dei suoi doveri.
Una lettera breve. Chiuse la busta e lasciò l’albergo.
La giornata era calda. Prima di scendere lungo il sentiero che costeggiava il fiume sentì all’improvviso una sensazione di fresco.
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Mentre se ne stava seduto su un sasso si mise a riflettere. Avrebbe dovuto prolungare la sua missione più a lungo del previsto? Il sentiero vicino al fiume, l’aria umida e calda, l’odore di terra e di fango fecero volare i suoi pensieri verso altri continenti. L’Africa, l’Asia. Un corriere avrebbe portato le sue lettere e le avrebbe spedite in Svezia. Kristina Tacker si sarebbe allarmata per i pericoli, le malattie, gli insetti e i serpenti che pungevano e morsicavano. Al tempo stesso, però, la distanza avrebbe reso ancora più grandi i suoi segreti. Lei non ne avrebbe parlato con nessuno, neanche con suo padre. Non sapeva niente di navi da guerra. Se lui avesse detto che una nave poteva andare all’impensabile velocità di ottanta nodi, lei non avrebbe chiesto spiegazioni.
Kristina Tacker non chiedeva mai spiegazioni sui suoi segreti.
Rimase seduto su quel sasso a fantasticare su missioni in continenti lontani. Fece un calcolo che non aveva mai tentato prima di allora. Quanto lontano dalla realtà poteva andare con la fantasia senza che tutto cadesse a pezzi?
Naturalmente non c’era risposta alla sua domanda. Si immaginò anche di trasformare il suo batimetro in una campana subacquea con cui immergersi e raggiungere il fondo. Quanta pressione dell’acqua avrebbe potuto sopportare prima di dover risalire in superficie e nella realtà?
Era già pomeriggio inoltrato quando si alzò e riprese a camminare verso la foce del fiume. Gli sembrava di calcare il sentiero di una brumosa foresta tropicale.
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La barca era simile a quella di Sara Fredrika, ma la vela era rattoppata e i due garzoni ubriachi. Dormivano accovacciati tra le tinozze e le ceste vuote. Quando li svegliò erano le sei. Il più grande dei due, che si chiamava Elis, gli chiese se aveva portato l’acquavite. Gli mostrò le bottiglie, ma gli disse che non aveva intenzione di dargliele finché non fossero stati a sud di Finntarmen. Anzi, finché non fossero arrivati.
Ma arrivati dove? A chiederlo era stato Gösta, il più giovane.
«Per ora non posso dirvi niente, è una missione militare» rispose. «Devo farmi trovare su un’isola e lì verrò recuperato da una nave della marina.»
«Che isola?» domandò Gösta.
«Ve la mostrerò quando ci saremo vicini.»
I due garzoni iniziavano a smaltire la sbornia. Borbottavano, volevano aspettare fino al giorno seguente prima di lasciare la foce del fiume. Ma Lars Tobiasson-Svartman non aveva tempo da perdere e li costrinse a mettersi in viaggio. Tirava vento, avrebbero potuto essere fuori dalla baia di Slätbaken già prima di notte. Gösta si sedette alla barra del timone, mentre Elis si occupava della vela. Ogni volta che manovrava la scotta bestemmiava.
Lui si rannicchiò a prua, sistemandosi la custodia del batimetro tra le gambe. Dal mare saliva un odore acre, si ricordò di averlo sentito quando era a bordo della Blenda.
Approdarono in una piccola insenatura appena fuori dalla baia di Slätbaken. Su un isolotto lì vicino aveva passato la notte con Sara Fredrika.
All’improvviso fu preda di un terribile senso di colpa. Gli sembrò di non avere mai viaggiato nell’arcipelago di Östergötland, ma di essersi immerso nel profondo di se stesso. Faceva fatica a respirare. Poi, quando il fuoco si spense e i due garzoni si addormentarono, sentì che il panico lentamente se ne andava.
Guardò i due ragazzi che russavano. “Li invidio” pensò. “Ma la distanza che separa la loro vita dalla mia non potrà mai essere colmata.”
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Si trovavano tra Rökholmen e Lilla Getskär quando Gösta gli chiese di nuovo in che punto dovevano sbarcarlo. Durante la notte aveva soffiato un vento fresco e avevano navigato velocemente.
«A Halsskär» rispose.
I due lo guardarono con stupore. «Quella roccia in mezzo al mare? Verso il faro e gli scogli delle foche?»
«C’è un’altra Halsskär a sud di Västervik e una nelle vicinanze di Hernösand. Ma non è là che dovete portarmi.»
«E cosa vai a fare su quella stramaledetta roccia? Ci vive una pazza megera, è lei che devi vedere?»
«Non conosco nessuno su quell’isola, eseguo solo degli ordini. È là che mi verranno a prendere.»
I garzoni sembravano divertiti. «Dicono che tutti i cacciatori di frodo finlandesi che passano di lì le danno qualche colpetto, all’andata e al ritorno» raccontò Elis.
Lars Tobiasson-Svartman si sentì gelare il sangue nelle vene. Li avrebbe uccisi, ma voleva sapere le voci che circolavano. «C’è una puttana sull’isola? E come ci è arrivata?»
«Suo marito è annegato» disse Gösta. «Comunque sì, è una puttana, e di cosa potrebbe vivere se no? L’ho vista, è proprio una lurida megera. Bisogna essere davvero arrapati per andare a letto con quella.»
«Ma ce l’ha un nome?»
«Sara, anche se qualcuno dice Fredrika.»
I due ragazzi tacquero. La barca navigava veloce. Iniziò a riconoscere le isole, il ghiaccio che le circondava, ormai, era solo un lontano ricordo.
Pensò di uccidere quei due e di lasciarli andare a fondo.
Nel tardo pomeriggio fecero rotta verso la baia dove era ormeggiata quella di Sara Fredrika. Diede a Elis due litri di acquavite e saltò a terra.
«Se qualcuno ve lo chiede, voi non avete portato nessuno.»
«E chi dovrebbe chiedercelo?» rispose Gösta. «A chi interessa se due garzoni danno un passaggio a qualcuno?»
«Non importa, non dovete dire niente. C’è una guerra, e quello che faccio è segreto. Una sola parola sul mio sbarco qui e potreste ritrovarvi al fresco per il resto della vostra vita.»
Si diressero verso sud. Li osservò mentre si allontanavano, si erano messi a parlare animatamente. Ma pensò che non avrebbero raccontato niente di lui, li aveva spaventati a sufficienza.
Guardò le reti, il vivaio, gli attrezzi e i piombi. La barca era ormeggiata. Non c’era bisogno di tirarla a riva quando il livello dell’acqua era alto. Poi rivolse gli occhi verso il sentiero. La scarpata e le rocce erano coperte di erbe rampicanti.
Cercò di costruire una stanza intorno a sé. Ma i muri non volevano innalzarsi.
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La prima cosa che vide fuori dalla casa fu un gatto. L’animale lo osservava attentamente, gli sembrò lo stesso che aveva ucciso in preda a una collera cieca.
Disprezzava la credenza nel soprannaturale. L’essere umano si era sempre dato da fare per rendere superflue le sue divinità. Era un essere calcolatore, e forse un giorno il tempo e lo spazio avrebbero potuto essere misurati in base a scale di grandezza fino ad allora sconosciute. Cos’era il soprannaturale se non un retaggio dell’infanzia? Non era forse ciò che restava in noi di quella lontana paura delle ombre e del buio? Di solito riusciva a controllarsi, ma questa volta il gatto lo aveva spaventato.
La bestia sparì appena lui si mosse per raggiungere la finestra.
Sara Fredrika era sdraiata sulla branda e dormiva. Fissò lo sguardo sul suo ventre, era enorme. Lei dovette sentire qualche movimento fuori dalla finestra, perché girò la faccia, gridò per la gioia e uscì. Era sudata, il suo corpo emanava calore.
Lui, immediatamente, allontanò ogni suo pensiero da Kristina Tacker e da Laura. Riusciva a innalzare quei muri, adesso. Al di fuori di Halsskär non c’era nulla, nulla che non potesse controllare. Teneva in mano tutte le distanze.
«Come sei arrivato?» gli chiese. «Non mi sono accorta di niente.»
«Con due pescatori di Loftahammar, almeno così hanno detto.»
«Da dove sono partiti?»
«Da Norrköping.»
«E come li hai trovati?»
«Nel porto. Avevano comprato una barca a vela, o l’avevano scambiata, non ho capito bene. Ho avuto fortuna, altrimenti avrei dovuto proseguire fino a Söderköping.»
“Nessuno dei due garzoni può contraddire il mio racconto” pensò. “Cammino sul...