SEI TU
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SEI TU

  1. 276 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Nicco non ci può credere. Quella mattina di inizio estate, mai si sarebbe aspettato di trovare la stanza dell¿hotel completamente vuota. Senza nessuna traccia di Ann. Lei, la bellissima turista americana con cui ha vissuto giorni da favola, è sparita dalla sua vita. Non gli ha lasciato un biglietto, un recapito, nulla. Si è perfino dimenticata lì il sasso a forma di cuore che hanno trovato insieme sulla spiaggia di Anzio. Peccato, proprio ora che Nicco aveva capito di essere ancora capace di innamorarsi, di avere superato la storia con Alessia. Proprio ora che aveva ritrovato le parole d¿amore perdute. Se in Quell¿attimo di felicità Federico Moccia ha raccontato la balbuzie di un ragazzo nell¿esprimere un sentimento d¿amore, in Sei tu ci dice invece che non esistono ostacoli che ci possano fermare quando sentiamo il nostro cuore urlare ¿Ti amo!¿.
Da quella stanza d¿albergo vuota comincia un¿avventura incredibilmente ricca di incontri e colpi di scena. Nicco decide d¿impulso di partire alla ricerca di Ann spalleggiato dal formidabile amico Ciccio. Una decisione assurda e totalmente irrazionale ma soprattutto senza alcuna possibilità di riuscita: l¿unico indizio è infatti un indirizzo di New York, strappato con cento euro al portiere dell¿hotel. Un indirizzo che, arrivati nella Grande Mela, si rivelerà falso. Ma a volte il cuore è come una bussola, sa captare il magnetismo di due persone che si amano e che il destino vuole fare incontrare di nuovo. Con tantissima fortuna e grande intraprendenza, aiutato da personaggi come il coloratissimo Venanzio e la risoluta manager Pamela, Nicco conquisterà gli Stati Uniti e soprattutto riuscirà finalmente a dare voce ai suoi sentimenti. Quando senti dentro di te un amore così grande, nessun ostacolo può fermarti, meno che mai una lingua straniera.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804637318
eBook ISBN
9788852047312

1

Nella vita molte cose ci capitano per caso, solo alcune riusciamo a deciderle noi e quasi sempre, queste ultime, sono le migliori. Come l’idea di rivederla. Così cammino per il parco, con le mani in tasca, e quando la vedo il cuore mi batte così forte da non lasciarmi dubbi.
«Ehi...» Rimaniamo zitti a fissarci, come se non fosse passato che un attimo. È tornata a Roma e tutto è come l’ultima volta: i suoi capelli castani con quei riflessi cangianti sotto la luce del sole, la fossetta che le si forma sulla guancia sinistra, la pelle sottile, quasi trasparente, che lascia intravedere l’ombra blu delle vene sulle sue mani affusolate. Anche il cuore inciso sulla panchina da qualcuno che non siamo noi – è ancora lì. Con la sua scritta “Mona Mour”, sgrammaticata ma che rende l’idea. Ann sorride, poi mi guarda curiosa, forse preoccupata che possa essere successo qualcosa da quando è partita, che qualcuno abbia rubato un pezzo della nostra storia. «No...» rispondo a quella domanda che non è mi stata posta. E lei sembra così felice, come se quel non usare neanche una parola per dirsi tutto appartenga solo agli eletti, agli innamorati cui basta guardarsi negli occhi per leggere cosa c’è scritto nel cuore. Ma a voler controllare bene, qualcosa che non dico, nel mio cuore purtroppo c’è scritto: “Qualche volta ho pensato a Lei”. Lei, lei con la L maiuscola, lei che è stata così importante nella mia vita. Ho paura quasi che mi sfondi il petto e da sotto il maglione questa parola spunti a caratteri cubitali, che lettera dopo lettera si componga plasticamente sotto gli occhi di Ann. Allora istintivamente mi allaccio il giubbotto. E, senza che me l’abbia neppure domandato, metto le mani avanti, sentendomi in colpa. Un po’ come quando da piccolo rompi un vaso e ancora prima che tua madre se ne accorga dici: “Non sono stato io!”. Così mi affretto ad anticiparla: «Non l’ho più rivista». Una bugia. Ma solo a metà. Perché vederla tanto nitida nei miei ricordi è stato quasi naturale, e qualche volta guardare la sua pagina Facebook, passare sotto casa sua, cercare di incontrarla non ha significato niente, è stato solo un modo per annacquare piano piano il dolore che provavo per questa storia finita senza alcuna ragione.
Alessia, la ragazza con cui stavo da più di un anno, un giorno ha preso e se n’è andata. Punto. Questa è la cicatrice che forse non potrà mai cancellarsi nel mio cuore. E Ann sembra quasi sentire che sono distratto. Allora mi rapisce dai miei pensieri, mi prende una mano, la guarda, la rigira. È come se cercasse tra le sue pieghe una qualche spiegazione. In quella linea della vita, della fortuna, della felicità, dell’amore. Le percorre tutte con il suo dito poi quasi lo sussurra: «Io e te?». E lo dice senza guardarmi, con la testa bassa, con un filo di voce che all’improvviso ha rotto quel suo strano silenzio. Che bello, ha imparato perfino qualche parola in italiano. Poi alza la testa, mi guarda sorridendo e lo ripete: «Io e te». Questa volta senza punto interrogativo e mi sento stringere il cuore e mi manca il fiato e le dico semplicemente: «Sì... noi due». Allora lei sembra più tranquilla, soddisfatta. Fa un lungo respiro e si guarda in giro: dei bambini corrono intorno allo scivolo, il primo della fila viene spinto di lato da quello dietro, un riccioletto velocissimo, futuro terrorista o recordman nella corsa a ostacoli, che lo scansa e si pone in cima alla scala.
Due signore passeggiano con i sacchetti gialli del supermercato qua vicino. Un uomo anziano seduto sulla panchina legge il giornale e scuote ripetutamente la testa sconsolato, battendo la mano sulla pagina, non si capisce se per lo sdegno provocato da una notizia o per un semplice tic. E io dico a Ann, cercando di farmi capire e infilandoci anche qualche parola d’inglese: «Sembra più bello del solito questo parco... This place is more beautiful. Forse perché you’re here, perché ci sei tu...».
Lei mi guarda e poi mi poggia la mano sul petto e ripete con voce bassa e calda quelle mie due parole: «Noi due». E questa cosa mi prende, mi eccita in un modo pazzesco.
In quello stesso istante si alza un soffio di vento, un brivido mi attraversa la schiena e lei continua a guardarmi così. Ora sento caldo, mi tolgo il giubbotto, poi il maglione, la camicia e rimango a torso nudo. E alla fine sorprendo anche me stesso urlando a squarciagola: «Sì, noi due, noi dueee!».
Ann scuote la testa scoppiando a ridere. «You are crazy...»
Poi i suoni si confondono, la luce mi acceca, i miei occhi fanno fatica a mettere a fuoco. L’odore familiare di un posto... casa mia, sono in camera mia!
«Di’ la verità, stavi sognando Ann, vero?»
«Ma che cazz...?» Spalanco gli occhi e mi tiro su di colpo, con la faccia di Ciccio che mi fissa dall’alto a un centimetro dalla mia come quando vai dal dentista.
Mia sorella Valeria è vicino a Ciccio, mi guarda anche lei divertita. «Ma no, si agitava, nel sogno mica era felice... stava sognando Alessia!»
«Sì, che lo mollava un’altra volta... Ah ah...» fa Ciccio, e Valeria scoppia a ridere.
Li guardo esterrefatto. «Cioè, vi state facendo un sacco di risate con il mio dramma...»
Ciccio muove la mano.
«Vabbè, mo’ il dramma...»
«Una mi ha mollato, l’altra è partita per l’America senza salutarmi... che volevate di peggio?»
Valeria non smette di ridere.
«Comunque sul serio ti agitavi in un modo strano. Non si capiva se pensavi di stare in America e passeggiando ti eri scontrato con Julia Roberts, oppure se stavi facendo l’amore con qualcuno... Che poi io mica lo so come sei in quei momenti lì, boh...»
Valeria alza le spalle e sparisce così.
«Forte tua sorella!»
«Eh... fortissima! Ancora con Fabiola ci stiamo chiedendo se è stata adottata... Beato te che sei figlio unico!»
«Ma che dici? Se io avessi avuto un fratello, guarda, avevo già costruito un impero. Allora, di’ la verità, stavi sognando Ann, vero?»
«Nooo, ti ho detto di no.»
«Ma dài, si capiva, si capiva...» Si siede sul bordo del letto e guarda divertito la mia maglietta per terra. Devo averla appena lanciata nel sonno. Sono a torso nudo. Come nel sogno.
Mi alzo e Ciccio mi segue. Non basta che si piombi in casa mia mentre dormo, ora viene pure in bagno con me.
«Guarda che sei giustificato, cioè, uno può evitare di pensarci durante il giorno ma la notte, quando sogna, non è proprio possibile. Cioè, mica si possono censurare i sogni, anzi forse è proprio questo il bello.» Alza un sopracciglio, con aria maliziosa.
Apro la doccia e sorrido. Questa Ciccio l’ha piazzata bene ma non mi faccio beccare. Si siede sul water.
«Cioè, te lo ricordi il film Atto di forza
«È il quarto “cioè” in due minuti» cerco di sviarlo io. Ma non si lascia scoraggiare.
«Dài, te l’ho regalato a Natale nel pacchetto che ti avevo fatto, Schwarzenegger e Sly.»
«E allora?»
«Era quello dove i sogni si possono predisporre, insomma, tu puoi pilotare quello che ti gira in testa mentre dormi: fico, no? Peccato che è un film, anche se penso che molte delle cose che vediamo nei film alla fine accadono! Cioè...»
Sto per fulminarlo. Ma lui alza la mano mostrando le dita aperte per autodenunciare l’ennesimo “cioè”.
«Quinto!» ammette prima di continuare. «Se le pensiamo, secondo me sono possibili...»
«O sono fantascienza. E poi, la maggior parte delle cose che pensi tu, Ciccio, non le metterebbero neanche in un film... sarebbero vietate!»
E mi infilo sotto la doccia mentre lui rimane lì fuori e continua a parlare, ma non lo sento, o meglio, non lo vorrei sentire.
«Che poi è capitato a tutti. Una volta stavo sognando che ero sprofondato su un divano in mezzo a Selena Gomez e – indovina chi? – Rihanna! Solo che dovevo essermi scolato non so quante birre, così mi sono svegliato che mi stava scoppiando la vescica, sono corso in bagno, poi tornando a letto ho cercato di riprendere il sogno lì dove s’era interrotto, per godermi i bacetti di Selena, bacetti si fa per dire. Oh, niente... Ti è mai capitato?»
Be’, devo ammetterlo, ci ho provato anch’io, qualche mese fa. Ero sui seggiolini del calcinculo al luna park e qualcuno mi spingeva, e io dicevo “più forte, più forte!”. Poi è suonata la sveglia e la giostra, ahimè, si è fermata. Ho cercato di riaddormentarmi per scoprire chi era a spingermi, chi mi faceva volare fino al cielo senza paura, ma niente.
«Allora? Glielo hai detto ai tuoi?»
«Che cosa?»
«Come che cosa? Che partiamo!»
Mi friziono i capelli con l’asciugamano grosso. Ai miei... che strano sentire queste parole. I miei, i miei non ci sono più. C’è solo mia madre, ma non correggo Ciccio.
«No, ancora non gliel’ho detto.»
«Ma come, cazzo, io sono tre giorni che non dormo, finalmente ho superato questa fottuta paura di prendere l’aereo e ora tu mi dici che non partiamo?»
«Non ho mai detto una cosa del genere.»
«Vabbè, ma è uguale, ancora non lo hai detto a casa... Io, una volta che ho deciso di partire con te, non ho avuto nessun problema a dirglielo!»
E ti credo! I suoi genitori saranno felici di liberarsi di lui almeno per un po’. Secondo me non hanno ancora capito che giri ha e sono preoccupati che da un momento all’altro possa suonare alla porta la polizia per una perquisizione da cima a fondo. O uno degli ultimi eredi della banda della Magliana a sfasciare casa.
Mi infilo maglietta e mutande e vado di corsa in cucina e metto su il caffè. Ciccio naturalmente mi segue.
«Sai che mi sono scaricato un PDF con tutti i posti imperdibili da visitare a New York? Per esempio, secondo me dovremmo assolutamente fare una scappata a Broadway.»
Eccolo, a volte mi fa tenerezza, è davvero un po’ naïf: Broadway è esattamente una delle prime mete dove andrebbe un turista, e pure di una certa età. Insomma, nulla di originale, e Ciccio pensa di essere un pioniere. Col suo entusiasmo riesce a farlo credere anche a me. Tira fuori dallo zainetto una specie di nuova guida fatta da lui, ha perfino creato la copertina: una mela in mezzo al cielo che sembra una luna, con sopra due astronauti e la bandierina dell’Italia.
«Ti piace?»
«Ma tu, Ciccio, sei veramente fuori!»
«Perché? È la scoperta dell’America fatta da noi due...»
«Certo, solo cinquecento anni dopo Cristoforo Colombo. Sempre in anticipo, noi, eh!»
«Già, ma noi scopriremo tutto quello che ancora non è stato scoperto. Secondo te Colombo c’è stato a Williamsburg nell’Internet café frequentato dalle ragazze più belle del pianeta? Ma che, ti devo spiegare tutto?»
In un attimo la tenerezza lascia il posto a una certa ammirazione: questa volta Ciccio ha studiato, non c’è che dire.
E così se ne va via, come sa fare solo lui, che è allegro sempre e comunque, anche se le due donne con le quali stava ormai da qualche tempo – contemporaneamente, senza saper scegliere con chi stare – lo hanno lasciato, anche se si è iscritto al secondo anno di Giurisprudenza e non ha dato un esame, anche se deve ottocento euro a uno che gli ha venduto un motorino mezzo scassato: perché Ciccio è unico, e infatti quando torno in cucina per spegnere la moka mi accorgo del sacchetto dell’Euclide con tanto di cornetti ormai gelati. Li porta sempre appena sfornati, non fosse che si scorda di dirlo.
Partire con lui sarà veramente divertente, e poi mi farà bene staccare un po’ da Roma. C’era una canzone di Battisti che cantava sempre mia mamma: diceva che è facile incontrarsi anche in una grande città. Eppure Alessia io l’ho incontrata solo un attimo al concerto dei Coldplay circa un mese fa.
Apro Facebook. Niente, la sua situazione sentimentale è sempre la stessa, single. E così mi comincio a vestire, a poco a poco mi sento più leggero, passerò alla B&B, l’immobiliare dove lavoro il pomeriggio, per dire che parto, ieri ho avvisato mio zio in edicola e per ultima cosa lo dirò a casa.
Sì, in questo momento mi sembra tutto facile, non so che presto mi troverò di fronte alla scelta più difficile della mia vita. Ma a ventitré anni uno pensa di avere tutto il tempo per imparare.
Be’, proprio tutto no, a sentire mia madre. “Alla tua età io avevo già un figlio” ripete ogni volta che becca i miei calzini sporchi per terra e il letto ancora da rifare.
“Ma mamma, quella era preistoria!”

2

Quando esco dall’ascensore della B&B, che il sabato mattina rimane aperta per qualche ora, Pozzanghera è di fronte a me. Sì, insomma, in realtà si chiama Benedetta, ma tutti in agenzia l’hanno soprannominata così, nessuno ancora ha capito bene perché.
«Ehm, ciao, Bene...» le dico mentre per poco non le inciampo addosso, raddoppiando l’imbarazzo che subito si alza tra di noi.
Lei non dice nulla, e pur di non starmi vicino fa subito dietrofront. La seguo fino alla sua scrivania.
«Dài, non fare così, ma che sei ancora arrabbiata?»
Rimane in s...

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  1. Copertina
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  39. 36
  40. 37
  41. Ringraziamenti
  42. Copyright