Pantera smise di contemplare distrattamente, attraverso il finestrino, la landa brulla e grigiastra che il treno stava attraversando. Lanciò un’occhiata a Molly, seduta di fronte a lui. La donna dormiva con la bocca aperta, la testa che le ciondolava di lato avvolta dai capelli lunghi e rossi. In momenti come quelli, il viso slavato e lentigginoso di lei appariva quasi bello. Merito forse della capigliatura sciolta, che nessuna donna costumata si sarebbe permessa di portare. Più che un ricordo del suo passato di prostituta, l’acconciatura era un indizio delle circostanze drammatiche in cui avveniva quel viaggio.
Il controllore si accostò per l’ennesima volta. Pantera sfiorò con la destra la Smith & Wesson 1869 che gli rialzava lo spolverino all’altezza del ventre. L’arma più potente che era riuscito a trovare durante la fuga verso nord: un vero gioiello della tecnica. Non l’aveva ancora provata, e l’ometto in divisa da un’ora buona stava facendo di tutto per proporsi quale bersaglio. Aveva proprio la fronte adatta a ospitare un buco calibro 44.
«Fatemi vedere di nuovo i biglietti» disse il controllore. Increspò le sopracciglia nere e sottili con severità.
Pantera evitò di sollevare lo sguardo. In segno di disprezzo, anzitutto, ma anche per impedire all’altro di cogliere nei suoi occhi i sintomi di una collera pronta a debordare.
«È la terza volta che me li chiedete. Qual è il vostro problema?»
«Siete voi il problema!» esclamò l’ometto, senza alzare troppo la voce. Indicò con un gesto misurato i gentiluomini e le dame seduti all’altra estremità del vagone, a debita distanza dai due passeggeri anomali. «Qui ci sono signori che si chiedono come mai un viaggiatore dalla pelle scura possa stare in questa carrozza. Quella per i negri, i cinesi e i manovali è l’ultima, proprio dopo di questa.»
Pantera guardò finalmente il controllore. Non lo fissò negli occhi; piuttosto, contemplò con aria incuriosita le lettere d’argento RR – Reading Railroad – che gli ornavano il berretto, di colore blu scuro come il resto dell’uniforme.
«Vi sembro un negro?» chiese con voce neutra.
«No, però tanto bianco non siete. Vi si direbbe messicano. Quanto alla signora che è con voi, ha un aspetto molto… irlandese.» Il controllore pronunciò l’ultima parola con la ritrosia di chi stia profferendo controvoglia una frase oscena.
«Ciò ha a che vedere con i biglietti?»
L’ometto stava per rispondere, ma si accorse da sé che la replica era insensata. Dopo un tremolio delle labbra, sotto i baffi biondi arricciati, finì col dire: «Non fate storie. Datemeli e basta».
In quel momento Molly si svegliò. Si guardò attorno, un po’ inebetita. Dal finestrino si scorgevano colline spoglie. Più lontano, una piatta concentrazione di edifici annunciava forse un abitato. A meno che non si trattasse dell’ennesimo campo minerario. Il sole era alto, però il cielo aveva alcunché di spento.
«Siamo arrivati?» chiese la donna. Si stirò con grazia.
«Signora» disse il controllore, dando alla parola un senso ironico, che accentuò con una smorfia leggera «c’è chi mi ha chiesto se quest’uomo, che non vuole farmi vedere i biglietti, sia un vostro servitore.»
Molly atteggiò il viso a un’espressione sbalordita. Prima che potesse rispondere, però, si udì un cigolio acutissimo. Il treno rallentò di colpo, facendo cadere alcuni bagagli dalle reticelle. Lo scossone fece traballare il controllore e lo costrinse ad aggrapparsi a uno degli schienali per non perdere l’equilibrio. Pantera si trovò appoggiato al velluto verde del sedile col gomito destro. Subito si drizzò e riportò le dita a contatto con la rivoltella.
Non appena il vagone si assestò, uno dei gentiluomini scattò in piedi. Si aggiustò alla meglio il cappello a cilindro. «Ma cosa diavolo succede?»
«Non lo so, signor Ramsey» disse premuroso il controllore. «Ora mi informo.»
Non fu necessario. Prima che avesse raggiunto l’altra estremità della carrozza, lo sportello si aprì. Un individuo dai baffi neri e dall’aria dura sporse la testa e si guardò intorno. «C’è posto» disse a qualcuno all’esterno. «Possiamo sistemarli qui.»
«Sistemare chi, di grazia?» chiese esasperato il gentiluomo di nome Ramsey.
«I prigionieri. Da qualche parte dobbiamo metterli. Il vagone dei manovali è sempre pieno da scoppiare.»
«Prigionieri?» Le dame lanciarono strilli. I loro uomini, cinque in tutto, scattarono in piedi. «Ma non è possibile! È un’indecenza! Uno scandalo!»
L’individuo baffuto entrò nel vagone, mentre un altro avanzava alle sue spalle. Pantera li squadrò. Indossavano divise che li facevano somigliare a militari, con tanto di berretto largo con visiera e di gradi sulla manica; solo che non erano affatto uniformi dell’esercito. Quando uno di quei soldati di fantasia si avvicinò, forse per controllare che nessun passeggero avesse armi, Pantera notò un grande distintivo a forma di scudo. Vi era incisa una scritta: COAL & IRON POLICE. Inoltre, quelle guardie stringevano in pugno fucili che l’armata federale si sognava di avere. Winchester ’73, suppose il messicano. Ne aveva sentito parlare e sapeva come erano fatti, ma li vedeva per la prima volta. Ancora più belli di quanto si dicesse.
Il controllore esitò un poco, poi decise di abbracciare la causa dei passeggeri. «Questo non è un convoglio per il trasporto dei detenuti! Io non ho avuto istruzioni circa…»
«Zitto» si limitò a dire il tizio baffuto. Gli bastò scuotere il fucile per ottenere obbedienza. «E zitti anche voi.»
Dame e gentiluomini ammutolirono e si lasciarono ricadere sui sedili. Pantera era soddisfatto della piega che stava prendendo la situazione. Ormai il controllore non era più un fastidio, e i passeggeri non pensavano più a loro. Guardò Molly: anche lei appariva rilassata e si era girata a contemplare gli uomini armati che stavano montando uno alla volta. Pantera diede un’ultima toccatina alla Smith & Wesson, poi ritrasse le dita e le poggiò sul ginocchio.
Di individui in uniforme ne salirono sette, tutti con la stessa faccia burbera. L’ultimo restò accanto allo sportello e, passato il Winchester nella sinistra, tese il braccio fuori. Si udì un tintinnio, quindi un nuovo personaggio senza divisa introdusse la testa e offrì polsi stretti da manette. La guardia lo aiutò a salire. Era un uomo giovane e biondo, con baffi folti e lunghe basette. Nei suoi occhi blu scuro si leggevano umiliazione e sorpresa, ma anche una traccia di collera. Fu il primo di una lunga fila, mantenuta unita da una catena. Questa, fissata a ogni caviglia destra da un anello, faceva di quegli uomini una collana umana.
Pantera si era aspettato un gruppo di criminali, però quei prigionieri non ne avevano l’aria. Tutt’altro. Il loro abbigliamento (giacche, giubbe, cappotti) era povero, ma non trasandato. Si notavano, anzi, sugli abiti più logori, rammendi accurati, pensati per mantenere una parvenza di decoro. Quanto ai visi, le barbe erano ben curate e i baffi, in media folti, sagomati con attenzione. Gli occhi di alcuni erano collerici, ma intelligenti; quelli di altri rassegnati, senza essere pavidi. Prevalevano le stature basse, le carnagioni pallide e i capelli rossi o neri.
Fu complicato, per via delle catene, sistemare quegli uomini sui sedili liberi. Il tentativo era ancora in corso quando il gruppetto dei passeggeri di rango uscì dal proprio sbigottimento.
Prima ad alzarsi furiosa fu una signora ancora giovane, dalla veletta sollevata sulla tesa di un elegante cappello da caccia. Storse le labbra graziose e puntò il dito. «Che siate maledetti!» urlò. «Siete la rovina di Schuylkill County!»
Una ragazza bruttissima, forse la figlia, le fece eco. «Io non posso viaggiare con una marmaglia così! Puzzano! Meglio i cinesi di questa gente!» Il petto prorompente le ansimava sotto il tailleur attillato.
Il più indignato, però, era Ramsey. Si rivolse direttamente all’uomo baffuto che pareva comandare le guardie. Scosse l’indice. «Metterci a contatto con queste canaglie è un oltraggio! Non so se mi avete riconosciuto, capitano. Sono Robert Ramsey, il direttore del “Miner’s Journal”. Posso fare uno scandalo, se voglio!»
L’interpellato si tolse il berretto, ma l’apparente ossequio dissimulava ironia. «So benissimo chi siete, signor Ramsey. Perdonate l’incomodo. Considerate che, se questi agitatori sono in manette, è anche per assecondare il vostro giornale e le sue opinioni sullo sciopero.»
«Ma non potete portarceli qui!»
«Ho degli ordini e li eseguo.»
Agitatori? Pantera ne aveva abbastanza di agitatori. Durante il suo soggiorno in Messico, subito dopo la guerra civile, aveva conosciuto utopisti di ogni specie, pronti a sciorinare campionari di ricette per migliorare la società. Quella gente non faceva per lui.
Guardò Molly, che continuava a osservare con occhi attoniti ciò che avveniva nel vagone. «Bene, si scende» le disse. «Prendo io il bagaglio.»
La donna accentuò lo stupore un po’ ottuso che, con varie gradazioni, aleggiava in permanenza sui suoi tratti. «Ma non siamo in stazione!»
«Fa lo stesso. Si vede una città poco distante.»
«Quale città?»
«Non lo so e non mi importa. Ciò che conta è che siamo ben lontani dal Texas.»
L’intento di Pantera era di uscire dalla porta opposta a quella da cui erano saliti guardie e prigionieri. In modo inavvertito, se possibile. Ciò non sembrava complicato. Il milite che aveva ispezionato il corridoio era tornato indietro. L’alterco tra uomini armati e passeggeri eleganti stava salendo di tono, e i detenuti non partecipavano. Il messicano guardò i prigionieri: si erano accomodati alla meglio sui sedili liberi, e la catena che li univa scavalcava gli schienali. Alcuni avevano chiuso gli occhi. Altri, i più, tenevano la testa bassa e fissavano il pavimento in legno tra i loro scarponi.
Pantera si alzò, prese la grossa borsa di tela dalla rete e mosse verso lo sportello che aveva alle spalle. Lo aprì con facilità. Vide Molly andargli dietro. Il controllore lanciò loro un’occhiata perplessa, ma aveva altro a cui badare. I viaggiatori di rango sembravano tutti presi dalle proteste, che cadevano nell’indifferenza glaciale delle guardie.
Tra un vagone e l’altro lo spazio non era molto, però sufficiente per scendere la scaletta del terrazzino di metallo e poi raggiungere terra con un piccolo salto. Pantera eseguì e aiutò Molly, ostacolata dalla gonna ampia, a venire giù a sua volta. Le guardie che non erano montate dovevano essere rimaste dall’altra parte del convoglio.
«Giriamo attorno al treno e andiamo a piedi fino all’abitato» ordinò Pantera. Poi aggiunse: «Non fare caso a quelli».
Alludeva ai passeggeri dell’ultimo vagone, che li guardavano dai finestrini. Alcune delle facce che si sporgevano a grappolo erano nere e lucide. Prevalevano però quelle bianche, con occhi grandi e capigliature rossicce. Pantera pensò che lì, quali che fossero la regione e il luogo, negri e irlandesi venivano messi sullo stesso piano. Per lui, che aveva una parte di sangue africano nelle vene, e per Molly non sarebbe stato facile trovare alloggio in città. Specie se avessero chiesto di dormire assieme.
Ciò in realtà non era necessario, se non a scopo di risparmio. Non erano amanti e non ci pensavano nemmeno. Quando lei era stata più giovane, e un po’ meno brutta di adesso, Pantera l’aveva penetrata alcune volte, tanto per sfogarsi. A quei tempi Molly era una prostituta, l’unico genere di donne che attraesse Pantera, in quanto non impegnative. Durante la guerra in Messico contro Massimiliano d’Austria il rapporto tra i due era stato rigorosamente casto. Dopo, il messicano l’aveva perduta di vista per parecchi anni, fino alla lettera che gli proponeva un contratto e che gli regalava un anticipo in contanti.
«L’abitato non è tanto vicino» si lamentò Molly, una volta che ebbero aggirato il vagone. La locomotiva, recante la scritta HIAWATHA sulla fiancata, si stava rimettendo in moto, con qualche fischio e uno sbuffo di vapore. «E poi qui attorno è tutto così triste!»
«Abbiamo alternative?» replicò Pantera, sarcastico. Le passò la borsa: odiava avere le mani impegnate. «Sei tu che sei voluta venire fin qua. Se il paesaggio ti fa schifo, dovevi pensarci prima.»
In cuor suo, però, le dava ragione circa lo squallore del luogo. Tutto attorno non c’erano che colline nude, prive del fascino scabro delle regioni desertiche del meridione. Nemmeno il sole alto riusciva a rallegrare rilievi mozzi e curvi, dalle pendici grigie e dalla sommità nerastra. Alcune cime, da quella distanza, somigliavano a semplici cumuli di cenere e di sassi. Qua e là, tra i pendii, si elevavano altissime torri di legno, accanto a depositi e a grandi ruote immobili. Si vedevano edifici smisurati, fatti di baraccamenti addossati l’uno all’altro, talora uniti da scale sospese. Erano di sicuro opifici per la lavorazione dei minerali. Tuttavia non si notavano tracce di attività.
Partito il treno, un manipolo di guardie della Coal & Iron Police si incamminò verso l’abitato. Pantera prese la stessa direzione, a debita distanza. Quelli conoscevano il cammino molto meglio di lui.
A un...