C’era una volta un ricco mercante, un uomo gentile e coraggioso il cui unico scopo nella vita, dopo la morte dell’amata moglie, era la felicità dei suoi sei figli.
Aveva tre maschi. Il più grande, Maxime, alto e robusto, amava molto divertirsi ed era sempre pronto alla zuffa. Jean-Baptiste, il secondo, preferiva la letteratura all’azione e trascorreva le sue giornate immerso tra le pagine di pesanti volumi. Il più giovane, invece, Tristan, aveva un animo più sensibile e riflessivo. Il mercante aveva anche tre figlie. Le due maggiori, Clotilde e Anne, erano estremamente frivole e passavano quasi tutto il loro tempo a scegliere gli abiti da indossare per affascinare i corteggiatori. Se le due più grandi erano facili ai capricci, la minore, al contrario, aveva un’indole dolce e gentile. Si chiamava Belle e in effetti meritava quel nome, perché era incantevole sotto ogni punto di vista: i riccioli biondi, gli occhi di un azzurro purissimo, l’incarnato di porcellana e le labbra rosee non richiedevano alcun artificio. Il carattere adorabile non faceva che dare risalto al suo splendore e, anche se il padre non osava ammetterlo, Belle era la sua preferita.
Il mercante possedeva tre navi che erano la sua ricchezza e il suo orgoglio. La Sirena, Il Tritone e Il Leviatano solcavano i mari di tutto il mondo, le stive cariche delle meraviglie che poi venivano rivendute.
Ma un giorno, proprio quando le navi stavano rientrando da un lungo viaggio, si alzò una terribile tempesta. Trombe d’acqua si abbatterono sui ponti. Il vento lacerò le vele e spezzò gli alberi maestri. Nel tentativo di salvare gli equipaggi, i capitani diedero ordine di abbandonare i vascelli. Mentre saltavano a bordo di scialuppe improvvisate, i marinai videro calare su di loro un’onda così alta che pareva toccare il cielo. Le tre navi e il loro carico scomparvero, inghiottiti dai flutti. I tesori risplendenti sprofondarono nelle gelide acque dell’oceano. Perduti per sempre…
Rovinato, il mercante non poté più soddisfare gli ordini ricevuti né pagare i suoi fornitori. E così arrivarono gli ufficiali giudiziari a pignorare mobili e soprammobili per rimborsare i debiti. Senza più un soldo, la famiglia dovette risolversi ad abbandonare la città e trasferirsi in campagna, lasciandosi alle spalle la grande dimora, i fedeli domestici, gli amici, le abitudini e tutto ciò che fino a quel momento aveva reso felice ognuno di loro.
Che strazio! Maxime era inferocito all’idea di doversene andare dalla città , dalle taverne e dalle avventure. Jean-Baptiste temeva che non avrebbe trovato più niente da leggere, in mezzo ai campi. Tristan non ebbe nemmeno il coraggio di salutare i suoi amici.
Ma come potete immaginare, furono Anne e Clotilde a soffrire maggiormente per quella decisione. Le due ragazze adoravano a tal punto la vita cittadina e gli abiti eleganti che la sola idea di ritrovarsi isolate in un remoto angolo di campagna le riempiva di desolazione.
Il giorno della partenza, si piazzarono sulla scalinata per impedire agli ufficiali giudiziari di passare.
Mentre uno di loro tentava di portare via una specchiera, Anne lo minacciò brandendo il ventaglio: — Posatela subito o vi cavo gli occhi.
Le due sorelle se la presero col loro povero padre.
— Papino, fate qualcosa! Questi individui senza cuore ci hanno già rubato tutti gli abiti e i gioielli. E adesso si prendono la nostra casa! — si indignò Clotilde.
Con gesto teatrale, Anne si portò la mano al petto.
— Non posso sopportarlo! Muoio!
Si lasciò cadere a terra come una bambola di pezza. Sua sorella la sollevò, gemendo: — Cosa ne sarà di noi?
— Basta con le bambinate, figliole! — le sgridò il padre. — Sbrigatevi, è ora di partire.
Fermò un uomo vestito di nero che era sul punto di impadronirsi dei modellini delle tre navi.
— Quelli no! Li tengo io!
L’ufficiale giudiziario alzò le spalle e indicò un tavolo di marmo dalle gambe dorate.
— E questo?
Il mercante scosse la testa.
— Ma sì, fate pure. Servitevi! — ribatté in tono amaro. — Ciò che abbiamo di più prezioso lo portiamo con noi!
Poi, guardandosi intorno, aggrottò le sopracciglia.
— Dov’è finita Belle? La carrozza ci aspetta!
Anne si rialzò, arrabbiatissima.
— Belle, sempre Belle! Prestate attenzione solo a lei!
Senza rispondere, il mercante andò a cercare la figlia minore. Uscì nel cortile, dove i figli stavano caricando su una carriola le poche cose che avrebbero conservato.
— Avete visto Belle, ragazzi? — chiese l’uomo.
Maxime e Jean-Baptiste posarono un attimo il peso che trasportavano.
— No, ho idea che Belle abbia preso il volo! — replicò il maggiore in tono malizioso.
Poi sollevò di nuovo il baule, sbuffando: — Uff, come pesa! Cosa ci hai messo?
— I miei libri, i quaderni, gli album da disegno — spiegò Jean-Baptiste. — Non potevo abbandonarli.
— Ma sì, hai ragione. Se restiamo senza legna, potremo sempre bruciarli per scaldarci — scherzò il fratello.
Adèle, la balia che li aveva cresciuti tutti, abbracciò Tristan, sussurrandogli all’orecchio: — Veglia su tuo padre, piccolo mio. E non permettere a Maxime di sperperare al gioco quel po’ di denaro che vi resta. Gli farà bene lasciare la città e le cattive compagnie.
Il ragazzo posò la testa sul grembiule della balia, mormorando: — Promesso! Non preoccuparti, andrà tutto bene.
Adèle gli scompigliò i capelli. Che pena veder allontanare quei bambini di cui si era presa cura come una madre, soprattutto Tristan e Belle, gli ultimi nati.
— Ehi, piano, ragazze! — protestò.
Un turbine di pizzi e sottane aveva urtato l’anziana donna. Inerpicate sui tacchi alti degli stivaletti, Anne e Clotilde attraversarono a passo di carica il cortile per salire in carrozza, nascondendo la vergogna dietro i ventagli. In effetti, una folla di curiosi si era radunata oltre i cancelli per assistere alla loro partenza. Alcuni tra i presenti, invidiosi, ridacchiavano al pensiero del rovescio di fortuna subìto da quei ricchi borghesi.
Maxime si infuriò: — Se ne sorprendo un altro a sghignazzare, assaggerà i miei pugni!
— È meglio ignorarli — suggerì Jean-Baptiste.
— Non ci farà male un po’ di movimento, prima di andare a seppellirci in campagna! — insisté l’altro, alzando il pugno.
— Io invece penso che sarebbe meglio se tu ti facessi dimenticare un pochino…
— Mmm, forse hai ragione — rispose Maxime, con improvvisa serietà .
In mezzo alla calca, aveva appena intravisto una figura in cappello a cilindro che ben conosceva. Lo sguardo dell’energumeno, scortato da due tirapiedi dall’aria losca, non lo abbandonava un istante.
Maxime abbassò la testa e si affrettò ad allontanarsi insieme al fratello.
Il mercante, che fuori non aveva trovato traccia della figlia minore, sospirò con aria infelice. Rientrò in casa e percorse una stanza dopo l’altra, chiamando: — Belle! Belle!
Ma invano.
Uscì allora dalla porta sul retro, che dava sul giardino. La giovane era inginocchiata di fronte a una nicchia di pietra nella quale si trovava un busto femminile. Vi depose davanti uno splendido fiore bianco, mormorando: — Arrivederci, mamma. Mi mancherete, ma vi porterò sempre nel cuore. Per tutti noi inizia ora una nuova vita.
Il padre si avvicinò e le posò una mano sulla spalla.
— Somigli tanto a tua madre, mia piccola Belle.
La fanciulla si alzò in piedi, sorridente.
— Papà , credete che a lei sarebbe piaciuto vivere in campagna?
— L’avrebbe adorato! — affermò l’uomo.
— Piacerà anche a me, allora. Ne sono sicura.
Il padre la baciò sulla fronte.
— Ma certo. Nella nostra famiglia siamo tutti fieri e coraggiosi. Ci sosterremo a vicenda e supereremo questa prova. Come sempre, Belle.
Più o meno di buon grado, la famiglia si stabilì in una casa dal tetto di paglia, molto lontana dalla città . Abituarsi a quella nuova esistenza richiese un po’ di tempo. Le prime notti, Belle restò sveglia nel suo letto ad ascoltare i rumori della natura. Ma, come aveva sperato, finì per apprezzare la tranquillità e la dolcezza della vita in campagna.
Belle faceva in modo che a nessuno mancasse nulla. Aiutata dai fratelli, aveva sistemato la casa, trasformandola in un rifugio comodo e accogliente. E riusciva anche a cucinare ottimi pasti con le verdure dell’orto, le erbe del giardino e il pollame che allevava lei stessa.
Sollevando il naso da un pentolone, gridò: — A tavolaaa!
Ma visto che le sorelle non arrivavano, tese il cucchiaio di legno al fratello.
— Prendi, Maxime, mescola lo stufato al posto mio!
Jean-Baptiste, che era occupato a scrivere il suo primo romanzo sul tavolo di cucina, posò un attimo la penna. Si guardò la pancetta e protestò: — Sono già ingrassato, da quando siamo qui!
Continuando a mescolare, Maxime replicò: — Per forza! Passi le giornate a leggere e a scrivere. E poi, non l’hai notato? Tutti i tuoi scrittori preferiti hanno la pancia!
Nel frattempo, Belle saliva le scale chiamando: — Tristan! In piedi!
Il ragazzo uscì di corsa dalla sua camera, ancora tutto assonnato.
— Ma dormivi come un ghiro! Forza, l’ora di alzarsi è pa...