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Cuori rubati (I Romanzi Emozioni)
- 434 pagine
- Italian
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Cuori rubati (I Romanzi Emozioni)
Informazioni su questo libro
Lady Angeline Dudley sta per fare il suo debutto in società, però si comporta più come un maschiaccio che come una debuttante. In quanto sorella di un duca, sa di essere destinata a un uomo ricco e titolato, ma l'amore non è affatto garantito. Eppure lei lo trova. Durante la fermata a una stazione di posta il nuovo conte di Heyward, l'irreprensibile Edward Ailsbury, la sottrae coraggiosamente alle avance di un libertino, rubandole il cuore. Edward deve sposarsi e assicurare un erede alla propria casata, e nonostante sia attratto da Angeline, lei non è l'esempio di perfezione che cerca. Destino e amici cospirano per spingerli l'uno nelle braccia dell'altra, ma solo alla passione toccherà l'ultima parola...
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Informazioni
eBook ISBN
97888520458061
Lady Angeline Dudley stava alla finestra della sala comune, dove si servivano vini e liquori al banco, del Rose and Crown Inn, a est di Reading. E, per quanto fosse un comportamento assolutamente scandaloso, stava lì tutta sola… Ma cos’altro poteva fare? La finestra della sua camera dava soltanto su un paesaggio rurale. Abbastanza pittoresco, d’accordo, ma non era la veduta che a lei interessava. Quella, la offriva soltanto la finestra della sala comune, affacciata sul cortile della locanda, nel quale ogni nuovo arrivato era inevitabilmente costretto a entrare con il proprio mezzo di trasporto.
Angeline stava aspettando, con un’impazienza dominata a fatica, l’arrivo del fratello, nonché suo tutore, Jocelyn Dudley, duca di Tresham. Avrebbe dovuto trovarsi lì prima di lei, che era arrivata già da un’ora e mezza. Invece di lui ancora nessun segno. Che scocciatura! Una sfilza di istitutrici, l’ultima delle quali, la più determinante, era stata la signorina Pratt, nel corso degli anni le aveva instillato l’idea che una gentildonna non doveva mai esprimere un sentimento o un’emozione in maniera eccessiva. Ma una ragazza come poteva evitarlo, quando si trovava in viaggio per la celebre Stagione di Londra – in questo caso la prima – ed era smaniosa di prendervi parte, così che finalmente la sua vita adulta potesse cominciare sul serio… Eppure sembrava che suo fratello si fosse del tutto dimenticato della sua esistenza, tanto da lasciarla languire in eterno in una locanda a una giornata di viaggio dal futuro che l’aspettava!
Naturalmente, Angeline ci era arrivata con un increscioso anticipo. Tresham aveva combinato le cose in modo che lei potesse giungere fin lì con il reverendo Isaia Coombes, che insieme a sua moglie e ai suoi due figli avrebbe poi proseguito in un’altra direzione per festeggiare chissà quale anniversario speciale con i parenti della signora. Di lì in avanti Angeline si sarebbe trovata assegnata alle cure del fratello, che doveva arrivare da Londra. I Coombes si alzavano ogni mattina alle prime luci dell’alba, se non addirittura più presto, malgrado le sbadigliate proteste dei figli, con il risultato che la loro giornata di viaggio terminava quasi prima che cominciasse quella delle persone normali.
Il reverendo e sua moglie si erano dichiarati dispostissimi a sistemarsi alla locanda per attendere, come martiri in attesa del supplizio, il momento in cui il tesoro tanto prezioso che si erano visti affidare potesse venir consegnato alle affettuose cure di Sua Grazia, ma Angeline li aveva persuasi a proseguire il loro viaggio. In fondo, cosa poteva succederle al Rose and Crown Inn? Era un locale pubblico perfettamente rispettabile… Tresham lo aveva scelto di persona, sì o no? E poi, non sarebbe rimasta completamente sola. C’era Betty, la sua cameriera; c’erano i due corpulenti palafrenieri delle scuderie di Acton Park, la proprietà di Tresham nello Hampshire, e due robusti camerieri. E il duca stesso, sicuramente, stava per arrivare da un minuto all’altro.
Il reverendo Coombes, malgrado la sua abituale lucidità di giudizio, si era lasciato influenzare dal rigore logico di questo ragionamento, dall’ansietà della consorte, timorosa che non si potesse concludere il loro viaggio prima del calar delle tenebre, nonché dalle lagnose rimostranze di Chastity e di Esaù Coombes – rispettivamente di undici e nove anni di età – i quali continuavano a ripetere che se fossero stati costretti ad aspettare lì in eterno non sarebbero mai riusciti a giocare con i loro cuginetti.
La pazienza di Angeline era stata messa a dura prova da quei due marmocchi per tutto il tempo in cui aveva dovuto dividere la carrozza con loro.
Di conseguenza si era ritirata nella sua camera per cambiarsi, togliendosi finalmente gli abiti da viaggio, e per farsi spazzolare i capelli e riaggiustare l’acconciatura da Betty. Poi aveva dato ordine alla scoraggiata e insonnolita cameriera di prendersi un po’ di riposo, e la ragazza aveva messo subito in pratica quel suggerimento stendendosi sulla branda sistemata ai piedi del letto della padrona. Intanto Angeline aveva notato che la sua finestra non avrebbe potuto offrirle nessun preavviso dell’arrivo del fratello, e quindi era uscita a cercarne un’altra più soddisfacente, soltanto per trovarsi davanti i quattro robusti e vigorosi domestici giunti con lei da Acton, piazzati in tutta la loro minacciosa imponenza fuori dalla sua porta come per proteggerla da un’invasione nemica. Allora li aveva esiliati nelle stanze della servitù perché si riposassero e rifocillassero, spiegando, per persuaderli a ubbidire, che non aveva scorto nessun bandito di strada, o predone o brigante o tipo losco di qualsiasi altro genere, che gironzolasse intorno alla locanda. E loro, invece, sì?
Poi, finalmente sola, aveva scoperto la finestra che stava cercando… nella sala comune. Era decisamente sconveniente per lei entrarci, e rimanerci non accompagnata, ma il locale era deserto, e allora… che male c’era? Chi avrebbe mai potuto scoprire quella piccola imprudenza? Se qualcuno fosse apparso nel cortile, lei avrebbe semplicemente fatto ritorno nella sua camera in attesa che se ne andasse. All’arrivo di Tresham, invece, si sarebbe precipitata di sopra, in modo che, quando lui fosse entrato nella locanda, l’avrebbe vista scendere la scala con tutta la dignità e la modestia di cui era capace, con Betty al seguito, come se soltanto in quel momento si fosse decisa a venire a chiedere sue notizie.
Oh, trovava molto difficile controllare l’impazienza, eccitata com’era. Angeline aveva diciannove anni, e questa era, in pratica, la prima volta che si allontanava per più di dieci miglia da Acton Park. Aveva vissuto un’esistenza molto riparata grazie a un padre rigoroso e ultraprotettivo nonché, dopo di lui, un fratello altrettanto protettivo, quasi sempre assente. La madre non l’aveva mai condotta con sé a Londra, o a Bath o a Brighton, oppure in qualcuno degli altri posti che lei invece frequentava abitualmente.
Angeline aveva nutrito molte speranze di poter fare il suo ingresso in società a diciassette anni, ma prima che fosse riuscita a persuadere e a commuovere a suon di moine e ragionamenti le persone che avevano in mano il suo destino, la mamma era morta all’improvviso a Londra e lei aveva dovuto affrontare un intero anno di lutto ad Acton. E poi, l’anno precedente, quando tutto era già stato predisposto per il suo debutto in società all’ineccepibile età di diciotto anni, si era rotta una gamba, e Tresham, da quel noioso che era, le aveva rifiutato recisamente il permesso di trascinarsi, goffa e maldestra, su un paio di stampelle alla presenza della regina, così da poter debuttare nel mondo dell’alta società e sul mercato del matrimonio.
Ormai Angeline era decrepita, un autentico fossile, ma pur sempre un fossile speranzoso, eccitato, impaziente.
Cavalli!
Angeline posò gli avambracci al davanzale della finestra e vi appoggiò sopra il petto mentre tendeva l’orecchio, allungandosi quanto più poteva verso l’esterno.
E le ruote di una carrozza!
Oh, sì, impossibile sbagliarsi!
Infatti non si sbagliava. Una pariglia di cavalli e una carrozza imboccarono l’ingresso del cortile e, con un sordo rumore di zoccoli e di ruote sull’acciottolato, lo attraversarono fino ad andare a fermarsi in fondo.
Ma fu subito chiaro che non si trattava di Tresham. La carrozza era troppo malconcia e antiquata. E il gentiluomo che ne scese d’un balzo prima che il cocchiere facesse in tempo ad abbassare il predellino non assomigliava affatto a suo fratello. In ogni caso, Angeline non ebbe il tempo di vederlo meglio, o almeno quel tanto che bastava a decidere se valesse la pena di osservarlo, perché la sua attenzione fu distratta dal suono assordante di un corno e, quasi simultaneamente, un’altra pariglia e un’altra carrozza apparvero alla sua vista e vennero a fermarsi davanti alla porta della locanda.
Anche stavolta non si trattava della carrozza di Tresham. Era una diligenza.
Comunque Angeline non provò una gran delusione. Tutta quell’animazione e quel traffico per lei erano qualcosa di completamente nuovo ed emozionante. Rimase a osservare il postiglione che apriva lo sportello e tirava giù il predellino; i passeggeri che a poco a poco scendevano, sparpagliandosi sull’acciottolato, oppure si calavano a terra dal tetto, usando mani e piedi per aggrapparsi a una scaletta di legno traballante. Si rese conto troppo tardi che, naturalmente, tutte quelle persone stavano per entrare a bere e rifocillarsi e, a quel punto, lei non avrebbe dovuto trovarsi lì. Già mentre lo stava pensando, la porta della locanda si aprì e si udì il brusio di almeno una dozzina di voci che parlavano tutte contemporaneamente e precedevano di poco i loro proprietari.
Se si fosse ritirata in quel momento, rifletté, sarebbe stata notata molto più di quanto poteva succedere se invece fosse rimasta dov’era. A parte il fatto che si stava godendo la scena. E poi, ecco un’altra obiezione: se fosse salita in camera ad aspettare che la diligenza ripartisse, avrebbe rischiato di lasciarsi sfuggire l’arrivo di suo fratello… e, chissà perché, le sembrava importante trovarselo sotto gli occhi nel preciso momento in cui fosse apparso. Non l’aveva più visto nei due anni seguiti al funerale della mamma ad Acton Park.
Angeline rimase, e cercò di placare gli scrupoli di coscienza continuando a guardare fuori dalla finestra, le spalle rivolte alla sala, mentre tutta quella gente chiedeva, con diversi gradi di cortesia e pazienza, che le venissero serviti birra e pasticcio di carne, e due viaggiatori sollecitavano un servo in tono seccato perché si sbrigasse, e l’interpellato rispondeva in tono non meno seccato che aveva soltanto due mani… cosa credevano, che fosse colpa sua se la diligenza arrivava con un’ora di ritardo e ai passeggeri veniva concessa una sosta di soli dieci minuti invece che di mezz’ora?
Ed effettivamente, dieci minuti dopo l’arrivo, i passeggeri vennero chiamati di nuovo a bordo e minacciati di essere lasciati a terra; alcuni si affrettarono a ubbidire, mentre altri cercarono di tirare per le lunghe prima di uscire, lamentandosi con grande clamore di essere stati costretti ad abbandonare la birra a metà.
Ben presto la sala comune tornò a essere vuota e silenziosa come prima. Nessuno aveva avuto il tempo di accorgersi della presenza di Angeline, fatto del quale lei si sentiva profondamente grata. Pur avendo cambiato impiego da un anno intero, la signorina Pratt avrebbe avuto uno dei suoi attacchi di nervi, accompagnato dalle solite vampate di calore alla testa, se avesse visto la locanda rigurgitante di gente con la sua ex allieva sola, davanti alla finestra. Quanto a Tresham, avrebbe avuto un attacco di qualcosa di molto più vulcanico.
Non aveva importanza. Nessuno lo avrebbe mai saputo.
Ma suo fratello non arrivava mai?
Angeline si lasciò sfuggire un sospiro mentre il postiglione suonava di nuovo il suo corno di latta per mettere in guardia chiunque si trovasse sulla strada – persona, cane o gallina – contro l’imminente pericolo che correva se non si fosse affrettato a scappare e trarsi in salvo. La diligenza si avviò rumorosamente, fece una curva e scomparve.
La carrozza di quel gentiluomo era sempre in fondo al cortile, ma adesso c’erano attaccati dei cavalli freschi. Il che voleva dire che lui era ancora lì. Probabilmente si stava rifocillando in un salotto privato.
Angeline appoggiò di nuovo il petto agli avambracci, cercando una posizione più confortevole, e riprese a sognare gli splendori della Stagione londinese che l’aspettava.
Oh, non ce la faceva proprio più ad aspettare!
Comunque, sembrava che non le rimanesse altra scelta.
Tresham almeno era già partito da Londra?

Il proprietario della carrozza che aspettava in fondo al cortile non stava affatto rifocillandosi in un salotto privato, ma nella sala comune della locanda, il gomito appoggiato al banco alto e massiccio. La ragione per cui Angeline non si era accorta della sua presenza era dovuta solo al fatto che lui non si scolava rumorosamente la birra e non parlava a voce alta con se stesso.
Edward Ailsbury, conte di Heyward, cominciava a sentirsi a disagio, e parecchio. Oltre che stizzito per questo fatto. Ma era colpa sua se una giovane donna – e per di più d’alto rango, lo si capiva alla prima occhiata – si trovava lì, in quella sala con lui, completamente sola? Dov’erano i genitori o il marito di lei, o chiunque fosse la persona che si presumeva incaricata di farle da chaperon? Perché non c’era in vista nessun altro, all’infuori di loro due.
In un primo momento si era fatto l’idea che fosse una passeggera della diligenza. Però quando lei non aveva neanche accennato ad affrettarsi alla seconda chiamata del postiglione, si era accorto che la ragazza non portava un abito da viaggio. Dunque doveva essere un’ospite della locanda. In ogni caso non le si sarebbe dovuto permettere di trovarsi in un locale nel quale non aveva nessun motivo di stare, mettendo in imbarazzo viaggiatori del tutto innocenti e rispettabili, che cercavano soltanto di godersi un boccale di birra in santa pace prima di continuare il loro viaggio per Londra.
A peggiorare le cose – e a peggiorarle in modo considerevole – la giovane si stava sporgendo in avanti per appoggiare il petto agli avambracci incrociati sul davanzale della finestra, con il risultato che il suo dorso era inarcato, e il fondoschiena risultava proteso in una posizione quanto mai provocante. Tanto che Edward si affrettò a scolarsi la sua birra non per placare la sete del viaggio quanto, piuttosto, per abbassare la temperatura corporea.
Era un fondoschiena molto ben fatto e aggraziato.
E a peggiorare ancora di più le cose – se mai ce ne fosse stato bisogno – il vestito di mussola leggera le aderiva alla figura in determinati punti che sarebbe stato più gentile, nei confronti di innocenti persone di sesso maschile, non mettere in evidenza. Fra l’altro, la situazione non veniva affatto migliorata dal colore del tessuto, un bel rosa caldo e luminoso, e di una tonalità accesa che Edward non aveva mai avuto occasione di osservare né in una stoffa né in altro. Quella donna avrebbe potuto essere notata, a occhio nudo, da una distanza di almeno cinque miglia. E lui si trovava assai più vicino.
Non solo, ma gli dava un gran fastidio una circostanza innegabile, e cioè che se la stava letteralmente divorando con gli occhi, se non proprio tutta, una parte della sua anatomia di sicuro. E mentre se la divorava con gli occhi, il suo cervello era travolto da un vero e proprio turbinio di pensieri licenziosi. Perciò si sentiva profondamente offeso da questi due fatti, e da lei. Si vantava di avere sempre trattato le signore con il massimo rispetto. E non soltanto le gentildonne. Lui trattava tutte le donne con rispetto. Una volta Eunice Goddard gli aveva fatto notare, durante una delle loro numerose e prolungate conversazioni – non che lui non avrebbe potuto arrivarci da solo – che le donne di ogni ceto e condizione sociale erano “persone”, malgrado quello che la Chiesa e la legge potessero avere da dire in contrario, e non semplicemente oggetti utili a compiacere, e a soddisfare, gli istinti più bassi dell’uomo.
Lui rispettava le opinioni di Eunice. Aveva un bel cervello, la ragazza, coltivato con letture approfondite e un’attenta osservazione della realtà. Sperava di sposarla, per quanto si rendesse conto che la propria famiglia avrebbe potuto ritenere deludente una scelta simile adesso che lui era il conte di Heyward, invece del semplice signor Edward Ailsbury.
La sua carrozza – quell’antiquato e imbarazzante mezzo di trasporto che la madre lo aveva supplicato di portarle a Londra, perché non si trovava comoda a bordo di nessun’altra di quelle più nuove sulle quali le era capitato di viaggiare – sembrava pronta alla partenza: Edward la vedeva dalla finestra, sopra la testa della signora vestita di rosa. A dire la verità la sua intenzione era stata di mangiare qualcosa, oltre che di bere, prima di riprendere il viaggio, ma quella donna gli aveva rovinato i piani. Non era corretto che lui rimanesse lì con lei, anche se non era colpa sua se la stava m...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Cuori rubati
- 1
- 2
- 3
- 4
- 5
- 6
- 7
- 8
- 9
- 10
- 11
- 12
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- 14
- 15
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- 21
- 22
- 23
- Epilogo
- Copyright