Potreste pensare di conoscere la storia. È andata così: c’era una volta una ragazza di sedici anni, Jane Grey, che fu costretta a sposare un perfetto sconosciuto (Lord Guildford, o Gilford, o Gifford, o qualcosa di simile), e poco dopo si trovò a governare un paese. Fu regina per nove giorni. In seguito, letteralmente, perse la testa.
Sì, è una tragedia, se si considera tale la separazione della testa dal corpo. (Noi siamo umili narratrici, e non ci permetteremmo mai di fare supposizioni su ciò che il lettore potrebbe o non potrebbe trovare tragico.)
Ma noi abbiamo una storia diversa da raccontare.
State attenti. Abbiamo modificato i dettagli minori e abbiamo completamente riorganizzato gli elementi principali. Abbiamo cambiato alcuni nomi per proteggere qualche innocente o non-così-innocente, o semplicemente perché pensavamo che un nome fosse orrendo e ce ne piaceva di più un altro. E abbiamo aggiunto un tocco di magia per mantenere le cose interessanti. A questo punto, quindi, potrebbe succedere di tutto.
Questo è come pensiamo che la storia di Jane sarebbe dovuta andare.
Inizia in Inghilterra (o in una versione alternativa dell’Inghilterra, dal momento che abbiamo a che fare con una manipolazione della storia), a metà del XVI secolo. Era un momento difficile, soprattutto se tu eri un E∂ian (pronunciato ethiun per quelli di voi che non hanno familiarità con il termine). La sorte aveva benedetto gli E∂ian (o maledetto, a seconda del vostro punto di vista) donando loro il potere di passare da una forma umana a una animale. Per esempio, alcune persone potevano trasformarsi in gatti, il che aveva notevolmente aumentato il consumo di tonno nel paese, riducendo peraltro la popolazione di topi inglesi. Comunque, altri individui potevano trasformarsi in topi, così nessuno si era accorto che qualcosa era cambiato.
C’era chi pensava che questa dote magica fosse formidabile, invece qualcuno la considerava un abominio che doveva essere sradicato immediatamente. Questo secondo gruppo, noto come Verity, credeva che gli esseri umani non ci guadagnassero nulla dall’essere diversi da quello che erano. E poiché i Verity erano in gran parte nelle posizioni di potere, gli E∂ian furono perseguitati e cacciati fino a quando la maggior parte di loro non morì o si nascose.
Il che ci porta a un fatidico pomeriggio alla corte reale d’Inghilterra, quando re Enrico VIII, durante un attacco di rabbia, si trasformò in un grande leone e divorò il giullare di corte, tra la soddisfazione generale. Tutti applaudirono con entusiasmo perché a nessuno era mai piaciuto il giullare. Più tardi, i cortigiani capirono che l’episodio non era un trucco illusionistico, ma era stato un leone in carne e ossa a masticarsi il povero buffone di corte. Quando scoprirono la verità non applaudirono più, ma comunque commentarono: «Quel pagliaccio se l’è meritato».
Quella stessa notte, re Enrico VIII, una volta tornato alla sua forma umana, decretò che gli E∂ian non erano poi così male, e che d’ora in poi dovevano godere degli stessi diritti e privilegi dei Verity.
La decisione di liberalizzare l’antica magia fece scalpore in tutta Europa. Il capo della Chiesa cattolica non era per nulla soddisfatto della decisione regale, ma ogni volta che Roma inviava una missiva per condannare il decreto, il Re Leone si mangiava il messaggero.
Quando Enrico VIII morì, il suo unico figlio ereditò il trono diventando Edoardo VI. La nostra storia inizia nel bel mezzo di quest’epoca così turbolenta, che vedeva una crescente animosità in corso tra E∂ian e Verity, un re adolescente con una debole autorità sul trono d’Inghilterra, nonché un giovane lord e una giovane lady che non avevano idea di come i loro destini stessero per entrare in collisione.
Del tutto contro la loro volontà.
Il re, ahimè, stava morendo.
«Quanto tempo mi rimane?» chiese al dottor Boubou, il medico di corte. «Quanto mi resta da vivere?»
Boubou si asciugò la fronte sudata. Non gli piaceva dare cattive notizie ai sovrani. Nel suo settore, si rischiava il carcere. O peggio.
«Sei mesi, forse un anno» gracchiò. «Nella migliore delle ipotesi.»
“Dannazione” pensò Edoardo VI. Sì, era malato da diversi mesi, ma aveva sedici anni. Non poteva morire. Aveva un raffreddore, tutto lì, una tosse che si era trascinata più a lungo di quanto avrebbe dovuto, forse, una stretta nel petto, una febbre ricorrente, alcuni mal di testa, sicuro, frequenti vertigini, talvolta un sapore strano in bocca, ma possibile che stesse per morire?
«Sei certo?» chiese.
Boubou annuì. «Mi dispiace, Vostra Maestà. È “l’afflizione”.»
Oh. Quella.
Edoardo soffocò un colpo di tosse. Si sentiva già peggio rispetto a pochi istanti prima: i suoi polmoni si stavano chiudendo da quando avevano sentito la cattiva notizia. Aveva conosciuto altri con l’afflizione, se ne stavano sempre a tossire in fazzoletti ricamati macchiati di sangue, a muoversi tutti deboli e tremanti, e alla fine si ritiravano dalla corte per morire di una morte orribile e ansimante lontano dagli occhi delle signore.
«Tu ne sei… certo?»
Boubou cincischiava nervosamente con il colletto. «Posso darvi un tonico per il dolore, e assicurarmi che non soffriate fino alla fine, ma sì, sono certo.»
La fine. Che pensiero inquietante.
«Ma…» C’erano ancora così tante cose che Edoardo VI voleva fare nella vita. Prima di tutto, voleva baciare una ragazza, una bella ragazza, la ragazza giusta, possibilmente con la lingua. Voleva organizzare dei balli sontuosi per mostrare a tutti i nobili il suo talento come danzatore. Voleva finalmente battere il maestro d’armi con la spada, perché Bash era l’unica persona di sua conoscenza che dimenticava di lasciarlo vincere. Voleva esplorare il suo regno e viaggiare per il mondo. Voleva cacciare una grande bestia di qualche tipo e appenderne la testa impagliata al muro. Voleva salire in cima a Scafell Pike, arrivare nel punto più alto che si potesse raggiungere in Inghilterra, e guardare oltre le terre che si estendevano sotto di lui sapendo che regnava su tutto quello.
Invece, a quanto pareva, niente di tutto questo sarebbe successo.
“Precoce” era una parola che la gente avrebbe usato, pensò. “Prematuro. Tragico.” Poteva praticamente sentire le ballate che i menestrelli avrebbero cantato su di lui, il grande re che era morto troppo presto.
Povero re Edoardo, ormai è sottoterra:
ha perso i suoi polmoni, e pure l’Inghilterra.
«Voglio un secondo parere. Uno migliore» disse Edoardo, con la mano stretta a pugno posata sul bracciolo del trono. Rabbrividì, improvvisamente sentiva freddo. Si strinse addosso le vesti foderate di pelliccia.
«Certo» concordò Boubou, rinculando rispettosamente per allontanarsi.
Edoardo vide la paura negli occhi del dottore e sentì l’impulso di farlo gettare nelle segrete per buona misura, perché era il re, otteneva sempre quello che voleva, e questa volta non voleva morire. Toccò il pugnale d’oro che portava alla cintura, e Boubou fece un altro passo indietro.
«Mi dispiace davvero, Vostra Altezza» borbottò di nuovo il vecchio con il viso rivolto al pavimento. «Ricordate: ambasciator non porta pena.»
Edoardo sospirò. Non era suo padre, che avrebbe potuto trasformarsi in un leone e divorare l’uomo che gli aveva dato quella terribile notizia. Edoardo non aveva un animale segreto dentro di sé, per quanto ne sapeva. Il che lo aveva sempre segretamente deluso.
«Puoi andare, Boubou» disse. Il dottore tirò un sospiro di sollievo e si affrettò fuori dalla porta, lasciando il sovrano da solo ad affrontare la morte imminente.
«Dannazione» mormorò il re di nuovo, tra sé e sé. L’afflizione sembrava un modo terribilmente sconveniente di morire per un monarca.
Più tardi, quando la notizia della sua prossima dipartita si era ormai diffusa in tutto il palazzo, le sue sorelle vennero a trovarlo. Lui era seduto nel suo posto preferito: il davanzale della finestra in una delle torrette sud del Palazzo di Greenwich, con le gambe penzoloni, intento a guardare l’andirivieni delle persone nel cortile sottostante e ad ascoltare il fluire costante del Tamigi. Pensava di aver finalmente capito il significato della vita, il grande segreto, che si riduceva a questo: la vita è corta, e poi muori.
«Edoardo» mormorò Bess con aria compassionevole mentre andava a sedersi accanto a lui sul davanzale. «Mi dispiace così tanto, fratello.»
Il ragazzo cercò di sorridere. Lui era un talento nei sorrisetti. Era la sua abilità da re più affinata, in realtà, ma questa volta non riuscì a tirar fuori che una patetica smorfia. «Così hai saputo» disse, cercando di mantenere il tono leggero. «Ho intenzione di ottenere un secondo parere, naturalmente. Non mi sento come se stessi morendo.»
«Oh, mio caro Eddie» singhiozzò Maria, tamponandosi le lacrime con un fazzoletto orlato di pizzo. «Dolce, caro ragazzo. La mia povera, piccola colomba.»
Lui chiuse gli occhi per un attimo. Non gli piaceva essere chiamato “Eddie”, e non gli piaceva essere trattato come se fosse ancora un bambino piccolo, ma da Maria lo tollerava. Gli facevano pena le sue sorelle, che suo padre chiamava “bastarde”, per non parlare del resto. L’anno in cui aveva scoperto la propria forma animale – l’Anno del Leone, come il popolo lo chiamava – Enrico VIII aveva anche deciso che il re aveva il diritto di stabilire tutte le regole, così aveva annullato il suo matrimonio con la madre di Maria e l’aveva mandata a vivere in un convento per il resto dei suoi giorni, in modo da poter sposare la madre di Bess, una delle più attraenti tra le dame di compagnia. Ma quando la moglie numero due non era riuscita a produrre un erede maschio, e avevano cominciato a circolare voci che la regina Anna fosse un’E∂ian e che ogni tanto si trasformasse in gatto nero per poter sgusciare giù dalle scale del castello fin nella corte e arrivare nella camera del menestrello, il re le fece tagliare la testa. La moglie numero tre (la madre di Edoardo) aveva fatto tutto per benino: cioè, aveva dato alla luce un bambino con i genitali giusti per essere un futuro sovrano d’Inghilterra, e poi, dato che non era mai stata una a cui piacesse andare in giro a gongolarsi, era defunta. Re Enrico VIII aveva continuato ad avere altre mogli, tre per la precisione (rispettivamente: matrimonio annullato; moglie decapitata; solo l’ultima, fortunata, gli era sopravvissuta) ma niente più figli.
Quindi la prole reale si riduceva a loro tre – Maria, Elisabetta e Edoardo, i frutti di una famiglia mal assortita perché il loro padre era probabilmente pazzo e sicuramente pericoloso anche quando non si trasformava...