Il mostro cinese
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Il mostro cinese

Le bugie di Pechino, gli errori di Roma. Cronaca di una pandemia che si poteva evitare

  1. 96 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Il mostro cinese

Le bugie di Pechino, gli errori di Roma. Cronaca di una pandemia che si poteva evitare

Informazioni su questo libro

Perché il regime cinese ha mentito e nascosto il Coronavirus che ha messo in pericolo la salute e l'economia del mondo intero?
Perché il governo italiano ha reagito prima sottovalutando il pericolo poi mettendoci tutti agli arresti domiciliari?
E ora, povera Italia?

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Informazioni

Argomento
Economia
1

Tutte le bugie sul virus

Il virus Sars-Cov-2 compare in Cina in una data che per il momento è difficile definire senza timore di sbagliare. Tra novembre 2019 e gennaio 2020, ma potrebbe risalire addirittura alla fine di settembre.
Il Governo comunista cinese non dice, o rivela in ritardo e al contagocce, informazioni essenziali che avrebbero potuto modificare il corso degli eventi.
Covid-19, il virus cinese è un film che il mondo ha vissuto nella sua tragica, ultima parte. Se avesse potuto vederlo dall’inizio, seguendone lo sviluppo e capendone la trama, con ogni probabilità non sarebbe stato il film di dolore e di morte nel quale si è trasformato.
Per due mesi è stato definito complottista o, peggio, intollerante, razzista, sciovinista chiunque abbia pubblicamente posto qualche domanda scomoda, non omologata alla tesi unica presentata come verità oggettiva della “Scienza”, della “Comunità Scientifica”.
Mesi di omissioni e silenzi, che ancora proseguono. Giganteschi punti interrogativi privi di una risposta plausibile e di qualsiasi giustificazione. La sedicente caccia al “paziente zero” che dalla Cina avrebbe contagiato via via l’intero pianeta è stata vana sin dall’inizio, destinata inevitabilmente al fallimento, per evidenti lacune sulle informazioni relative al virus, alla sua identità, al suo sviluppo, alla sua origine e evoluzione. Tutte scene di un film reso sempre più offuscato, sceneggiato all’interno di imperscrutabili nebbie interrotte talvolta da proclami ufficiali – vuoi del Governo di Pechino, vuoi dell’OMS – non di rado contradditori rispetto ai precedenti e a quelli che saranno poi improvvisati in seguito.
A lungo si è creduto a un’unica, indiscutibile verità rivelata: il contagio è arrivato in Europa tra fine gennaio e febbraio 2020. Ma la verità è un’altra. In Europa, nella culla europea, già il neonato si agitava almeno dall’ottobre 2019, forse persino prima. C’è un salto logico che rende incomprensibile la trama del film e la sua ricostruzione ufficiale: un periodo di tempo lungo almeno 90, se non 120 giorni, scandito da un silenzio spettrale, da dubbi e interrogativi angosciosi che non riescono a travalicare il muro di una censura che schiaccia innanzitutto la ricerca scientifica, prima e autentica grande vittima del virus. Perché le notizie sull’esistenza del neonato e della sua culla cominciano a filtrare dalla Cina solo a fine dicembre, a ridosso di Capodanno, quando il mondo scopre – senza alcun titolo strillato né alcun allarme inquietante – che una particolare malattia starebbe mietendo vittime nella provincia di Wuhan.
Eppure uno studio del «New England Journal of Medicine», pubblicato il 29 gennaio, mostra che i primi casi di trasmissione da uomo a uomo del Coronavirus risalgono a metà dicembre. Di più: il quotidiano cinese in lingua inglese «South China morning post», sulla base di documenti riservati ai quali sarebbe riuscito ad accedere, scrive che il primo caso di Coronavirus in Cina è del 17 novembre 2019. Si tratta di una delle date che offrono maggiori indizi per scoprire finalmente quale sia la culla giusta, l’origine di tutto. Ma le autorità di Pechino non confermano la trasmissione da uomo a uomo fino al 20 gennaio. E aggiungete altre settimane di depistaggi e informazioni fuorvianti ai già lunghi, pesantissimi mesi di silenzio che separano l’autunno del 2019 dalla fine di gennaio 2020.
Ufficialmente il primo caso di Coronavirus si attesta a Wuhan nel dicembre 2019. Metropoli di ben undici milioni di abitanti, hub nevralgico tra Nord e Sud della Cina, tra la ricca costa orientale e la parte occidentale del Paese, ancora da sviluppare, Wuhan è una sorta di area protetta del regime. Una città esaltata dal Governo e indicata al mondo come fulgido esempio di crescita cinese, sino a farne la sede dei Giochi olimpici militari, un evento sportivo di dimensioni mondiali.

L’aiuto-regista: l’OMS

A lungo, e in gran parte ancora oggi, si è dato per scontato che sia stata la Cina a informare l’Organizzazione Mondiale della Sanità sui casi anomali di polmonite riscontrati a Wuhan. È così? No. Anche sotto questo aspetto i dubbi sono pesanti come macigni.
Il 5 gennaio l’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblica un comunicato stampa in cui annuncia: «Il 31 dicembre 2019, l’OMS China Country Office è stato informato dei casi di polmonite di eziologia [causa] sconosciuta rilevata nella città di Wuhan, nella provincia cinese di Hubei.
Al 3 gennaio 2020, le autorità nazionali cinesi hanno segnalato all’OMS un totale di 44 pazienti con polmonite con eziologia sconosciuta. Dei 44 casi segnalati, 11 sono gravemente malati, mentre i restanti 33 pazienti sono in condizioni stabili. Secondo i media, il mercato interessato a Wuhan è stato chiuso il 1° gennaio 2020 per servizi igienico-sanitari e disinfezione ambientale».Il comunicato non specifica deliberatamente quale autorità abbia informato il China Country office dell’OMS. Potrebbe sembrare un’informazione non necessaria da inserire in un comunicato, dando per scontato che siano state le stesse autorità cinesi a farlo, se non fosse che – curiosamente – in un tweet del 29 aprile si scopre che: «Il 31 dicembre [2019], l’Epidemic Intelligence System dell’OMS ha raccolto un rapporto su un gruppo di casi di polmonite sconosciuta a Wuhan. Il giorno seguente, Capodanno, l’OMS ha chiesto alla Cina maggiori informazioni ai sensi del Regolamento sanitario internazionale e ha attivato il nostro team di supporto alla gestione degli incidenti, per coordinare la risposta attraverso la sede centrale e gli uffici regionali e nazionali. […] Il 3 gennaio, la Cina ha fornito informazioni all’OMS attraverso una riunione faccia a faccia a Pechino e attraverso il Sistema di informazione sugli eventi dell’OMS istituito ai sensi del Regolamento sanitario internazionale».Tutto induce insomma a ritenere che sia l’OMS a raccogliere le informazioni, visto che la fonte non viene citata. E infatti, il 6 aprile, l’agenzia statale d’informazione cinese Xinhua pubblica una timeline in cui afferma: «Cominciando dal 3 gennaio, la Cina ha regolarmente informato l’OMS, Paesi e regioni rilevanti, e i territori cinesi di Hong Kong, Macao e Taiwan circa lo scoppio di un’epidemia di polmonite. La Cina ha cominciato a informare gli Stati Uniti circa l’epidemia e le misure di risposta su base regolare». Prima del 3 gennaio, non si legge da nessuna parte che vi siano state comunicazioni all’OMS.
Secondo la timeline di Xinhua, il 30 dicembre, la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan emette una nota urgente fatta recapitare alle istituzioni mediche sotto la sua giurisdizione, confermando 27 casi di polmonite in città, suggerendo alla cittadinanza di non andare in luoghi pubblici chiusi né di radunarsi in assembramenti e invitando peraltro a indossare mascherine in caso di uscita.
Chi dunque ha informato l’OMS? E perché l’OMS non lo riferisce?

Lo Scienziato Zero

Nelle stesse ore veniva consegnato alla polizia Li Wenliang, il medico che aveva avvertito sette suoi colleghi circa gli strani casi di polmonite riscontrati, accusato di aver diffuso il panico. Altro che ricerca spasmodica del “paziente zero” per tracciare i rischi di contagio! La ricostruzione delle prime scene del film Covid-19 non ha come protagonisti povere persone che tossiscono, con i polmoni divorati e terribili febbri. No, gli attori protagonisti, invece di reali o potenziali pazienti zero o di asintomatici presto chiamati a fare da comparse, sono gli scienziati zero, ma più che comparire scompaiono. Dopo Li Wenliang, la dottoressa Ai Fen viene convocata dal Comitato di ispezione disciplinare dell’ospedale e duramente rimproverata. Alla televisione di Stato, i telegiornali danno notizia di otto medici arrestati per aver diffuso falsità. Nel frattempo sul «Japan Times», Minxin Pei, un docente universitario del Claremont McKenna College e non-resident senior fellow del German Marshall Fund, ha citato i risultati di uno studio secondo cui su WeChat (la WhatsApp cinese) il numero di menzioni dell’emergenza a Wuhan ha registrato un’impennata tra il 30 dicembre e il 4 gennaio, salvo crollare immediatamente dopo un primo intervento della censura. Secondo il laboratorio interdisciplinare Citizen Lab dell’università di Toronto, sulle piattaforme social sarebbero state censurate 132 parole come “epidemia”, “Governo centrale”, “insabbiamento”. Eccolo il primo fatidico momento nel quale la storia del virus, la trama del film Covid-19, prende una piega diversa. Dalla sceneggiatura – sotto il maglio della verità di Stato – vengono cancellate ben 132 parole che non si possono più pronunciare in pubblico. A cominciare da “epidemia”. Per la narrazione ufficiale non esiste né deve esistere alcuna epidemia.
La dottoressa Ai Fen in un’intervista al magazine «Renwu», dirà successivamente: «Sapevo che doveva esserci la trasmissione umana». È, o meglio sarebbe, una svolta, una notizia clamorosa che consentirebbe di rileggere l’intera vicenda. Ma l’intervista viene cancellata dagli archivi: ne abbiamo traccia solo grazie agli utenti cinesi in varie forme, persino con il linguaggio delle emoticon. A questo primo atto di negazionismo e rimozione ne segue subito un altro, ancora più clamoroso.

Primo: distruggere le prove

Nella seconda settimana di gennaio 2020 parte una direttiva precisa: ai laboratori locali viene ordinato di distruggere tutti i campioni patologici in loro possesso. Nessuno ha ancora spiegato perché persino il laboratorio Shanghai Public Health Clinical Center guidato da Zhang Yong-Zhen, il più autorevole centro di ricerca tra quelli che hanno studiato e condiviso la sequenza genetica del nuovo Coronavirus con la comunità internazionale – scoperta resa nota l’11 gennaio –, venga chiuso il 12 gennaio. Proprio nel giorno in cui le autorità nazionali cinesi condividono “ufficialmente” la sequenza del virus con il resto del mondo.
Soltanto il 20 gennaio Xi Jinping decreta l’emergenza sanitaria, e viene ammesso il contagio da uomo a uomo. A questo punto della storia la narrazione del regime cambia decisamente direzione. Dalla negazione e dalla censura si passa alla propaganda, distribuita a piene mani: il Paese affronta una lotta epica contro il virus, milioni di persone sono poste di fatto in quarantena.
Non sappiamo nemmeno se i numeri che il regime cinese ha deciso di comunicare in questo stadio dello sviluppo del virus siano veri, perché a giudicare dai dati iniziali le misure restrittive che sono state prese, anche a serio discapito dell’economia, sembrerebbero eccessive. Già il 24 gennaio erano state isolate dieci città per un totale di circa 41 milioni di persone, a fronte di 26 vittime e 897 casi confermati (ufficiali e comunicati). Sono dati così macroscopici, anomali, da sollevare in un’infinità di osservatori le prime domande imbarazzanti. Perché delle due, l’una: o i numeri non erano veri, o si conosceva la gravità e la forza del virus già da molto tempo.
Curiosamente in Italia in questa fase non viene manifestato nessun dubbio da parte delle nostre autorità e dei media mainstream. La veridicità dei numeri cinesi è indiscussa. Con un solo, piccolo, tarlo: se “il tasso di mortalità è basso”, per quale ragione il regime cinese prende misure così drastiche? Tradotto per il telespettatore medio: perché se il pericolo è così scarso, si incominciano a vedere carri armati e blindati militari che presidiano grandi vie di comunicazione e quartieri ad altissima densità? Quei primi dati sono tutt’altro che irrilevanti: è in base a quelle statistiche che sono stati elaborati scenari e misure di prevenzione. In Italia, così, si discute per settimane preziose se fosse discriminatorio non far tornare a scuola per 14 giorni i bambini di qualunque nazionalità di ritorno dalla Cina, anziché concentrarsi sulla pericolosità del virus, sbeffeggiato da alcuni virologi e da uno dei maggiori esponenti della maggioranza di Governo come “poco più di una normale influenza”.
Eppure, per citare settori della stampa internazionale, secondo «The Epoch Times» alcuni documenti governativi trapelati dalla Cina rivelerebbero che dal 9 al 23 febbraio le autorità sanitarie della provincia dello Shandong avrebbero riportato nei loro annunci pubblici un numero di contagi inferiore a quello calcolato in loco, che sarebbe potenzialmente maggiore di 52 volte quello ufficiale. In uno studio dell’università di Hong Kong viene pubblicato un dossier secondo il quale il 20 febbraio ci sarebbero stati 232.000 casi di Covid-19 in Cina, quattro volte più di quanto dichiarato ufficialmente dal Governo.

Il Fantasma Zero

Il 9 gennaio muore “ufficialmente” il primo paziente. Ma quando sia effettivamente deceduto non si sa. Mentre è sicuro che per due giorni sia stato un fantasma: la notizia viene resa nota infatti solo l’11 gennaio. Nel frattempo, Wang Guangfa, membro di una squadra di esperti inviata a Wuhan da Pechino, ribadisce alla tv di Stato che la situazione è «controllabile». Pochi giorni dopo si ammala anche lui e diventa oggetto di reazioni rabbiose e ironiche su internet.
A gran parte degli osservatori internazionali appare chiaro che il regime sapeva, e “ciò che ha comunicato” lo ha comunicato con ritardo. Ed è un film già visto in altre precedenti occasioni, una trama non nuova per quanto riguarda origini e sviluppo di virus nati nell’entroterra cinese. Però il fattore tempo questa volta assume un ruolo cruciale, drammaticamente dirompente nell’esplodere dell’epidemia.
Il rifiuto delle autorità cinesi di informare tempestivamente e in modo trasparente l’opinione pubblica sul virus ha alimentato la sua diffusione e gli ha fatto superare la soglia della difficoltà di gestione. Da un lato, il fatto che ogni singolo test dovesse essere confermato a Pechino e che ci volessero cinque giorni; dall’altro, però, una netta scelta politica: il modo di agire tipico di ogni dittatura, soprattutto di quella cinese, affinché nulla e nessuno disturbi l’immagine di falsa armonia del sistema.
Il 30 gennaio, infine, l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara l’emergenza sanitaria globale, senza tuttavia raccomandare restrizioni ai viaggi e lodando, invece, “gli standard di risposta” della Cina.
Il 3 febbraio, nel tentativo di scaricare le colpe sui funzionari locali di Wuhan, il presidente Xi Jinping in un suo discorso ai dirigenti del partito riferisce di aver dato, sin dal 7 gennaio, «ordini verbali e istruzioni sulla prevenzione e il contenimento del nuovo Coronavirus».
Il film incomincia a narrare una storia ricostruita a uso e consumo del regime e della sua pubblica faccia.
Con buona pace dei funzionari locali di Wuhan chiamati a fare da capri espiatori, tutto lascia pensare che il Governo centrale sapesse pienamente del Coronavirus e dei suoi rischi dal 7 gennaio (per sua stessa ammissione, o forse sarebbe meglio dire confessione, alla luce delle smentite ufficiali), se non addirittura assai prima. Eppure solo dopo altri tredici giorni, il 20 gennaio, il presidente Xi dichiara l’emergenza. È passato più di un mese e mezzo dalla comparsa delle prime polmoniti anomale, settimane e settimane dopo l’allarme lanciato via chat dal giovane medico di Wuhan, Li Wenliang, arrestato e poi morto pochi giorni dopo. Infine, solo il 20 gennaio viene dichiarato che il contagio avviene da uomo a uomo.

Virus e purghe

Secondo il sito giornalistico «Caixin Global», nei casi in cui gli amministratori locali hanno preso decisioni senza attendere direttive dal Governo centrale il virus si è potuto in parte contenere: per esempio a Qianjiang, a circa 100 chilometri da Wuhan, una settimana prima dell’annuncio ufficiale dell’epidemia, 32 persone erano già state obbligate alla quarantena.
Ovviamente, l’informazione cinese racconta che il presidente Xi ha tempestivamente diram...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. IL MOSTRO CINESE
  4. Ricerche di. Elisabetta Petrini
  5. INTRODUZIONE. Il mostro cinese e noiChi ha già ceduto Chi intende affrontarlo
  6. 1. Tutte le bugie sul virus
  7. 2. Untori d’Europa
  8. 3. Pechino minaccia il mondo
  9. Copyright