«Quindi dici che da due genitori omosessuali poi viene fuori un figlio omosessuale?»
«Sì!»
«Perciò da due genitori eterosessuali viene fuori un figlio eterosessuale?»
«…sì»
«Ma allora, da dove arrivano i gay!?»
«…»
Quando un figlio o una figlia vi confessano di non essere eterosessuale o di essere transgender, che l’abbiate presa bene o male, vi restano comunque molte domande nella testa. Il modo migliore per ottenere delle risposte è parlarne con lui, o lei, sull’argomento sono certamente più esperti di voi. Per un figlio arrivare a fidarsi dei genitori abbastanza da parlargli del proprio orientamento sessuale o del proprio genere, significa aver riflettuto a lungo; e va ricordato che il primo coming out è stato quello che ha fatto con se stesso.
Può succedere che un genitore si senta in colpa, è una reazione perfettamente normale, ma va ricordato che si può essere colpevoli dell’orientamento sessuale o del transgenderismo del figlio quanto essere colpevoli di avergli “donato” occhi verdi, azzurri o castani. Quindi no, non è colpa di nessuno, così come non si tratta di una punizione divina, di un errore o di una devianza, ma semplicemente di una caratteristica come tante altre che si manifesta in tempi diversi. Le persone LGBT+ possono provenire da qualsiasi tipo di famiglia. Non sappiamo ancora con certezza da cosa derivino l’orientamento sessuale o l’essere transgender, ma è poi così importante? Potete stare accanto a vostra figlia o a vostro figlio senza bisogno di scervellarvi, consapevoli solo del fatto che hanno bisogno – così come prima del coming out – del vostro amore e della vostra comprensione.
In ogni caso non c’è bisogno di agitarsi, ma di guardare vostro figlio e continuare a pensare ciò che avete sempre saputo: che è meraviglioso.
Inoltre non sentitevi in colpa se per voi è stato difficile accogliere la notizia: mentre lui, o lei, hanno avuto tutto il tempo di rifletterci, voi sarete stati colti di sorpresa, per quanto fosse possibile che già sospettaste qualcosa. Nessuno prepara all’eventualità che i figli possano non essere eterosessuali o cisgender, spesso i genitori immaginano per loro una vita simile alla propria, o a quella che avrebbero desiderato. Potranno averla in ogni caso, felice e normale esattamente come chiunque ma molto dipenderà anche dal vostro sostegno. Non tradite la fiducia che hanno avuto in voi.
«Non capisco come si possa pensare che la sessualità sia una scelta.»
«Per molti è così.»
«Ma dai, mi pare ovvio il contrario!»
«E perché?»
«Perché se fosse una scelta ti direi che sono stufa di avere a che fare con gli uomini!»
L’orientamento sessuale è l’attrazione fisica e romantica che un individuo prova (o non prova, nel caso dell’asessualità) nei confronti delle altre persone. L’orientamento sessuale si forma nel tempo fino a manifestarsi come attrazione nei confronti di un altro individuo. Non si sceglie, si scopre: così come chi è eterosessuale “scopre” di esserlo nel momento in cui, per la prima volta, si innamora o prova attrazione nei confronti di una persona del sesso opposto, la stessa identica cosa succede a chi non lo è. Partendo dal presupposto che non sappiamo spiegare cosa determini l’orientamento di una persona, sappiamo però che non possiamo scegliere di chi innamorarci, o verso chi provare attrazione. Si riconoscono vari orientamenti, come, ma non solo, eterosessualità, bisessualità, omosessualità, asessualità.
Diverso, invece, è il significato di identità di genere con cui si intende, appunto, il genere in cui un individuo si identifica (è l’esperienza soggettiva, il voler esser riconosciuti come uomini, o donne o altri generi; vedi più avanti: Cosa vuol dire essere transgender?). L’identità di genere non coincide necessariamente con quella assegnata alla nascita e non ha nulla a che fare con l’orientamento sessuale o romantico. E quando l’identità di genere non coincide con quella assegnata alla nascita, si parlerà di transgenderismo.
Siamo abituati a considerare la sessualità come qualcosa di fisso e definito fin dalla tenera età mentre nella realtà si tratta di qualcosa di molto più complesso e soggetto a continue mutazioni nell’adolescenza.
A oggi sono stati compiuti diversi studi per cercare di comprendere le ragioni biologiche dell’orientamento sessuale e per conoscerne più a fondo i meccanismi: ciò che è certo è che si tratta del risultato dell’interazione di fattori biologici, genetici, ambientali e culturali; ciò riguarda sia l’orientamento sessuale e romantico sia l’identità di genere propriamente detta.
Una cosa è certa: l’omosessualità è un comportamento presente anche in specie animali e in natura, a differenza dell’omofobia che è presente in una sola specie: quella umana.
«Il mio migliore amico ha scoperto di essere gay. È in crisi, vorrei aiutarlo…»
«Digli di curarsi…»
«Esistono delle cure!?»
«No, nel senso, curarsi di più. Vestirsi meglio, un bel taglio di capelli, un ritocchino alle sopracciglia… si sa, i gay sono più esigenti in fatto di estetica.»
Fare coming out significa dichiarare pubblicamente la propria appartenenza alla comunità LGBT+, in quanto omosessuali, bisessuali, transgender o altro. L’espressione arriva dall’inglese e significa, letteralmente, “uscire fuori” (nella sua forma completa sarebbe coming out of the closet, ovvero uscire dal nascondiglio). È importante ricordare che coming out non è un sinonimo di outing; con outing si intende l’operazione di “far uscire allo scoperto” qualcuno, ovvero dichiarare l’appartenenza alla comunità LGBT+ di una persona senza il suo consenso.
Non si finisce mai di fare coming out nella vita: si inizia da se stessi, si prosegue con la famiglia, domani gli amici e poi i colleghi, il datore di lavoro, i vicini di ombrellone e via dicendo. Non certo perché le persone LGBT+ vogliono “ostentare” la propria identità, semplicemente per il fatto che, oggi come oggi, tendiamo a dare per scontato che le altre persone siano eterosessuali o cisgender o non siano poliamorose o intersessuali. Anche dichiarare di essere stati in vacanza con il proprio compagno, o di avere appena comprato casa con la propria compagna è, di conseguenza, una forma di coming out.
Una persona LGBT+ affronta il coming out generalmente in due fasi: la prima è di presa di coscienza interiore della propria identità, durante la quale si mette in discussione e ripensa il suo genere, orientamento. La seconda fase è quella dell’annuncio “pubblico”. Se vostro figlio, un vostro amico o una vostra collega decidono di parlarvi di quello che provano, sappiate che in quel momento siete stati scelti, che quella persona si fida di voi. Il coming out, tuttavia, può essere difficile anche per chi lo riceve soprattutto se inaspettato, ma cercate di viverlo per quello che è: una dimostrazione di fiducia e di affetto, un’apertura, il rendervi partecipi di una parte importante della vita di chi si sta confidando con voi e con voi vuole essere sincero.
«Tu non puoi crescere un figlio: diventerebbe sicuramente gay.»
«Neanche tu dovresti farlo: verrebbe sicuramente ignorante.»
No, assolutamente. Siamo tutti esseri umani, ci innamoriamo, soffriamo quando ci viene spezzato il cuore, incontriamo qualcun altro di cui innamorarci di nuovo, mettiamo su famiglia e desideriamo avere dei bambini.
Oggi in Italia l’unico vero ostacolo che si incontra è quello legato al riconoscimento dei diritti delle persone della comunità LGBT+, come l’impossibilità per le coppie di persone dello stesso sesso di contrarre un matrimonio (che non equivale a una unione civile, come vedremo più avanti), per fare solo un esempio. Questo non è un muro invalicabile, però, dipende tutto da noi, dalle persone che ci sono vicine e da quanta voglia abbiamo di cambiare le cose. Non essere eterosessuali non significa essere sbagliati, non c’è niente di diverso in un ragazzo gay o in una ragazza lesbica, o in un transgender, quindi non c’è ragione di pensare di avere una vita diversa, migliore o peggiore di chiunque altro.
«Non possono avere figli: si mettano l’anima in pace!»
«Ok, però potrebbero adottare…»
«Nemmeno! Se la natura non ha previsto che siano genitori, una ragione ci sarà!»
«Ma perché ce l’hai tanto con Elisa e Marco?!»
Si sente spesso parlare di omofobia e transfobia, ma di cosa si tratta? Si definisce omofobia il disagio, la svalutazione o l’avversione nei confronti di chi non è eterosessuale o cisgender. L’omofobia e la transfobia possono assumere molte forme: dalla discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere all’utilizzo di linguaggi offensivi fino ad arrivare a veri e propri atti di violenza. Di conseguenza, lo sviluppo psicologico della maggior parte delle persone LGBT+ è purtroppo segnato da uno stress continuativo, dovuto all’ambiente ostile o a episodi di stigmatizzazione e/o violenza.
La fobia interiorizzata, lo stigma sociale percepito e le esperienze vissute di discriminazione e violenza, costituiscono quello che viene definito minority stress, ovvero l’insieme dei disagi fisici e psicologici causati dall’appartenenza a una minoranza.
L’interiorizzazione, più o meno consapevole, del pregiudizio porta a vivere in modo conflittuale il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere, e si può manifestare in molti modi. Per esempio attraverso la convinzione che non si avrà mai una vita come tutti gli altri, che non si potrà mai essere felici, finendo addirittura per sabotare se stessi e le proprie relazioni. Avere paura di tenersi per mano mentre si fa una passeggiata al parco, oppure il terrore di darsi un bacio per non scatenare reazioni disgustate in chi ci sta intorno influisce, e non poco, sulle nostre relazioni, sul nostro modo di dimostrare affetto e amore al partner. La considerazione che abbiamo di noi, come anche il nostro rapporto di coppia possono logorarsi poco a poco per colpa della discriminazione e della nostra paura di vivere una vita autentica e stare bene con noi stessi, senza sentirci inadeguati o addirittura minacciati.
«Quindi sei contrario ai matrimoni tra persone dello stesso sesso?»
«Certo. I matrimoni gay sarebbero soltanto l’inizio, il primo passo…».
«Per le adozioni?»
«No. Per i divorzi gay! Ci sono già tante famiglie etero che si sfasciano, ne vogliamo aggiungere altre?»
Gay e lesbiche sono sempre stati genitori.
L’omosessualità infatti non preclude la genitorialità e, se negli ultimi decenni si è iniziato a porre la questione di riconoscere la forma famigliare sia socialmente che legalmente, questo non toglie che siano da sempre presenti genitori omosessuali in coppie formalmente eterosessuali. Per esempio un uomo o una donna che scoprono il proprio orientamento sessuale dopo aver già avuto figli in una precedente relazione eterosessuale sono a tutti gli effetti genitori omosessuali.
Esistono anche i casi dove la scelta di diventare genitori nasce all’interno di una coppia dello stesso sesso. A oggi, in Italia, per queste coppie non è possibile avere figli tramite la procreazione assistita, alla luce di un articolo di legge preciso, che recita: «Fermo restando quanto stabilito dall’articolo 4, comma 1, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi».a La situazione è molto diversa negli altri Paesi europei dove la procreazione assistita è accessibile a coppie eterosessuali e omosessuali conviventi e sposate oppure a donne singole. Per ottenere informazioni più dettagliate si può fare riferimento a questo articolo di Famiglie Arcobaleno:
http://www.famigliearcobaleno.org/it/informazioni/procreazione-assistita/
Le coppie formate da due uomini possono ricorrere alla GpA (Gestazione per Altri), ugualmente vietata in Italia ma non sempre all’estero. Troverete maggiori approfondimenti su:
http://www.famigliearcobaleno.org/it/informazioni/gestazione-per-altri/
In ogni caso, attualmente in Italia è riconosciuto solo il genitore legale, ovvero quello biologico. Il genitore non biologico non ha, per legge, nessun dovere nei confronti del figlio e anzi, è un perfetto estraneo: da piccole cose, come andare a prendere il bambino all’asilo, a quelle più importanti, come prendere decisioni vitali in caso di emergenze mediche fino al diritto all’eredità. Ne consegue che i figli nati all’interno di una coppia dello stesso sesso non hanno gli stessi diritti degli altri bambini.
«L’unica vera famiglia è quella composta da un uomo e una donna.»
«Scusa e la tua prima moglie dove la metti?»
«Cosa c’entra, allora dovrei considerare anche la segretaria, la baby-sitter, la personal trainer, eccetera…»
«Tali asserzioni [l’affermazione secondo cui è necessario per il bambino avere una figura paterna e materna per la formazione della propria personalità] sono prive di fondamento empirico e disconoscono quanto appurato dalla ricerca scientifica internazionale, a partire da studi avviati ormai quarant’anni fa. Sull’argomento le più rappresentative società scientifiche si sono espresse in modo inequivocabile. Nel 2006, l’American Academy of Pediatrics ha dichiarato quanto segue: “I risultati delle ricerche dimostrano che bambini cresciuti da genitori dello stesso sesso si sviluppano come quelli cresciuti da genitori eterosessuali. Più di venticinque anni di ricerche documentano che non c’è una relazione tra l’orientamento sessuale dei genitori e qualsiasi tipo di misura dell’adattamento emotivo, psicosociale e comportamentale del bambino. Questi dati dimostrano che un bambino che cresce in una famiglia con uno o due genitori gay non corre alcun rischio specifico. Adulti coscienziosi e capaci di fornire cure, che siano uomini o donne, eterosessuali o omosessuali, possono essere ottimi genitori”.
«Allo stesso modo, nel 2009, l’American Academy of Child and Adolescent Psychiatry ha concluso che “non vi è evidenza scientifica a sostegno della tesi secondo cui genitori con orientamento omo- o bisessuale siano di per sé diversi o carenti nella capacità di essere genitori, di saper cogliere i problemi dell’infanzia e di sviluppare attaccamenti genitore-figlio rispetto ai genitori con orientamento eterosessuale. Da tempo è stato stabilito che l’orientamento omosessuale non è in alcun modo correlato ad alcuna patologia, e non ci sono basi su cui presumere che l’orientamento omosessuale di un genitore possa aumentare le probabilità o indurre un orientamento omosessuale nel figlio. Studi sugli esiti educativi di figli cresciuti da genitori omo- o bisessuali, messi a confronto con quelli cresciuti da genitori eterosessuali, non depongono per un diverso grado d’instabilità nella relazione genitori-figli o rispetto ai disturbi evolutivi nei figli”.
«Nel 2011 l’Associazione Italiana di Psicologia ha ricordato che “i risultati delle ricerche psicologiche hanno da tempo documentato come il benessere psicosociale dei membri dei gruppi familiari non sia tanto legato alla forma che il gruppo assume, quanto alla qualità dei processi e delle dinamiche relazionali che si attualizzano al suo in...