Se vi chiedessero come tenete di solito le mani mentre vi rivolgete ad altri, che cosa rispondereste?
E quando andate a una conferenza, dove siete soliti sedervi? Vi mettete in fondo per non essere notati, anche se rischiate di non sentire molto bene, oppure scegliete direttamente un posto nelle prime file, dove tutti vi vedono?
Se dovete entrare nell’ufficio del vostro capo, esitate timorosi aspettando che lui vi inviti a entrare o, senza bussare, prendete possesso della sua stanza?
A quale distanza vi tenete dalle persone per sentirvi a vostro agio? Avete bisogno di restare loro appiccicati o vi mantenete a una certa distanza?
In ascensore o in autobus, fianco a fianco con degli estranei, quale atteggiamento assumete?
Quando siete seduti a un’interminabile riunione e il discorso vi annoia, sapreste dire quale posizione assumono, a vostra insaputa, le vostre gambe e le vostre braccia?
Quella volta, infine, che avete dovuto mentire, vi siete accorti che mentre lo facevate la vostra mano sfiorava in un certo modo il viso?
Siete insomma coscienti di come vi muovete e del significato che i vostri gesti e atteggiamenti possono svelare? Di come cioè vi presentate agli altri?
Ricordatevi che c’è solo una prima volta in cui una persona può incontrarvi, e sembra che siano solo i primi quattro minuti di quel primo incontro quelli che lasciano nell’altro un ricordo permanente, che può essere positivo o negativo. Difficilmente poi si potrà correggere quella prima impressione.
Il re nudo
C’era una volta un re che sfilava nudo tra la folla, pavoneggiandosi in uno splendido ma invisibile abito tessuto con fili d’oro. La gente non vedeva quell’abito sontuoso, ma credeva di non riuscire a capire una tale magnificenza; solo un bimbo ebbe il coraggio di gridare: «Ma il re è nudo!».
Solo i bambini vedono la verità e si fidano di ciò che vedono: essi distinguono i gesti di accettazione da quelli di rifiuto, quelli di apertura da quelli di chiusura.
Essi sono ancora in contatto con la parte naturale, istintiva della comunicazione e sentono fortemente la discordanza tra i due messaggi che ricevono, quello del corpo e quello verbale, e possono restare spiazzati da questo “doppio messaggio”. Crescendo vengono condizionati da noi adulti, che insegniamo loro che l’uso delle parole, del linguaggio verbale, è l’unica espressione alla quale si deve credere. L’unica anche che ci permette di mentire.
«La parola è stata data all’uomo per nascondere il suo pensiero», scriveva Mirabeau.
Anche la gestualità è un linguaggio
Se il nostro gatto scodinzola nervosamente, subito comprendiamo che preferisce essere lasciato in pace, ma se un nostro amico, dondolando nervosamente un piede, ci dice “va tutto bene”, noi crediamo alle sue parole.
Abbiamo del tutto dimenticato il significato della gestualità del corpo, e soprattutto che il corpo non mente.
Esso è in contatto diretto con le nostre emozioni più profonde, le nostre paure, le nostre ansie, la nostra gioia, e le trasmette direttamente ai gesti della mano, delle gambe, ai muscoli del viso.
La nostra mente può decidere se esprimere o meno verbalmente tali sensazioni o emozioni, ma sappiamo che a volte è meglio tacere. E allora non ammettiamo di essere infastiditi, ma lo dice per noi un piccolo gesto compiuto involontariamente dal nostro corpo al quale, di solito, nessuno presta attenzione.
Il sesto senso
Ci sono persone che vengono considerate intuitive o dotate di un incredibile “sesto senso” perché riescono sempre, come per magia, a cogliere al volo la vera identità degli altri: forse sanno solo leggere bene i messaggi trasmessi dal corpo e sanno osservare se essi sono in sintonia o meno con le parole che vengono pronunciate.
L’empatia
Il corpo parla un linguaggio che può essere compreso solo da un altro corpo: per questo è necessario imparare a essere in contatto con il proprio corpo e a riconoscere le sue espressioni e la sua gestualità. Solo così infatti possiamo immedesimarci con chi ci sta di fronte, provare addirittura a compiere gli stessi gesti, per sentire che cosa si prova, ad esempio, ripiegati su se stessi a spalle curve.
Questo modo di sentire si chiama “empatia”.
Entrare in empatia con una persona vuol dire cercare di identificarsi con le sue espressioni corporee per arrivare a sentire sulla nostra pelle e nel nostro cuore che cosa l’altro sta provando.
Il filosofo tedesco R. Kassner ha scritto che gli uomini moderni non sono più in grado di capire il tempo, di sentire le nuvole e il vento sul proprio corpo, e sono così miseri da dover consultare un barometro per sapere che tempo farà. E non sanno nemmeno collegarsi con l’intima essenza delle piante, delle quali conoscono però i nomi scientifici più complessi.
Hanno perso l’intima essenza che permette loro di sentire gli animali e soprattutto di sentire gli uomini, i loro volti, i loro gesti e ciò che si cela dietro di essi.
Non sanno più entrare in empatia con gli esseri viventi e devono imparare nuovamente a conoscere e a riconoscere gli altri esseri umani.
Le leggi psicologiche
Una delle leggi psicologiche di Roberto Assagioli, fondatore della psicosintesi, afferma: «Gli atteggiamenti, i movimenti e le azioni tendono a evocare le immagini e le idee corrispondenti». Questo vuol dire che se parliamo con voce aspra e ci comportiamo come se fossimo arrabbiati finiamo per diventarlo realmente. Avete presente i bambini che giocano alla guerra, e fingono di essere nemici e che a un certo punto finiscono per picchiarsi davvero?
Al contrario, se compiamo gesti distensivi o di apertura finiamo per diventare mentalmente più aperti verso gli altri. Se, ad esempio, si vuole sviluppare in se stessi il coraggio, poiché con un semplice atto di volontà è difficile controllare un’emozione di paura, mentre invece è più facile intervenire sul corpo, si può iniziare con l’assumere un atteggiamento fisico che evochi questa qualità. Si crea così un feedback positivo, che porta la persona a compiere davvero un’azione coraggiosa.
Due linguaggi
Esistono due linguaggi fondamentali che permettono la relazione tra le persone: il linguaggio verbale, quello cioè costituito dalle parole, e che serve soprattutto a trasmettere informazioni e dati e, contemporaneamente, un linguaggio non verbale, con il quale si colorano le parole pronunciate, ma soprattutto si esprimono le emozioni più profonde e più vere, e che è fatto di gesti, di atteggiamenti, di silenzi.
Anche il silenzio è comunicazione.
Non si può non comunicare: qualsiasi interazione tra due persone è comunicazione, anche se avviene solo a gesti o nell’immobilità più assoluta.
Studi molto approfonditi hanno calcolato che in una comunicazione interpersonale il messaggio viene trasmesso solo per il 7% dalle parole, per il 38% dal tono della voce e addirittura per il 55% viene comunicato attraverso il linguaggio del corpo.
Imparare a interpretare il significato “segreto” di ogni singolo gesto non è un modo per violare l’intimità degli...