Cominciamo naturalmente a considerare il testo di Giovanni dai primi 18 versetti, anche se preferiremmo partire da qualche pagina più concreta, perché il prologo è uno dei brani più difficili di tutto il IV vangelo e non si finisce mai di studiarlo, di rimeditarlo, di contemplarlo. Quando lo si recitava al termine di ogni Eucaristia, mi sentivo ogni volta affascinato e insieme smarrito, non riuscendo a cogliere l’unità del brano, il valore delle parole misteriose che ripetevo. Tra l’altro la liturgia ambrosiana ce lo propone nella Messa della notte di Natale e spesso, in questi anni, guardando la gente riunita nel Duomo, mi sono chiesto: come potrà comprendere un linguaggio così mistico?
Dunque il saperlo a memoria non ci esime dal rileggerlo restando tramortiti di fronte a esso, come il re Nabucodonosor davanti alla scritta, ai sogni. Su questo testo, infatti, si può dire moltissimo, si sono scritte migliaia di pagine sia sotto il profilo teologico sia sotto quello filologico.
Di per sé il preludio vero e proprio dell’opera giovannea comprende tutto il primo capitolo, ma ho pensato di distinguerlo in due parti: il prologo che chiameremo poetico e il prologo narrativo nel quale si leggono i brani seguenti il v. 18. Lo stesso mistero è presentato anzitutto in un linguaggio sublime ed enigmatico, e poi in forma narrativa.
Noi vogliamo accostare il preludio nello spirito proprio di un corso di Esercizi, e in tal senso lo consideriamo come il principio e fondamento non solo del IV vangelo, ma pure del nostro Ritiro, perché contiene la premessa e la base di ogni successiva riflessione, anche se esprime già tutto in sintesi. Lo esprime implicitamente, per allusione, e il resto dell’opera non farà che svolgere questo principio e fondamento.
Abbiamo bisogno di una preghiera più intensa per meditare il prologo poetico come principio e fondamento di quella contemplazione di Gesù che ci siamo proposti quale scopo di questi giorni, e ci rivolgiamo alla Vergine Maria: «O Maria, tu che hai assistito alla stesura del prologo da parte del tuo figlio Giovanni, fa’ che non ci spaventiamo di meditarlo, ma aiutaci a buttarci con semplicità, come bambini, nella fede, lasciandoci cullare dal ritmo delle parole, senza pretendere di capire tutto subito e desiderando, sopra ogni altra cosa, di amare colui che si rivela nelle parole dell’evangelista».
È importante metterci in questo atteggiamento perché da una parte Giovanni è semplicissimo – il suo testo ha poco più di 1000 vocaboli su circa 15000 parole di cui è composto –, e però è altissimo. Il parlare semplicissimo rende questo vangelo utile anche per le catechesi: molti brani narrativi e carichi di significato si adattano bene sia agli adulti che ai bambini.
Seguendo il metodo consueto, ci avviciniamo al prologo poetico con l’esercizio della lectio divina nei suoi tre momenti: lettura e rilettura della pagina per renderci conto delle scansioni, dei temi nodali; meditatio per interrogarci su alcuni valori o messaggi del brano; avvio alla contemplatio del Signore Gesù che si rivela nelle parole del vangelo.
I. LECTIO DI Gv 1, 1-18
Le scansioni
A riguardo della struttura del prologo poetico ci sono enormi differenze tra gli autori che hanno studiato il IV vangelo; ognuno propone una scansione diversa, e non è facile capire quale sia la migliore. Forse è giusto ricordare che «testo» vuol dire textus, tessuto, intersecazione, e perciò non è possibile dividerlo, strapparlo, è come la tunica di Gesù. Ho tuttavia cercato di esprimere una divisione in quattro parti, tenendo presente, appunto, che tutti i versetti si collegano.
La prima, vv. 1-5: ciò che era e fu fatto al principio.
La seconda, vv. 6-8: la prima menzione del testimone, il messaggio del Battista.
La terza, vv. 9-13: accoglienze diverse, contrastanti, della Parola.
La quarta, vv. 14-18: la pienezza della rivelazione della Parola.
Rileggiamo le singole parti.
1. «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta» (vv. 1-5).
Questa traduzione della Bibbia CEI è piuttosto letterale, e vorrei richiamare la Bibbia pubblicata in francese, un volume di grande valore letterario, che traduce così l’inizio del prologo: «En principe, la Parole, Dieu la Parole». Mi ha colpito perché è uguale al titolo della mia II lettera pastorale: In principio, la Parola, alla quale ho ispirato tutti i successivi programmi pastorali.
I primi cinque versetti possono essere suddivisi in due momenti: ciò che era in principio, il Verbo, e poi la creazione.
Contemplando ciò che era al principio, abbiamo l’impressione di trovarci di fronte a una montagna altissima, la cui cima è al di là delle nubi; non vediamo dove termini, se non nel mistero trinitario, ma ci sarà detto che questa montagna viene in mezzo a noi, verso di noi con umiltà, tenerezza e mitezza.
L’espressione Logos, tradotta già dalle versioni latine più antiche con Verbo, ricorre solo un’altra volta nel IV vangelo, al v. 14 del prologo; una volta in 1 Gv 1, 1 («il Verbo della vita») e una volta nell’Apocalisse: «Il suo nome è Verbo di Dio» (19, 13). Perché l’evangelista non ho scelto un vocabolo più usato, per esempio sophia (in principio, la Sapienza)? Logos è un termine difficile perché polisemantico: significa tutto ciò che è espresso con la voce (parola, sermone, discorso, e anche causa, ragione, conto della spesa) e, in ambito filosofico, la ragione ultima di tutto. Come mai Giovanni non si è servito della parola greca rema, che indica più precisamente un oracolo divino?
Sono domande che attestano quanto siamo incerti e in ricerca di fronte al prologo poetico. Se la ricerca diviene adorazione umile, amorosa, allora forse comprenderemo meglio il senso di un mistero che ci supera e che è in qualche modo ineffabile.
2. Passiamo alla menzione del testimone: «Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce» (6-8).
Inizia qui quel vocabolario della testimonianza che sarà frequentissimo in Giovanni, applicata in particolare a Gesù. C’è un versetto sintetico, che ne riassume molti: (dice Gesù a Nicodemo) «In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo visto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza» (3, 11).
Nel prologo il termine appare per la prima volta attribuito a Giovanni Battista.
Abbiamo ricordato che nel IV vangelo non si menziona mai la fede, la pistis; ugualmente non è usata l’espressione vangelo o evangelizzare, ampiamente presente in Luca e in Paolo, ma si insiste sulla testimonianza che viene resa al mistero di Dio.
3. La terza scansione riguarda l’accoglienza: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli» (il Verbo, pur se qualche esegeta riferisce il pronome alla luce) «era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati» (vv. 9-13).
Occorre il verbo credere, tipico del cammino che Giovanni chiede al discepolo; tuttavia si sottolinea specialmente la non accoglienza, che sembra totale. Notiamo come il linguaggio procede per paradossi: il Verbo, la luce vera che illumina ogni uomo, viene respinto e viene accolto. In questi versetti cogliamo un anticipo di tutto il testo evangelico. Non è primaria la denuncia del peccato, bensì la messa in conto da parte di Gesù di essere rifiutato, e accetta tale destino, anzi congloba nel piano di salvezza il suo essere respinto.
La non accoglienza è palese: il mondo non lo riconobbe, venne fra la sua gente, fra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto. Nelle nostre sintesi pastorali partiamo sempre dall’idea che la Parola debba essere riconosciuta. Qui, invece, si parte dal contrario: non è riconosciuta, se non da alcuni. Il Verbo viene nel mondo per mostrare che nella non accoglienza, al di là di tutto, il Padre ama e offre il perdono, e non per dichiarare che il mondo è cattivo.
Il Verbo fa l’esperienza non soltanto di essere una piccola luce in un mare di tenebre, di essere uno sconosciuto tra gli uomini in genere, ma persino di essere un estraneo tra i suoi, dove «i suoi» sta a indicare Israele, la sua storia, la sua famiglia, coloro che in tanti modi erano legati a Gesù. Tale esperienza che il Gesù storico fa continuamente nel IV vangelo, è assai più importante, per Giovanni, di quanto non sia la colpa di coloro che lo rifiutano.
Nella meditatio ci chiederemo anche se la luce vera che viene nel mondo e illumina ogni uomo, è da identificarsi con l’incarnazione del Verbo oppure la precede. Una domanda significativa per il dialogo tra le religioni.
4. Infine i vv. 14-18 ci raccontano la pienezza della rivelazione.
Il v. 14 è il cuore del prologo poetico e dell’intero vangelo: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità» (v. 14). Ricordiamo che il tema della pienezza è presente fino all’ultimo momento della passione di Gesù. In questa pienezza risalta di nuovo la testimonianza del Battista, più personalizzata e riportata nelle sue testuali parole: «Giovanni gli rende testimonianza e grida: “Ecco l’uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me”» (v. 15). Si anticipa il messaggio del Battista che verrà esposto in forma narrativa subito dopo, nei vv. 19-34.
Nei vv. 16-18 riprende probabilmente la parola l’evangelista, quasi a commento conclusivo del prologo poetico, che esalta la pienezza nelle sue energie: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato».
Per la prima volta è menzionato Gesù e, nel corso del IV vangelo, non si parlerà più del Logos, del Verbo, della Parola. Stupendo il v. 18 che riprende il v. 1 sottolineando che il Figlio unigenito è nel seno del Padre e ce lo rivela, ci racconta il Padre. Considereremo il significato della parola «nel seno del Padre» nella prossima meditazione.
Sulle quattro scansioni del prologo dobbiamo pregare e riflettere, magari nel tempo dell’adorazione.
Le parole chiave
Può esserci utile riprendere alcune parole chiave.
1. La prima è certamente quella del v. 14: il Verbo si fece carne. La realtà divina, eterna, invisibile, inaccessibile, inscrutabile, indicibile, al di là di ogni pensiero umano, di ogni affermazione umana è qui, è carne. Il Logos si è racchiuso in un grumo di carne, si è reso visibile, si è attendato fra noi.
Nei capitoli seguenti Giovanni non farà altro che trarre le conclusioni da questa proclamazione centrale, provocatoria; chi cerca Dio deve cercare il Verbo incarnato e, in lui, contemplare il Padre, il mistero trinitario.
2. Una seconda parola chiave è pienezza. Il Verbo fatto carne è «pieno di grazia e di verità», in contrapposizione alla legge. Alcuni traducono «amore e lealtà», invece di «grazia e verità»; altri, considerandola una endiade, «amore fedele». Possiamo anche tradurre «tenerezza e fedeltà». In ogni caso è un’espressione ricca di suggerimenti e di possibili approfondimenti teologici.
Il tema della pienezza ritorna al v. 16: «Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia», una misura sovrabbondante di grazia.
3. Significativo è anche il rapporto luce-vita, che appare già nel v. 4: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini». Lo riprenderemo nella meditatio, ma possiamo subito notare che i temi vita e luce occorreranno ampiamente nel testo giovanneo: qui abbiamo come una sorta di preludio.
4. Parole chiave sono pure accoglienza e non accoglienza. Negativi i vv. 5, 10, 11: «La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta»; «Egli era nel mondo… eppure il mondo non lo riconobbe»; «Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto».
Il prologo poetico ...