
- 208 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
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eBook - ePub
Nel cuore della notte
Informazioni su questo libro
Denny Colbert è un tipo silenzioso e riservato, che cerca sempre di non farsi notare. Lo stesso fa il padre, un uomo solitario che cambia spesso città e lavoro e parla malvolentieri con gli estranei. Perché, quando arriva Halloween, il loro telefono comincia a squillare nel cuore della notte? Qual è il loro segreto? Denny non sospetta che dall'altra parte del filo c'è un cacciatore spietato e paziente, inimmaginabile e infido, che da anni sta tessendo la propria tela.
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Informazioni
Editore
EDIZIONI PIEMMEAnno
2019Print ISBN
9788856672305eBook ISBN
9788858523216Quarta Parte
Con l’avvicinarsi di Halloween, i colori predominanti di Barstow divennero l’arancio delle zucche, il nero delle streghe e il bianco dei fantasmi. Il tepore di settembre aveva lasciato il posto al freddo dei giorni e delle notti d’ottobre, con cieli plumbei e folate di vento che spogliavano gli alberi. Niente pioggia, comunque: tutto secco. Le foglie morte venivano sollevate da mulinelli d’aria prima di sparpagliarsi lungo le strade e i marciapiedi.
Denny, diretto verso la fermata del pullman per tornare a casa, camminava distrattamente tra le foglie. Vedendo le zucche che decoravano gli ingressi delle case, scuoteva la testa, contrariato.
L’ultima moda era quella di dipingerle con facce curiose. Suo padre, invece, aveva sempre svuotato la zucca di Hallo-ween per poi intagliare faticosamente gli occhi, il naso e la bocca con i denti. Una candela accesa dava vita al lugubre testone. Si domandò se fosse ormai troppo grande per chiedergli di preparare una zucca anche quest’anno.
Passando davanti al piccolo supermercato aperto notte e giorno, notò che alla cassa non c’era Dave, ma il signor Taylor. Deluso, girò sui tacchi e si diresse verso casa. Quando imboccò il vialetto, diede un’occhiata all’orologio: erano quasi le tre. Aveva tempo da perdere. Lulu chiamava sempre fra le tre e le tre e mezzo. Né prima né dopo.
Mentre saliva la scala, si sentì pulsare forte le tempie al pensiero di quella voce. E poi, davanti alla porta, ebbe un conato di vomito.
Più tardi, non avrebbe saputo dire se prima avesse sentito l’odore nauseabondo o visto quello che era stato lasciato sulla soglia. Forse le due cose erano successe contemporaneamente. Si piegò sul corrimano, scosso da un altro conato di vomito, ma non riuscì a rimettere. In quel momento perse le speranze di veder passare senza incidenti il venticinquesimo anniversario della tragedia del Globe. Durante l’ultima settimana, le telefonate notturne erano state soltanto due, ed era arrivata una sola lettera: suo padre l’aveva gettata senza aprirla. Sui giornali, nessun articolo. Il cronista del Wickburg Telegram non si era ripresentato, la radio e la televisione non avevano mandato nessuno. L’unica cosa diversa dal solito erano state le telefonate pomeridiane. Le telefonate della donna. Quella voce, quelle parole… Denny aveva sperato che, in qualche modo, quelle chiamate avrebbero messo fine alle ostilità.
Quel che trovò sulla soglia, però, lo riempì di paura. Che altro c’era da aspettarsi?
Per il momento non poteva pensarci: doveva fare pulizia prima che i suoi genitori rincasassero.
Andò nello scantinato alla ricerca di qualcosa con cui pulire. Nel sottoscala trovò una scatola da scarpe vuota e ne strappò un lato per utilizzarla come paletta. Avrebbe usato il coperchio per spingere la sporcizia. Ritornò di sopra, disgustato, e ripulì alla meglio. Ovviamente gli sfuggì una parte di quella porcheria, così dovette completare l’opera, distogliendo lo sguardo e cercando inutilmente di non respirare. Poi avrebbe dovuto strofinare la soglia con acqua e detersivo.
Immobile, con la scatola nauseabonda in una mano, pensò: «E adesso, cosa faccio?».
Fece la cosa più ovvia: gettò il contenuto della scatola nel water e strofinò la soglia con un vecchio straccio. Dopodiché infilò la scatola, il coperchio e lo straccio in un sacchetto di plastica e andò a gettarlo in un bidone dell’immondizia sul vialetto.
Quando tornò in casa, aspettò come al solito che il telefono squillasse. Saltò la merenda perché aveva lo stomaco sottosopra per via del compito appena svolto. Il suo cuore, però, batteva forte nell’attesa della voce di Lulu.
Denny si sedette sulla poltrona di suo padre, vicino al tavolino del telefono. Si sfilò l’orologio e lo appoggiò accanto al telefono per vederlo meglio. 3:09. Gli squilli potevano cominciare da un momento all’altro.
3:16.
La casa, deserta e silenziosa, sembrava un museo dopo l’ora di chiusura.
3:21.
Forse Lulu non avrebbe chiamato. Ogni tanto capitava che non si facesse sentire per un paio di giorni.
Denny si alzò, irrequieto, si stirò e sbadigliò per la noia. Poi andò alla porta, la spalancò e controllò che non fosse rimasta qualche macchia. Rabbrividì ripensando all’odore, che gli sembrò di sentire ancora, intenso come poco prima.
Ricordò che Lulu gli aveva parlato di persone che facevano tiri mancini a suo padre.
Un sospetto tremendo.
Era stata lei a portare quello schifo sulla soglia?
Erano suoi gli escrementi che lui aveva gettato nel water?
No, non era possibile.
Lulu non avrebbe mai fatto una cosa del genere. No, Lulu no.
– Lulu.
Denny disse il nome ad alta voce. Gli piaceva quel suono. All’inizio, la donna non voleva dirglielo, il che aveva reso ancor più misteriose le sue telefonate. Poi, però, si era decisa.
Aveva scherzato sul cognome di Denny, dicendo che preferiva Col-bair a Colbert, due nomi dalla pronuncia quasi uguale.
– Colbert è duro, brusco, – aveva detto – mentre Col-bair, un nome francese, è dolce e…
Turbato, lui aveva ribattuto: – Lei sa come mi chiamo, ma io non conosco il suo nome…
– Vuoi sapere come mi chiamo?
– Sì.
– Mi fa piacere, Denny. Mi fa pensare che io significhi qualcosa per te, che sia più che una semplice voce.
Imbarazzato e stupito di se stesso, lui aveva detto: – Mi piace parlare con lei.
– Anche a me. Sul serio.
Denny aveva immaginato che la donna stesse eludendo la sua domanda, che non volesse rivelargli il proprio nome.
E invece la sconosciuta lo aveva stupito. – Lulu. Chiamami Lulu.
«Chiamami Lulu…»
– È il suo vero nome o un soprannome?
– È un nomignolo che usano soltanto le persone che mi sono molto vicine. E tu mi sei vicino, Denny. Tanto vicino…
Ancora più turbato, Denny aveva pensato: «Cosa sta succedendo? Che cosa mi sta capitando?». E non era riuscito a replicare.
– Denny, ci sei? Ti sento respirare. Tutto bene? Ho detto qualcosa che non va?
– No – aveva risposto Denny con voce strozzata mentre cercava di riprendersi.
Lulu parlava piano, con voce sussurrata, come se al mondo non esistessero altro che lei e Denny. Come se fossero amici… No, più che amici: come se condividessero grandi segreti.
Era capace di rendere allegro un giorno di noia, di far apparire eccitanti le cose più banali. Come il mese di settembre.
Gli aveva detto di essere triste perché settembre era finito.
– Come una donna affascinante che se ne va.
– Una donna? – le aveva domandato Denny.
– Sì, settembre assomiglia a una donna. Una donna bella, voluttuosa… Lo sai cosa significa “voluttuosa”, Denny?
– Certo – aveva risposto lui, e i battiti del suo cuore avevano accelerato. «Voluttuosa.» La sua mente aveva evocato donne bellissime, e improvvisamente Denny era stato certo che anche Lulu fosse splendida. E voluttuosa.
La sua voce era ipnotica, ma Denny non aveva affatto voglia di dormire; anzi, era sveglissimo e aveva la sensazione che tutti i suoi pori fossero dilatati, pronti ad assorbire le parole di lei.
– Anche ottobre è una donna, Denny. Però è una strega. Un fantasma o uno spirito maligno. È per questo che non mi piace. Detesto ottobre perché finisce con Halloween –. La sua voce era diventata dura e fredda. Poi, però, improvvisamente era tornata calda e giocosa: – Secondo te, qual è il mese che mi assomiglia?
Denny aveva pensato al gelo di gennaio, al caldo di luglio, all’arsura di agosto, e non era riuscito a pronunciare una parola.
– Mi auguro che tu mi veda come settembre, Denny, e non come febbraio, un mese freddo, glaciale…
– Sì, settembre – aveva detto allora Denny con un leggero balbettio. Aveva raccolto tutto il suo coraggio per ribadire: – Decisamente settembre.
Denny si domandava quanti anni avesse Lulu. Dalla sua voce era difficile capirlo. Dal momento che telefonava a suo padre da tanti anni, non poteva essere giovane. Eppure una parte di lui rifiutava l’idea che potesse essere anziana. Voleva che fosse giovane.
A un certo punto, aveva trovato la forza di chiederle: – Quanti anni ha, Lulu? –. Gli piaceva immensamente pronunciare il suo nome.
– Tu quanti anni mi dai?
Era come un’insegnante: replicava a una domanda con un’altra domanda. In nessuna scuola, però, Denny aveva avuto un’insegnante come Lulu.
– Non lo so –. Non aveva osato azzardare una risposta.
– Quando senti la mia voce, pensi che sia vecchia o che sia giovane, Denny?
– Giovane –. Era una speranza.
– Oh, Denny…
Lulu doveva essere giovane.
– Sai, aspetto sempre con ansia il momento di telefonarti. Quando non posso farlo, mi sento sola…
– Anch’io mi sento solo…
– Sai una cosa, Denny? Non chiamo più tuo padre di notte. Forse lo fanno altre persone, ma io no. E sai perché?
– No.
– Perché preferisco parlare con te. Mi piace parlare con te…
– Anche a me – aveva ammesso Denny e si era domandato se Lulu avesse avvertito il leggero tremito della sua voce.
Tutto sommato, non gli importava se Lulu fosse giovane o vecchia.
Guardò l’orologio.
3:31.
Per quel giorno, niente: l’attesa era stata inutile. Lulu non aveva chiamato. A Denny sembrò che il sole sfolgorante si prendesse gioco di lui. Soltanto la pioggia si sarebbe intonata al suo umore, in quel momento.
Guardò il telefono e gli ordinò mentalmente di squillare. Fu inutile.
– Ehi, Denny, l’altro giorno ho visto quella sventola della tua ragazza!
Per fare quell’annuncio, Dracula smise di tempestare di pugni il Figlio di Frankenstein.
Denny si mostrò indifferente, fingendo di non dare importanza alle parole del ragazzino. Non si fidava di quel mostriciattolo che, a dodici anni, somigliava ai gangster dei film in bianco e nero.
Anche “sventola” era un termine strano per un ragazzino, un termine, per l’appunto, da vecchio film.
– Dove l’hai vista? – gli domandò, con la voce incrinata, cosa che non contribuì a rendere credibile la sua indifferenza.
– Boh – gli rispose Dracula e, stufo di pestare il Figlio di Frankenstein, si voltò verso Denny. – In centro.
– Dove, di preciso? – disse lui, cercando di controllare la voce.
– Boh. In un grande magazzino. Da Kenton’s.
Denny non replicò per qualche secondo. Non voleva sembrare troppo curioso, immaginando che la peste si sarebbe cucita la bocca, se lui avesse mostrato un minimo di interesse. Poi chiese: – Cosa ci faceva li?
Dracula lo guardò con un’espressione improvvisamente innocente. – Da Kenton’s? – disse alla fine mentre con un pugno buttava a terra il Figlio di Frankenstein.
– Sì – rispose Denny, paziente. Quel gangster dodicenne aveva gli occhi gelidi di un pugile di quarant’anni.
– Stava lavorando, credo. Era dietro un banco. Quello dei profumi. È proprio uno schianto, quella.
Denny gli lanciò un’occhiata disgustata. – Sei sicuro che fosse lei?
– Ehi, mi prendi per scemo? –. Dracula si girò con aria sprezzante. Poi si lanciò un’occhiata alle spalle, rivolgendo un ghigno a Denny. – Ehi, se quella sventola è la tua ragazza, come mai non sai che lavora da Kenton’s?
Il pullman comparve dal nulla, brontolando e sobbalzando come i dinosauri dei film, e risparmiò a Denny l’imbarazzo di rispondere.
Quando Dawn scorse Denny, sorrise e gli fece cenno di avvicinarsi al banco. Andò dritto da lei e si ritrovò avvolto da una neb...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Prima Parte
- Seconda Parte
- Terza Parte
- Quarta Parte
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