Vengo a prenderti
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Vengo a prenderti

Paola Barbato

  1. 464 pagine
  2. Italian
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Vengo a prenderti

Paola Barbato

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Informazioni sul libro

Il caso più importante della sua vita piomba addosso all'agente Francesco Caparzo in maniera inattesa. Inseguiva lo stalker di una donna che da un anno cercava di aiutare, quando d'improvviso si era ritrovato in un vecchio capannone industriale sperduto nel nulla. Lì dentro, lo spettacolo agghiacciante di uno zoo privato, undici carrozzoni da circo che imprigionavano esseri umani in condizioni pietose, una gabbia vuota pronta ad accogliere la sua protetta e lo psicopatico responsabile di ogni cosa lì davanti a lui, armato. Un colpo di pistola sembra risolvere tutto, il colpevole ucciso, le vittime salve, Caparzo in procinto di essere incoronato eroe nazionale. Ma le cose non sono come appaiono.
Tra le vittime si nasconde un complice, forse addirittura la mente che ha organizzato tutto, che dall'ambulanza riesce a scappare, dileguandosi. La caccia all'uomo ha inizio, ma non esistono piste, niente tracce, la polizia insegue un fantasma. Caparzo capisce che la chiave dell'origine di tutto quel male sta proprio nel capannone e nelle sue vittime. Indaga i segreti di ciascuno, le colpe che vorrebbero nascondere, mette a nudo i lati più oscuri delle loro anime.
E mentre lui scava qualcun altro li perseguita con oggetti, simboli che solo il loro carnefice conosce. Prima capitano incidenti che la polizia considera trascurabili. Poi i sopravvissuti iniziano a morire. È tempo per Caparzo di mettere insieme i pezzi per evitare che il fantasma che sta inseguendo termini il suo lavoro. Paola Barbato ci conduce al cuore del male assoluto e ci gioca, deformandolo e restituendoci una verità diversa, scomoda, difficile da accettare, ma completamente priva di pregiudizi. E ci tiene in pugno, fino all'ultimo sconvolgente colpo di scena.

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Informazioni

ISBN
9788858524619

Parte Prima

Cecco

«Sta uscendo!»
«Eccolo!»
«Arriva! Arriva!»
I flash avevano illuminato a giorno la facciata del commissariato di Sassuolo. I due agenti usciti per primi avevano strizzato gli occhi, il terzo no. Aveva tenuto la testa bassa, un berretto calato sulle orecchie, le spalle a malapena coperte da un giubbotto troppo piccolo per lui, ma era l’unico che avevano trovato.
«Agente Caparzo! Agente Caparzo, guardi qui!»
Gli altri due si erano fatti da parte e lui era stato investito dalle luci, gli obiettivi, i continui richiami.
«Caparzo! Caparzo! Francesco! Che cos’ha da dire? Ha una dichiarazione da fare?»
Così lui aveva alzato gli occhi, limpidi, azzurrissimi, e aveva sollevato appena una mano. Subito si era fatto silenzio.
«Scusate. Non sono un uomo studiato, non sono bravo a parlare. Non vi devo dichiarare niente, non ho fatto niente che i miei colleghi al posto mio non facevano. Non mi pensate grande, ho fatto solo il mio lavoro.»
Era seguito un nuovo boato di voci e luci, ma lui non aveva indugiato e si era infilato nella ressa di corpi e telecamere, svettando su tutti, gigantesco. Quelle poche parole, umili e sgrammaticate, sarebbero bastate. Come già accaduto a un Papa che non conosceva bene la lingua e aveva chiesto con modestia di essere corretto, nella primavera del 2018 l’agente Francesco Caparzo con la sua umiltà era entrato nel cuore di tutti gli italiani. Fino al giorno prima veniva considerato dai colleghi del piccolo commissariato di Firenze in cui lavorava come un gigante innocuo, trasferito anni prima dalla Celere di Napoli per comportamenti violenti, ma sempre tranquillo alla sua scrivania, diligente, schivo. Quella notte di un febbraio veramente freddo, invece, si era trasformato in un eroe leggendario di cui si sarebbe parlato per anni e anni. Sulla carta non aveva il physique du rôle, a meno che non lo si volesse accostare a certi supereroi massicci, come Hulk o La Cosa: era un uomo di quasi cinquant’anni, enorme, taurino, i capelli rasati a zero e un’espressione bolsa negli occhi chiari, nascosti da tanta carne. Ma quella montagna d’uomo, da solo e armato esclusivamente della pistola d’ordinanza, aveva ucciso uno dei peggiori criminali della storia del paese e salvato nove delle sue vittime. Salito sulla volante che lo avrebbe riportato a casa, si era girato per guardare un’ultima volta la folla di giornalisti che lo avevano atteso per ore davanti a quel commissariato di provincia in cui aveva rilasciato il proprio memoriale. Era stato allora che qualcuno aveva scattato la foto che sarebbe poi diventata iconica, mostrata sempre per prima sui motori di ricerca. Il viso di tre quarti, le labbra tese, gli occhi che vagavano in cerca di qualcosa in un’espressione tra l’ispirato e il mistico. La foto giusta può fare molto. Può far dimenticare al popolo le origini modestissime, l’ignoranza e l’inadeguatezza a parlare in pubblico, le voci su trascorsi non proprio edificanti, le ombre sul proprio operato.
La gente ha sempre bisogno di eroi.
È per questo che crea i mostri.
«Ma stiamo scherzando? Un anno di indagini e quell’animale si prende tutti i meriti?»
L’ispettore Patrizio Ridenti, della Questura di Firenze, era a colloquio privato con il vice questore aggiunto Angelo Gambino. Quello che si era presentato come il più grande caso di omicidio, sequestro di persona plurimo e sevizie degli ultimi trent’anni era scoppiato loro in faccia cogliendoli del tutto impreparati. A peggiorare la situazione c’era il fatto di essere stati messi in ombra da un loro agente, che in teoria non avrebbe dovuto avvicinarsi nemmeno per sbaglio a un caso simile.
«Caparzo è un eroe come io sono una ballerina! È ignorante come la malta, non sa nemmeno parlare in italiano, si esprime in una lingua tutta sua. Un passacarte che non aveva nessuna idea di quello che stava facendo.»
Gambino fece cenno a Ridenti di abbassare la voce.
«Tu hai ragione, Patrizio. Ma ormai è andata così.»
«Andata così un cazzo! E non gli fanno nemmeno un richiamo? Tu lo sai come ci è arrivato, laggiù? Se ci mettiamo a scavare vedi quante magagne escono fuori, te lo dico io.»
«Ma noi non ci metteremo a scavare.»
Gambino cercava di restare calmo, quel caso era troppo importante, non sarebbero mai riusciti a ritagliarsene una fetta se alcuni, tra vittime e carnefici, non fossero stati proprio di Firenze. Per tenerselo stretto ci voleva estrema cautela.
«Caparzo lavora per noi e questo ci mette in una posizione di vantaggio.»
«Ma che lavora e lavora, sono anni che non fa un appostamento, un giro nella volante, sta sempre chiuso in ufficio.»
«Ce lo avete chiuso voi, in ufficio.»
«E cosa dovevamo fare? Ma lo sai i danni che ha fatto a Napoli? Lo sai che lo chiamavano “la Bestia”? Meglio tenerlo fuori dalla zona calda uno così, dammi retta.»
Gambino in realtà aveva saputo dell’esistenza di Francesco Caparzo solo quella mattina, quando era stato buttato giù dal letto da una telefonata del questore, a sua volta contattato da sfere più alte.
«Uno dei tuoi ha ammazzato un serial killer!»
gli aveva detto, e anche se la realtà non era proprio così la prima cosa che si era premurato di fare era controllare subito chi fosse quell’“uno dei suoi”, per non scoprire poi che pubblicava su Facebook foto imbarazzanti o che aveva passioni scomode. Invece Caparzo sui social proprio non esisteva e il primo giro di telefonate gli aveva restituito informazioni confortanti, confermate di fatto anche da Ridenti. Caparzo era un bifolco inoffensivo che, sì, in gioventù aveva commesso qualche sbaglio, ma ora si era dato una calmata e il suo sovrintendente lo descriveva come un elemento integerrimo, di una dirittura morale assoluta. Insomma, tutto sommato che il bifolco passasse per salvatore della patria non era neanche un male.
«Direi che così come siamo messi non abbiamo alternative. Ci teniamo Caparzo eroe e andiamo avanti.»
«Quello non è un eroe, Angelo» aveva insistito un’ultima volta l’ispettore.
«Ma li ha trovati lui, Patrizio. Non tu, non io, non chiunque sia passato per quelle strade di campagna negli ultimi sei anni. Settantadue mesi che questa storia andava avanti e non se n’era accorto nessuno. Dodici fascicoli d’indagine aperti, appelli in tv, persino un libro, e non un’anima che avesse mai sospettato che fossero lì. E ci starebbero ancora, se non fosse stato per lui.»
«È stato un caso, li ha trovati per sbaglio, gli è andata di culo!» borbottò Ridenti.
«Esatto. E il culo era il suo. Fattene una ragione, Patrizio, Francesco Caparzo è l’uomo del momento, e tu non puoi farci niente.»
Aggio sbagliato.
Non aveva bisogno di andare alla finestra e di guardare in strada per sapere che erano ancora tutti lì ad aspettarlo, facendo domande ai vicini e fotografando il campanello. Erano così, i giornalisti, prevedibili, facevano sempre le stesse cose. Se avesse voluto sarebbe potuto uscire dai garage o dal retro del caseggiato, se ne sarebbero accorti troppo tardi, bastava accendere una luce in casa, magari in bagno, per far calare l’attenzione. Ma non gli importava niente di loro, non di sfuggirgli, non di parlarci, per lui questa ondata di fama e di gloria non era niente.
Aggio sbagliato.
Francesco Caparzo era solo un agente e sarebbe rimasto un agente per tutta la vita, non c’erano margini di carriera per quelli come lui, non aveva né i titoli né lo stato di servizio necessario. Non che fosse un problema, della carriera non gliene importava niente. Tutti avevano sempre creduto che avesse il destino scolpito addosso, figlio di delinquenti, cresciuto nell’ignoranza, la violenza come unico linguaggio conosciuto, c’era una sola strada. E invece no, Caparzo aveva deciso di essere altro, era entrato a fatica nella divisa da poliziotto e ancor più in un codice di regole che non riusciva a capire, perché sapeva che era tutta una questione di volontà. Poteva essere e poteva diventare. Non era andata sempre bene, si era guadagnato quel soprannome banale, “la Bestia”, ma aveva imparato ad aggiustare il tiro, a gestire una natura di cui sentiva di non avere alcuna colpa, ad abbandonare il manganello e abbracciare la macchina da scrivere, in attesa che arrivasse qualcosa per lui, l’occasione di dimostrare che poteva essere diverso. Non aveva ambizioni di pezzi di carta o stellette, lui voleva ciò che gli era stato negato da sempre: la stima, il rispetto, l’ammirazione. Voleva che quando la gente lo guardava non vedesse un energumeno capace di stritolargli il collo con una mano, ma un esempio, un modello, un’ispirazione. Francesco Caparzo voleva essere un eroe.
Aggio sbagliato.
Aveva aspettato, giorni, mesi, anni. Aveva visto i casi migliori sfilargli davanti, i colleghi uscire di corsa, le macchine partire mentre a lui veniva detta sempre la stessa cosa
«Tu resta qui a coprire l’ufficio».
Lui ci rimaneva, mai un commento, mai una lagnanza, sfruttava l’attesa per prepararsi a qualcosa di meglio, perché il suo momento sarebbe arrivato. E un giorno eccola: Marilena Bacarelli, una donna, ancora giovane, ancora bella. Era arrivata fino alla sua scrivania facendosi forza, con disperazione.
«Devo denunciare un caso di stalking» aveva detto.
Ma poi non ce l’aveva fatta, troppa paura, si era rialzata ed era scappata via.
Nessuno aveva visto niente, nessuno si sarebbe ricordato di lei.
Tranne Caparzo.
Quale eroe non ha bisogno di una fanciulla da salvare?
Era un segno, la sua occasione, un caso che, una volta risolto, lo avrebbe trasformato nell’uomo che voleva diventare. Così non aveva detto niente a nessuno, aveva rintracciato la donna e, senza i permessi e l’avallo dei superiori, si era fatto un’indagine in casa, lasciando da parte la Bestia e facendosi dare da lei un soprannome nuovo di zecca, Cecco. Uno schifo, ma andava meglio dell’altro. Pensava sarebbe stato uno scherzo, che gli ci sarebbero voluti un paio di pomeriggi liberi, invece ci era voluto quasi un anno.
Aggio sbagliato.
Per scoprire lo stalker aveva fatto diverse cose che non avrebbe dovuto fare. Cose che, se fossero state scoperte, lo avrebbero messo nei guai. Ma alla fine ci era arrivato, a perseguitare la donna era quel povero stronzo del fidanzato. Quando non stavano insieme aveva messo in piedi un bel teatro di messaggi e telefonate anonime per spaventarla, stando nascosto come un ratto, poi si era fatto avanti spacciandosi per il cavaliere che l’avrebbe protetta. Un gioco a due facce. Caparzo non era stato a chiedersi se fossero vere le cose con cui la spaventava, non gli importava. Lo teneva in pugno, il povero stronzo, lui e chiunque lo aiutasse, perché non poteva aver fatto tutto da solo....

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Stili delle citazioni per Vengo a prenderti

APA 6 Citation

Barbato, P. (2020). Vengo a prenderti ([edition unavailable]). EDIZIONI PIEMME. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3302802 (Original work published 2020)

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Barbato, Paola. (2020) 2020. Vengo a Prenderti. [Edition unavailable]. EDIZIONI PIEMME. https://www.perlego.com/book/3302802.

Harvard Citation

Barbato, P. (2020) Vengo a prenderti. [edition unavailable]. EDIZIONI PIEMME. Available at: https://www.perlego.com/book/3302802 (Accessed: 16 June 2024).

MLA 7 Citation

Barbato, Paola. Vengo a Prenderti. [edition unavailable]. EDIZIONI PIEMME, 2020. Web. 16 June 2024.