La gioia del cristiano
La gioia sia davvero la virtù del cristiano. Un cristiano è un uomo e una donna con gioia nel cuore. Non esiste un cristiano senza gioia.
Qualcuno potrebbe obiettare: «Ma, Padre, io ne ho visti tanti!», intendendo dire con ciò che non sono cristiani: dicono di esserlo, ma non lo sono, gli manca qualcosa.
La carta di identità del cristiano è la gioia, la gioia del Vangelo, la gioia di essere stati eletti da Gesù, salvati da Gesù, rigenerati da Gesù; la gioia di quella speranza che Gesù ci aspetta. E anche nelle croci e nelle sofferenze di questa vita, il cristiano vive quella gioia, esprimendola in un altro modo, ovvero con la pace che viene dalla sicurezza che Gesù ci accompagna, è con noi.
Il cristiano, infatti, vede crescere questa gioia con la fiducia in Dio. Egli sa bene che Dio lo ricorda, che Dio lo ama, che Dio lo accompagna, che Dio lo aspetta. E questa è la gioia.
Omelia a Santa Marta, 23 maggio 2016
Gioia e divertimento
Un cristiano vive nella gioia. Ma dov’è questa gioia nei momenti più tristi, nei momenti del dolore? Pensiamo a Gesù sulla Croce: aveva gioia? Eh no! Ma sì, aveva pace! Infatti la gioia, nel momento del dolore, della prova, diviene pace. Invece un divertimento nel momento del dolore diviene oscurità, diviene buio.
Ecco perché un cristiano senza gioia non è cristiano; un cristiano che vive continuamente nella tristezza non è cristiano. A un cristiano che perde la pace, nel momento delle prove, delle malattie, di tante difficoltà, manca qualcosa.
Non dobbiamo avere paura, ma gioia: non avere paura è chiedere la grazia del coraggio, il coraggio dello Spirito Santo; e avere gioia è chiedere il dono dello Spirito Santo, anche nei momenti più difficili, con quella pace che il Signore ci dà.
È ciò che accade nei cristiani, accade nelle comunità, nella Chiesa intera, nelle parrocchie, in tante comunità cristiane. Infatti ci sono comunità paurose, che vanno sempre sul sicuro: «No, no, non facciamo questo… No, no, questo non si può, questo non si può». A tal punto che sembra che sulla porta d’entrata abbiano scritto «vietato»: tutto è vietato per paura.
Così quando si entra in quella comunità l’aria è viziata, perché la comunità è malata: la paura ammala una comunità; la mancanza di coraggio ammala una comunità.
Ma anche una comunità senza gioia è una comunità ammalata, perché quando non c’è la gioia c’è il vuoto. No, anzi: c’è il divertimento. E così, in fin dei conti, sarà una bella comunità divertente, ma mondana, ammalata di mondanità perché non ha la gioia di Gesù Cristo. E un effetto, fra gli altri, della mondanità è quello di sparlare degli altri. Dunque, quando la Chiesa è paurosa e quando la Chiesa non riceve la gioia dello Spirito Santo, la Chiesa si ammala, le comunità si ammalano, i fedeli si ammalano.
Nella preghiera abbiamo chiesto al Signore la grazia di innalzarci verso il Cristo seduto alla destra del Padre. Proprio la contemplazione del Cristo seduto alla destra del Padre ci darà il coraggio, ci darà la gioia, ci toglierà la paura e ci aiuterà anche a non cadere in una vita superficiale e divertente.
Omelia a Santa Marta, 15 maggio 2015
Inno alla gioia
Scrive Pietro: «Sia benedetto il Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, ricreati, mediante la resurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce; essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rilevata nell’ultimo tempo» (Pt 1,3-5).
Sono parole in cui si percepisce lo stupore davanti alla grandezza di Dio, davanti alla rigenerazione che il Signore – in Gesù Cristo e per Gesù Cristo – ha fatto in noi. Ed è uno stupore pieno di giubilo, allegro; subito dopo, nel testo della lettera s’incontra la parola chiave, ovvero: «Perciò siete ricolmi di gioia».
La gioia di cui parla l’apostolo è duratura. Per questo aggiunge che, anche se per un po’ di tempo si è costretti a essere afflitti dalle prove, quella gioia dell’inizio non sarà tolta. Infatti essa scaturisce da quello che Dio ha fatto in noi: ci ha rigenerati in Cristo e ci ha dato una speranza.
Una speranza – quella che i primi cristiani dipingevano come un’àncora in cielo – che è anche la nostra. Da lì viene la gioia. E infatti Pietro concludendo il suo messaggio invita tutti: «Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa».
Omelia a Santa Marta, 23 maggio 2016
Il dono dello stupore
Possiamo vivere la gioia cristiana, lo stupore della gioia, e salvarci dal vivere attaccati ad altre cose, alle mondanità, soltanto con la forza di Dio, con la forza dello Spirito Santo.
Perciò chiediamo oggi al Signore che ci dia lo stupore davanti a lui, davanti a tante ricchezze spirituali che ci ha dato; e con questo stupore ci dia la gioia, la gioia della nostra vita e di vivere in pace nel cuore le tante difficoltà; e ci protegga dal cercare la felicità in tante cose che alla fine ci rattristano: promettono tanto, ma non ci daranno niente!
Ricordatevi bene: un cristiano è un uomo e una donna di gioia, di gioia nel Signore; un uomo e una donna di stupore.
Omelia a Santa Marta, 23 maggio 2016
La fonte della gioia
La fonte della nostra gioia sta in quel «desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva» (Evangelii gaudium, 24). Andate da tutti ad annunciare ungendo e a ungere annunciando. A questo il Signore ci invita oggi e ci dice:
– la gioia il cristiano la sperimenta nella missione: andate alle genti di tutte le nazioni;
– la gioia il cristiano la trova in un invito: andate e annunciate;
– la gioia il cristiano la rinnova e la attualizza con una chiamata: andate e ungete.
Gesù vi manda a tutte le nazioni. A tutte le genti. E in questo «tutti» di duemila anni fa eravamo compresi anche noi. Gesù non dà una lista selettiva di chi sì e chi no, di quelli che sono degni o no di ricevere il suo messaggio, la sua presenza. Al contrario, ha abbracciato sempre la vita così come gli si presentava. Con volto di dolore, fame, malattia, peccato. Con volto di ferite, di sete, di stanchezza. Con volto di dubbi e di pietà.
Lungi dall’aspettare una vita imbellettata, decorata, truccata, l’ha abbracciata come gli veniva incontro. Benché fosse una vita che molte volte si presenta rovinata, sporca, distrutta. A tutti, ha detto Gesù, a tutti andate e annunciate; a tutta questa vita così com’è e non come ci piacerebbe che fosse: andate e abbracciate nel mio nome. Andate agli incroci delle strade, andate… ad annunciare senza paura, senza pregiudizi, senza superiorità, senza purismi a tutti quelli che hanno perso la gioia di vivere, andate ad annunciare l’abbraccio misericordioso del Padre.
Andate da quelli che vivono con il peso del dolore, del fallimento, del sentire una vita spezzata e annunciate la follia di un Padre che cerca di ungerli con l’olio della speranza, della salvezza. Andate ad annunciare che gli sbagli, le illusioni ingannevoli, le incomprensioni, non hanno l’ultima parola nella vita di una persona. Andate con l’olio che lenisce le ferite e ristora il cuore.
Omelia, 23 settembre 2015
La gioia di evangelizzare
La comunità evangelizzatrice è sempre attenta ai frutti, perché il Signore la vuole feconda. Si prende cura del grano e non perde la pace a causa della zizzania. Il seminatore, quando vede spuntare la zizzania in mezzo al grano, non ha reazioni lamentose né allarmiste. Trova il modo per far sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova, benché apparentemente siano imperfetti o incompiuti.
Il discepolo sa offrire la vita intera e giocarla fino al martirio come testimonianza di Gesù Cristo, però il suo sogno non è riempirsi di nemici, ma piuttosto che la Parola venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice.
Infine, la comunità evangelizzatrice gioiosa sa sempre “festeggiare”. Celebra e festeggia ogni piccola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazione. L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella Liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene.
La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi.
Evangelii gaudium, 24
Domani la gioia!
Dobbiamo dirci la verità: non tutta la vita cristiana è una festa. Non tutta! Si piange, tante volte si piange! Le situazioni difficili della vita sono molteplici: per esempio, quando sei malato, quando hai un problema in famiglia, con i figli, con la figlia, la moglie, il marito. Quando vedi che lo stipendio non arriva alla fine del mese e hai un figlio malato e vedi che non puoi pagare il mutuo della casa e devi andartene via. Sono tanti i problemi che abbiamo. Eppure Gesù ci dice: non aver paura!
C’è anche un’altra tristezza: quella che viene a tutti noi quando andiamo per una strada che non è buona. O quando, per dirla semplicemente, compriamo, andiamo a comprare la gioia, l’allegria del mondo, quella del peccato. Con il risultato che alla fine c’è il vuoto dentro di noi, c’è la tristezza. E questa è proprio la tristezza della cattiva allegria.
Ma se il Signore non nasconde la tristezza, non ci lascia però soltanto con questa parola. Va avanti e dice: «Ma se voi siete fedeli, la vostra tristezza si cambierà in gioia».
La gioia cristiana è una gioia in speranza che arriva, ma nel momento della prova non la vediamo. È infatti una gioia che viene purificata per le prove, anche per le prove di tutti i giorni.
Dice il Signore: «La vostra tristezza si cambierà in gioia». Un discorso difficile da far comprendere!
Lo si vede, per esempio, quando vai da un ammalato, da un’ammalata che soffre tanto, per dire: «Coraggio, coraggio, domani tu avrai gioia!». Si tratta di far sentire quella persona che soffre come l’ha fatta sentire Gesù.
È un atto di fede nel Signore e lo è anche per noi quando siamo proprio nel buio e non vediamo nulla. Un atto che ci fa dire: «Lo so, Signore, che questa tristezza si cambierà in gioia. Non so come, ma lo so!».
Omelia a Santa Marta, 30 maggio 2014
Il seme della gioia
La Chiesa celebra il momento in cui il Signore se n’è andato e ha lasciato i discepoli soli. In quel momento forse alcuni di loro avranno sentito paura. Ma in tutti c’era la speranza, la speranza che quella paura, quella tristezza si cambierà in gioia.
E per farci capire bene che questo è vero, il Signore prende l’esempio della donna che partorisce: è vero, nel parto la donna soffre tanto, ma poi quando ha il bambino con sé si dimentica di tutto il dolore. E quello che rimane è la gioia, la gioia di Gesù: una gioia purificata nel fuoco delle prove, delle persecuzioni, di tutto quello che si deve fare per essere fedeli. Solo questa è la gioia c...