La profezia dei due Papi
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La profezia dei due Papi

Rivelazioni sulla fine della Chiesa ai tempi di Benedetto e Francesco

  1. 216 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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La profezia dei due Papi

Rivelazioni sulla fine della Chiesa ai tempi di Benedetto e Francesco

Informazioni su questo libro

Che cosa ha a che fare con le vicende attuali della Chiesa una beata mistica di due secoli fa, Katharina Emmerick, che vide la coesistenza di due papi? E perché a Fatima la veggente Lucia parlò del santo padre e di un vescovo vestito di bianco percepiti contemporaneamente come in uno specchio? E quanto le antiche profezie di Malachia fanno realmente riferimento ai pontefici dei nostri giorni, che da lui vengono definiti "gli ultimi"? In questo excursus documentatissimo le più significative rivelazioni relative ai tempi che stiamo vivendo vengono presentate in ogni dettaglio, mostrandone le strette correlazioni e chiarendone i risvolti.
In particolare, risultano di stupefacente attualità le profezie e le apparizioni mariane più recenti: da quelle italiane di Tre Fontane e Civitavecchia, a quelle europee di Amsterdam e Medjugorje, fino a quelle brasiliane di Anguera e Itapiranga, di Akita in Giappone e di Kibeho in Rwanda, per citarne solo alcune.
Tanti i campanelli d'allarme: il dilagare dell'apostasia, cioè il rinnegamento della fede da parte di sacerdoti e laici, l'espansione della massoneria e di una lobby gay fra gli ecclesiastici, e inoltre una cruenta persecuzione contro i cristiani culminante con l'assassinio del papa e un attentato terroristico in Vaticano.
Le mistiche e i mistici della storia, con una particolare accentuazione in Faustina Kowalska, Luisa Piccarreta e Maria Valtorta, hanno tuttavia ricevuto nelle loro visioni la conferma di quanto preannunciato a Fatima: dopo un periodo di gravi tribolazioni, la Chiesa rifiorirà.

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Informazioni

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IL SANTO PADRE E IL VESCOVO “BIANCO”

Fino al 13 marzo 2013, nella bimillenaria storia della Chiesa cattolica non si era mai verificato che convivessero pacificamente due papi, seppure uno regnante e uno emerito. Indubbiamente era accaduto anche in passato che un pontefice rinunciasse alla carica (nella mente di chiunque è ben presente il “gran rifiuto” che Dante attribuisce a Celestino V nel 1294, ma ce ne sono almeno altri cinque fra il 235 e il 1415), oppure che coesistessero fino a tre papi diversi. Però, nel primo caso, Celestino fu reso inoffensivo dal successore Bonifacio VIII, che lo tenne prigioniero fino alla morte nel castello di Fumone (Frosinone). Nel secondo, ciascuno definiva l’altro “antipapa” e soltanto duri provvedimenti di sovrani o di commissioni cardinalizie ebbero ragione delle discordie, talvolta dopo decenni di accese dispute.
Di fatto, che nei tempi contemporanei si potesse assistere alle “dimissioni” di un papa era considerata un’ipotesi soltanto accademica, sebbene esplicitamente prevista dal Codice di diritto canonico: «Nel caso che il romano pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti»1. Certo, in precedenza c’era stata la notizia di qualche possibilità, come quando Pio XII, durante la Seconda guerra mondiale, preparò una lettera che avrebbe consentito ai cardinali di indire il conclave per l’elezione di un nuovo papa nel caso in cui Hitler lo avesse fatto arrestare e condurre oltre le mura di Roma. Mentre Giovanni XXIII, dopo la crisi emorragica del 27 novembre 1962, si confrontò sull’eventuale rinuncia con il confessore monsignor Alfredo Cavagna, ma la rapida evoluzione della patologia tumorale, che sei mesi più tardi lo condusse alla morte, non gli fece portare avanti l’idea.
Di Paolo VI e Giovanni Paolo II conosciamo i testi che sottoscrissero, rispettivamente nel 1965 e nel 1989, con la seguente dichiarazione: «Nel caso di infermità, che si presuma inguaribile, di lunga durata, e che mi impedisca di esercitare sufficientemente le funzioni del mio ministero apostolico, – ovvero nel caso che altro grave e prolungato impedimento a ciò sia parimente ostacolo, – di rinunciare al mio sacro e canonico officio, sia come vescovo di Roma, sia come capo della santa Chiesa cattolica»2. Però papa Wojtyla aggiunse nel 1994 che, all’infuori delle citate ipotesi, «avverto come grave obbligo di coscienza il dovere di continuare a svolgere il compito a cui Cristo Signore mi ha chiamato, fino a quando egli, nei misteriosi disegni della sua Provvidenza, vorrà»3. E il professor Gianfranco Fineschi, prima di operarlo per una frattura al femore, si sentì dire: «Professore, io e lei abbiamo un’unica scelta: lei mi deve curare e io devo guarire, perché non c’è posto per un papa emerito»4. Il cardinale Julián Herranz, all’epoca presidente del pontificio consiglio per i Testi legislativi, fu interpellato riguardo alla problematica della rinuncia papale e, il 17 dicembre 2004, ebbe una conversazione con il segretario di Giovanni Paolo II, l’allora monsignore Stanislaw Dziwisz, il quale gli confidò che «il papa – che personalmente è molto distaccato dalla carica – vive abbandonato alla volontà di Dio. Si affida alla divina Provvidenza. Inoltre, teme di creare un pericoloso precedente per i suoi successori, perché qualcuno potrebbe rimanere esposto a manovre e sottili pressioni da parte di chi desiderasse deporlo»5.
Cosicché, quando il giornalista Antonio Socci, il 25 settembre 20116, lanciò per primo lo scoop che papa Ratzinger stava meditando di rinunciare al ministero petrino, aggiungendo il giorno seguente che «la sua “stanchezza” non ha motivazioni fisiche, deriva piuttosto dalle amarezze e dalle sofferenze che gli provocano coloro che più di tutti dovrebbero seguirlo, obbedirgli e aiutarlo!»7, la reazione di vaticanisti ed esponenti ecclesiastici fu di stupore, quando non di derisione. A nessuno venne in mente di prendere sul serio quanto Benedetto XVI aveva risposto soltanto l’anno precedente all’intervistatore Peter Seewald, all’interrogativo se lo scandalo degli abusi sessuali del clero gli avesse fatto pensare alle dimissioni: «Quando il pericolo è grande non si può scappare. Ecco perché questo sicuramente non è il momento di dimettersi. È proprio in momenti come questo che bisogna resistere e superare la situazione difficile. Questo è il mio pensiero. Ci si può dimettere in un momento di serenità, o quando semplicemente non ce la si fa più. Ma non si può scappare proprio nel momento del pericolo e dire: “Se ne occupi un altro”. Quindi è immaginabile una situazione nella quale lei ritenga opportuno che il papa si dimetta? Quando un papa giunge alla chiara consapevolezza di non essere più in grado fisicamente, psicologicamente e mentalmente di svolgere l’incarico affidatogli, allora ha il diritto, e in alcune circostanze anche il dovere, di dimettersi»8.
L’11 febbraio 2013 la comunicazione della rinuncia rappresentò realmente un “fulmine a ciel sereno”, secondo l’immediata definizione del cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio cardinalizio, che la sera stessa fu plasticamente confermata dal cielo mediante la folgore che colpì la cupola della basilica di San Pietro, immortalata dal fotoreporter Alessandro Di Meo dell’agenzia Ansa9. Sulle problematiche canonistiche e sui dubbi teologici connessi alla dichiarazione di papa Ratzinger sono già state scritte molte pagine10, per cui non approfondiamo la questione, anche se è facile rilevare che la rinuncia sottoscritta da papa Montini e papa Wojtyla al «sacro e canonico officio, sia come vescovo di Roma, sia come capo della santa Chiesa cattolica» non è altrettanto definita (e definitiva) nell’affermazione di papa Ratzinger di rinunciare al «ministero di vescovo di Roma, successore di San Pietro».
Secondo il canonista don Stefano Violi, Benedetto XVI «riscontrando la propria incapacità ad amministrare bene il ministero affidatogli, dichiara di rinunciare al ministerium. Non al papato, secondo il dettato della norma di Bonifacio VIII; non al munus secondo il dettato del canone 332 § 2, ma al ministerium, o, come specificherà nella sua ultima udienza, all’“esercizio attivo del ministero”»11. Una opinione rinforzata dalle considerazioni dell’arcivescovo Georg Gänswein, segretario personale di papa Ratzinger: «Dall’11 febbraio 2013 il ministero papale non è più quello di prima. [...] Dall’elezione del suo successore Francesco il 13 marzo 2013 non vi sono dunque due papi, ma de facto un ministero allargato, con un membro attivo e un membro contemplativo. Per questo Benedetto XVI non ha rinunciato né al suo nome, né alla talare bianca. Per questo l’appellativo corretto con il quale rivolgerglisi ancora oggi è “santità”; e per questo, inoltre, egli non si è ritirato in un monastero isolato, ma all’interno del Vaticano, come se avesse fatto solo un passo di lato per fare spazio al suo successore»12.
Comunque, dopo l’elezione di Francesco e il ritorno in Vaticano di Benedetto XVI, la coesistenza delle due bianche figure durante incontri privati, ma anche in cerimonie pubbliche, è diventata un fatto quasi ordinario, al punto da generare inedite situazioni. Per esempio il duplice stemma che orna il monumento a san Michele arcangelo, inaugurato nei giardini vaticani il 5 luglio 2013, e la scritta sulla base del piedistallo: «Benedictus PP. XVI anno VIII / Franciscus PP. anno I / Michaeli Archangelo / Populi Dei Defensori Vaticanae Civitatis Patrono» (Papa Benedetto XVI nell’anno ottavo / Francesco nel primo anno / all’arcangelo Michele / al difensore del popolo di Dio e al patrono della Città del Vaticano).
Un’altra dimostrazione? Il compito della Guardia svizzera pontificia è quello di «vigilare costantemente sulla sicurezza della sacra persona del santo padre e della sua residenza»13, tanto che, nel momento in cui la sede di Pietro diventò vacante (alle ore 20 del 28 febbraio 2013), a Castel Gandolfo avvenne il passaggio formale di consegne, per quanto riguardava la sicurezza di Joseph Ratzinger, dalla Guardia svizzera al Corpo della gendarmeria14. Del tutto irrituale è sembrata perciò la presenza, durante il giuramento delle nuove reclute della Guardia svizzera il 6 maggio 2016, di due tamburi con lo stemma di Francesco e di uno con quello di Benedetto15. Soprattutto tenendo conto del fatto che sullo stemma di papa Bergoglio è assente il pallio, presente invece su quello di papa Ratzinger: un elemento decisamente non trascurabile nella simbologia vaticana, visto che, secondo la descrizione dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche, «fra le insegne liturgiche del sommo pontefice, uno dei più evocativi è il pallio fatto di lana bianca, simbolo del vescovo come buon pastore e, insieme, dell’Agnello crocifisso per la salvezza dell’umanità»16. E, per di più, considerando che Francesco normalmente non ha, all’anulare della mano destra, il tradizionale “anello del pescatore” – forgiato in argento dorato su disegno dello scultore Enrico Manfrini e raffigurante san Pietro con le chiavi del Regno – bensì l’anello in argento, con incisa una croce, che porta da quando venne consacrato vescovo nel 1992. Mentre Benedetto XVI, dopo l’annullamento dell’anello pontificio con l’immagine di san Pietro pescatore di uomini, attualmente tiene al dito una copia dell’anello che Paolo VI donò nel 1965 ai padri del concilio Vaticano II, r...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. LA PROFEZIA DEI DUE PAPI
  4. Prologo. I richiami del cielo alla Chiesa in crisi
  5. 1. Il santo padre e il vescovo “bianco”
  6. 2. Un papa ferito e un altro ucciso
  7. 3. L’ultimo pontefice previsto da Malachia?
  8. 4. Un “falso papa”e l’”ultimo santo”
  9. 5. La Chiesa attaccata dal proprio interno
  10. 6. La grande apostasia di consacrati e laici
  11. 7. Satana è sciolto dalle sue catene
  12. 8. La persecuzione contro i cattolici
  13. 9. L’ombra massonica sulle lobby clericali
  14. 10. La salvezza sta fra due colonne
  15. Epilogo. La Chiesa alla fine rifiorirà
  16. Copyright