La notte tra sabato 25 e domenica 26 agosto 2018 su Dublino piove a dirotto. Mancano ormai poche ore alla messa conclusiva dell’Incontro mondiale delle famiglie, al Phoenix Park, prevista nel primo pomeriggio. Circa duecentomila persone sono in movimento per raggiungere l’area della celebrazione e percorrono lunghi tratti di strada senza alcun riparo, camminando nel fango. Papa Francesco, giunto in Irlanda la mattina di sabato per un viaggio difficile e segnato dallo scandalo degli abusi che ha ferito la Chiesa di questo Paese, sta per iniziare la sua giornata con una visita-lampo di qualche ora al santuario mariano di Knock, dove reciterà l’Angelus.
La sera precedente Bergoglio ha partecipato alla veglia con le famiglie e, mettendo più volte da parte il testo preparato, sollecitato dalle domande e dalle testimonianze, ha parlato a braccio definendo le famiglie «la speranza della Chiesa e del mondo». Ha indicato il ruolo chiave della famiglia per la società. Ha chiesto ai genitori di non attendere per battezzare i figli, ma di farlo «appena possibile». Ha parlato della bellezza dei legami duraturi accennando ai consigli già più volte dati agli sposi: ascolto reciproco, capacità di perdono, preghiera. Poco prima della veglia conclusiva della prima intensa giornata irlandese, Francesco si era intrattenuto per un’ora e mezza con otto vittime sopravvissute agli abusi sui minori commessi da preti e religiosi.
Alle 4.30 della mattina di domenica, al loro risveglio, i giornalisti che viaggiano con lui leggono sui loro smartphone una notizia divulgata in contemporanea da una rete mediatica connessa con la galassia conservatrice degli oppositori del papa: il «National Catholic Register»1 (del gruppo EWTN) e «LifeSiteNews» negli Stati Uniti, e in Italia il quotidiano «La Verità», il giornale online «La Nuova Bussola Quotidiana» e i blog personali dei giornalisti Marco Tosatti e Aldo Maria Valli. È un dossier di undici pagine, intitolato Testimonianza2, firmato dall’ex nunzio negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò, disponibile nella versione originale italiana e nelle traduzioni inglese e spagnola. Un documento choc con il quale l’ex diplomatico vaticano da due anni in pensione ricostruisce alcuni passaggi della vicenda di Theodore McCarrick, il cardinale arcivescovo di Washington dal 2000 al 2006, accusato di abusi sessuali su seminaristi adulti ma anche di aver abusato, quando era prete a New York, di un minore. La storia del cardinale è deflagrata all’inizio dell’estate: McCarrick è stato pesantemente sanzionato da papa Francesco che, dopo avergli intimato di vivere ritirato in preghiera in attesa della sentenza del processo canonico per l’abuso sul minore, senza attendere l’esito finale del procedimento, ha accolto le dimissioni del porporato dal collegio cardinalizio. Una rinuncia sollecitata dallo stesso pontefice. Erano novantuno anni che nella Chiesa cattolica non avveniva qualcosa del genere: un cardinale costretto a restituire la porpora.
Nel suo dossier Viganò accusa decine di alti ecclesiastici di avere coperto le malefatte di McCarrick, e attacca soprattutto papa Francesco, chiedendo le sue dimissioni.
L’ex nunzio, nato a Varese nel gennaio 1941, ordinato prete nel 1968, è una persona ben nota alle cronache. Dopo essere stato nunzio in Nigeria (1992-1998), ha ricoperto fino al 2009 l’incarico di delegato per le Rappresentanze pontificie in Segreteria di Stato: un ruolo di coordinamento e di raccordo per i flussi di informazioni che arrivano da ogni nunziatura apostolica del mondo. Nel 2009 è diventato segretario del Governatorato vaticano e si è scontrato con l’allora segretario di Stato Tarcisio Bertone. Nel 2011, Benedetto XVI decide di allontanarlo dal Vaticano e di inviarlo come nunzio apostolico negli Stati Uniti. L’anno successivo scoppia il primo Vatileaks, che vede protagonista Viganò: le sue lettere a Bertone e a papa Ratzinger sono infatti le prime ad arrivare sulle pagine dei giornali. Dopo l’elezione di Francesco, Viganò rimane al suo posto e accoglie il pontefice argentino in visita negli Stati Uniti nel settembre 2015. Nell’aprile dell’anno successivo, tre mesi dopo avere compiuto l’età canonica dei settantacinque anni, lascia la nunziatura di Washington e torna in Italia, da emerito.
I toni di Viganò sono severi, il contesto in cui inserisce la sua clamorosa requisitoria – atto senza precedenti non soltanto perché compiuto da un diplomatico che decide di violare il segreto pontificio, ma soprattutto perché si conclude con la richiesta al papa di lasciare il trono di Pietro – appare drammatico e collegato con quanto accaduto negli ultimi mesi: gli scandali della pedofilia clericale in Cile, la pubblicazione, pochi giorni prima del report del Grand Jury che ha indagato negli archivi delle diocesi della Pennsylvania portando alla luce orribili storie di abusi su minori accadute negli ultimi settant’anni.
«I vescovi degli Stati Uniti» scrive l’ex nunzio «sono chiamati, e io con loro, a seguire l’esempio di questi primi martiri che portarono il Vangelo nelle terre d’America, a essere testimoni credibili dell’incommensurabile amore di Cristo, via, verità e vita.
Vescovi e sacerdoti, abusando della loro autorità, hanno commesso crimini orrendi a danno di loro fedeli, minori, vittime innocenti, giovani uomini desiderosi di offrire la loro vita alla Chiesa, o non hanno impedito con il loro silenzio che tali crimini continuassero a essere perpetrati.
Per restituire la bellezza della santità al volto della Sposa di Cristo» continua Viganò «tremendamente sfigurato da tanti abominevoli delitti, se vogliamo veramente liberare la Chiesa dalla fetida palude in cui è caduta, dobbiamo avere il coraggio di abbattere la cultura del segreto e confessare pubblicamente le verità che abbiamo tenuto nascoste. Occorre abbattere l’omertà con cui vescovi e sacerdoti hanno protetto loro stessi a danno dei loro fedeli, omertà che agli occhi del mondo rischia di far apparire la Chiesa come una setta, omertà non tanto dissimile da quella che vige nella mafia.»
L’ex nunzio dichiara inoltre: «[…] ora che la corruzione è arrivata ai vertici della gerarchica della Chiesa la mia coscienza mi impone di rivelare quelle verità che con relazione al caso tristissimo dell’arcivescovo emerito di Washington Theodore McCarrick sono venuto a conoscenza nel corso degli incarichi che mi furono affidati, da san Giovanni Paolo II come delegato per le Rappresentanze pontificie dal 1998 al 2009 e da papa Benedetto XVI come nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America dal 19 ottobre 2011 a fine maggio 2016».
Inizia così il racconto di quanto Viganò ha visto nel suo ufficio della Segreteria di Stato in merito alla nomina di McCarrick. Nel suo racconto, documenti, lettere e date si mescolano a supposizioni e sospetti. «Come delegato per le Rappresentanze pontificie nella Segreteria di Stato, le mie competenze non erano limitate alle nunziature apostoliche, ma comprendevano anche il personale della curia romana (assunzioni, promozioni, processi informativi su candidati all’episcopato, ecc.) e l’esame di casi delicati, anche di cardinali e vescovi, che venivano affidati al delegato dal cardinale segretario di Stato o dal sostituto della Segreteria di Stato.»
L’ex nunzio spiega di volere rivelare ciò che sa e ciò che sospetta «per dissipare sospetti insinuati in alcuni articoli recenti», difendendo fin dall’inizio «i nunzi apostolici negli Stati Uniti, Gabriel Montalvo e Pietro Sambi, ambedue deceduti prematuramente», i quali «non mancarono di informare immediatamente la Santa Sede non appena ebbero notizia dei comportamenti gravemente immorali con seminaristi e sacerdoti dell’arcivescovo McCarrick».
E inizia la sua requisitoria citando la lettera del frate domenicano Boniface Ramsey, datata 22 novembre 2000, la quale «fu da lui scritta a richiesta del compianto nunzio Montalvo. In essa P. Ramsey, che era stato professore nel seminario diocesano di Newark dalla fine degli anni ’80 fino al 1996, afferma che era voce ricorrente in seminario che l’arcivescovo [McCarrick, N.d.A.] “shared his bed with seminarians”, invitandone cinque alla volta a passare il fine settimana con lui nella sua casa al mare. E aggiungeva di conoscere un certo numero di seminaristi, di cui alcuni furono poi ordinati sacerdoti per l’arcidiocesi di Newark, che erano stati invitati a detta casa al mare e avevano condiviso il letto con l’arcivescovo».
«L’ufficio che allora ricoprivo» continua Viganò «non fu portato a conoscenza di alcun provvedimento preso dalla Santa Sede dopo quella denuncia del nunzio Montalvo alla fine del 2000, quando segretario di Stato era il cardinale Angelo Sodano.
Parimenti, il nunzio Sambi [subentrato a Montalvo nella sede diplomatica di Washington alla fine del 2005, N.d.A.] trasmise al cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone una memoria di accusa contro McCarrick da parte del sacerdote Gregory Littleton della diocesi di Charlotte, ridotto allo stato laicale per violazione di minori, assieme a due documenti dello stesso Littleton, in cui raccontava la sua triste storia di abusi sessuali da parte dell’allora arcivescovo di Newark e di diversi altri preti e seminaristi. Il nunzio aggiungeva che il Littleton aveva già inoltrato questa sua memoria a circa una ventina di persone, fra autorità giudiziarie civili ed ecclesiastiche, di polizia e avvocati, fin dal giugno 2006, e che era quindi molto probabile che la notizia venisse presto resa pubblica. Egli sollecitava pertanto un pronto intervento della Santa Sede.»
Meglio ricapitolare quanto fin qui rivelato da Viganò. L’ex nunzio, che chiede le dimissioni del papa, afferma: nel novembre 2000 e poi nel 2006 i diplomatici della Santa Sede negli Stati Uniti – Montalvo nel primo caso, Sambi nel secondo – inviarono in Vaticano notizie o denunce contro McCarrick. «Nel redigere l’appunto su questi documenti» scrive ancora Viganò «che […] mi furono affidati il 6 dicembre 2006, scrissi per i miei superiori, il cardinale Tarcisio Bertone e il sostituto Leonardo Sandri, che i fatti attribuiti a McCarrick dal Littleton erano di tale gravità e nefandezza da provocare nel lettore sconcerto, senso di disgusto, profonda pena e amarezza e che essi configuravano i crimini di adescamento, sollecitazione ad atti turpi di seminaristi e sacerdoti, ripetuti e simultaneamente con più persone, dileggio di un giovane seminarista che cercava di resistere alle seduzioni dell’arcivescovo alla presenza di altri due sacerdoti, assoluzione del complice in atti turpi, celebrazione sacrilega dell’eucaristia con i medesimi sacerdoti dopo aver commesso tali atti.»
L’ex nunzio spiega che nell’appunto consegnato quello stesso 6 dicembre al suo diretto superiore, il sostituto Leonardo Sandri, aveva proposto di prendere nei confronti di McCarrick «un provvedimento esemplare che potesse avere una funzione medicinale, per prevenire futuri abusi nei confronti di vittime innocenti e lenire il gravissimo scandalo per i fedeli, che nonostante tutto continuavano ad amare e credere nella Chiesa. Aggiungevo che sarebbe stato salutare che per una volta l’autorità ecclesiastica avesse a intervenire prima di quella civile e se possibile prima che lo scandalo fosse scoppiato sulla stampa. Ciò avrebbe potuto restituire un po’ di dignità a una Chiesa così provata e umiliata per tanti abominevoli comportamenti da parte di alcuni pastori. In tal caso, l’autorità civile non si sarebbe trovata più a dover giudicare un cardinale, ma un pastore verso cui la Chiesa aveva già preso opportuni provvedimenti, per impedire che il cardinale abusando della sua autorità continuasse a distruggere vittime innocenti».
Non sappiamo quale fosse il testo esatto dell’appunto di Viganò, né se contenesse l’enfasi con cui oggi ne riferisce. In ogni caso, continua l’ex nunzio nella sua requisitoria, quel testo «del 6 dicembre 2006 fu trattenuto dai miei superiori e mai mi fu restituito con un’eventuale decisione superiore al riguardo».
Circa due anni dopo, quando Viganò è ancora il delegato per le Rappresentanze pontificie, giungono nuove notizie riguardanti McCarrick, che dal 2006 è arcivescovo emerito, dopo l’accettazione della sua rinuncia per limiti d’età accolta da Benedetto XVI.
«Intorno al 21-23 aprile 2008» informa l’ex nunzio «fu pubblicato in internet nel sito awrsipe.com lo Statement for Pope Benedict XVI about the pattern of sexual abuse crisis in the United States, di Richard Sipe. Esso fu trasmesso il 24 aprile dal prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, cardinale William Levada, al cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, e fu a me consegnato un mese dopo, il successivo 24 maggio 2008. Il giorno seguente consegnavo al nuovo sostituto Fernando Filoni il mio appunto, comprensivo del mio precedente del 6 dicembre 2006. In esso facevo una sintesi del documento di Richard Sipe, che terminava con questo rispettoso e accorato appello a papa Benedetto XVI: “I approach Your Holiness with due reverence, but with the same intensity that motivated Peter Damian to lay out before your predecessor, Pope Leo IX, a description of the condition of the clergy during his time. The problems he spoke of are similar and as great now in the United States as they were then in Rome. If Your Holiness requests I will submit to you personally documentation of that about which I have spoken”3.
Terminavo questo mio appunto ripetendo ai miei superiori che ritenevo si dovesse intervenire quanto prima togliendo il cappello cardinalizio al cardinale McCarrick e che gli fossero inflitte le sanzioni stabilite dal Codice di diritto canonico, le quali prevedono anche la riduzione allo stato laicale.»
Anche questo secondo intervento di Viganò, a detta dell’autore del dossier, non viene mai restituito «all’Ufficio del Personale e grande era il mio sconcerto nei confronti dei superiori per l’inconcepibile assenza di ogni provvedimento nei confronti del cardinale e per il perdurare della mancanza di ogni comunicazione nei miei riguardi fin da quel mio primo appunto del dicembre 2006».
Attenzione al paragrafo seguente, perché è uno dei tasselli importanti della ricostruzione dei fatti così come la offre l’accusatore del papa. «Ma finalmente seppi con certezza, tramite il cardinale Giovanni Battista Re, allora prefetto della Congregazione per i vescovi, che il coraggioso e meritevole Statement di Richard Sipe aveva avuto il risultato auspicato. Papa Benedetto aveva comminato al cardinale McCarrick sanzioni simili a quelle ora inflittegli da papa Francesco: il cardinale doveva lasciare il seminario in cui abitava, gli veniva proibito di celebrare in pubblico, di partecipare a pubbliche riunioni, di dare conferenze, di viaggiare, con obbligo di dedicarsi a una vita di preghiera e di penitenza.
Non mi è noto quando papa Benedetto abbia preso nei confronti di McCarrick questi provvedimenti, se nel 2009 o nel 2010» spiega Viganò «perché nel frattempo ero stato trasferito al Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, così come non mi è dato sapere chi sia stato responsabile di questo incredibile ritardo. Non credo certo papa Benedetto, il quale da cardinale aveva già più volte denunciato la corruzione presente nella Chiesa, e nei primi mesi del suo pontificato aveva preso ferma posizione contro l’ammissione in seminario di giovani con profonde tendenze omosessuali. Ritengo che ciò fosse dovuto all’allora primo collaboratore del papa, cardinale Tarcisio Bertone, notoriamente favorevole a promuovere omosessuali in posti di responsabilità, solito a gestire le informazioni che riteneva opportuno far pervenire al papa.»
«In ogni caso, quello che è certo» afferma categoricamente Viganò «è che papa Benedetto inflisse a McCarrick le suddette sanzioni canoniche e che esse gli furono comunicate dal nunzio apostolico negli Stati Uniti Pietro Sambi. Monsignor Jean-François Lantheaume, allora primo consigliere della nunziatura a Washington e Chargé d’Affaires a.i. dopo la morte inaspettata del nunzio Sambi a Baltimora, mi riferì quando giunsi a Washington – ed egli è pronto a darne testimonianza – di un colloquio burrascoso, di oltre un’ora, del nunzio Sambi con il cardinale McCarrick convocato in nunziatura: “la voce del nunzio” mi disse monsignor Lantheaume “si sentiva fin nel corridoio”. Le medesime disposizioni di papa Benedetto furono poi comunicate anche a me dal nuovo prefetto della Congregazione per i vescovi, cardinale Marc Ouellet, nel novembre 2011 in un colloquio prima della mia partenza per Washington fra le istruzioni della medesima Congregazione al nuovo nunzio.»
Dunque Viganò si dice certo, anzi certissimo, dell’esistenza di sanzioni canoniche che lui data nel 2009-2010, e delle quali gli parlarono prima il cardinale Re e poi il cardinale Ouellet. Quest’ultimo alla vigilia della partenza di Viganò per gli Stati Uniti.
«A mia volta» scrive ancora l’ex nunzio «le ribadii al cardinale McCarrick al mio primo incontro con lui in nunziatura. Il cardinale, farfugliando in modo appena comprensibile, ammise di aver forse commesso l’errore di aver dormito nello stesso letto con qualche seminarista nella sua casa al mare, ma me lo disse come se ciò non avesse alcuna importanza.
I fedeli si chiedono insistentemente come sia stata possibile la sua nomina a Washington e a cardinale e hanno pieno diritto di sapere chi era a conoscenza, chi ha coperto i suoi gravi misfatti. È perciò mio dovere rendere noto quanto so al riguardo, incominciando dalla curia romana.»
Da qui in poi, Viganò inizia a snocciolare molti nomi. «Il cardinale Angelo Sodano è stato segretario di Stato fino al settembre 2006: ogni informazione perveniva a lui. Nel nove...