Sviluppi e implicazioni
Data l’estrema difficoltà, l’impossibilità quasi,
di concepire l’universo, immenso e meraviglioso, incluso l’uomo,
con la sua capacità di guardare lontano verso il passato e verso il futuro,
come il risultato di un cieco caso o di una necessità
(as a result of blind chance or necessity).
CHARLES DARWIN, Autobiografia (1876)
Riassunto minimo
Possiamo a questo punto riassumere i punti salienti dell’attuale concezione del processo evolutivo in maniera più astratta e semiformalizzata.
Tutti gli esseri viventi attuali discendono dagli stessi esseri viventi primordiali attraverso una catena ininterrotta di generazioni. In ogni epoca le caratteristiche biologiche degli individui della stessa specie sono pressoché identiche e sono codificate dal loro patrimonio genetico. Questo però non è esattamente lo stesso in ogni individuo poiché in ogni specie c’è una continua comparsa di alterazioni genetiche più o meno significative.
Non tutti gli individui di una data specie hanno lo stesso successo riproduttivo, spesso anche in conseguenza delle caratteristiche biologiche del loro fenotipo, dettate dalla particolare forma di patrimonio genetico che costituisce il genotipo.
In genere quindi gli individui di una data generazione possono essere diversi da quelli della generazione precedente. Questa diversità può essere trascurabile e/o fluttuare in modo da lasciare le cose sostanzialmente immutate, oppure può assumere proporzioni cospicue e accumularsi per qualche generazione.
Gli individui di una data specie possono quindi acquisire nelle generazioni caratteristiche biologiche diverse e/o dare luogo a un certo numero di specie differenti.
La teoria dell’evoluzione biologica sta tutta qui, con l’aggiunta di alcune precisazioni:
1) La generazione della variazione genetica avviene prevalentemente mediante una mutazione, un evento sostanzialmente casuale.
2) Il successo riproduttivo differenziale dei vari individui può essere determinato o meno direttamente dal loro fenotipo. Quando ciò accade, e si tratta della grande maggioranza delle situazioni, si parla di selezione naturale, un’azione selettiva che l’ambiente esercita sui diversi individui di una stessa specie sulla base dei loro fenotipi.
3) C’è nel mondo scientifico una certa disparità di vedute sull’importanza relativa della selezione naturale rispetto a un complesso di processi biologici diversi che conducono ugualmente a una variazione nelle proporzioni relative degli individui di una data specie, ma in maniera sostanzialmente indipendente dal loro rispettivo fenotipo. Né l’una né l’altra componente possono però essere trascurate e la loro importanza relativa varia da un’epoca all’altra e da una situazione all’altra.
Questo è, in estrema sintesi, il messaggio biologico della teoria dell’evoluzione degli esseri viventi su questo pianeta. Se ce ne siano di diversi su altri pianeti di altri corpi celesti non lo sappiamo, ma essi potrebbero anche presentare caratteristiche diverse e seguire principi un po’ diversi.
Difficoltà psicologiche
Non c’è dubbio che tutto questo riesca un po’ difficile da accettare, per chiunque di noi. Il nostro cervello è fatto in una certa maniera – e proprio lo studio dell’evoluzione ci aiuta a capire perché – ed è fortemente portato a credere a certe cose e a diffidare di altre. Ha bisogno soprattutto di ritenere che qualsiasi cosa abbia una spiegazione in termini di cause e possibilmente di scopi. Tutto deve avere per noi una spiegazione. Ogni spiegazione che ci danno o che ci diamo, la accogliamo con una grande soddisfazione e un vero sollievo psicologico. Perché ne abbiamo bisogno.
Non possiamo vivere senza spiegazioni. Che sono poi di due grandi tipi: cosa ha causato o causerà un dato evento e con quale scopo ciò è accaduto o accadrà. L’esistenza di una causa, ma soprattutto di un fine, presuppone quindi quasi sempre per noi l’intervento di un agente animato, anche per spiegare l’origine del mondo e le vicende del processo evolutivo. È per noi uomini quasi una necessità fisica. Queste considerazioni chiariscono la nostra naturale inclinazione a credere all’esistenza di esseri e agenti sovrannaturali o preternaturali. Possiamo comprendere perché le cose stiano in questi termini? È evidente che la spiegazione, se c’è, deve essere cercata nelle pieghe dello stesso processo evolutivo che ha forgiato il nostro corpo e la nostra mente.
Lo stesso Darwin, del resto, si rese conto che l’uomo aveva la necessità di pensare che tutti gli eventi accadessero in un modo predeterminato e progettato ad hoc e in un passo dell’Autobiografia (per anni non pubblicato a causa della volontà censoria della moglie Emma che pregò il figlio di eliminarlo dal testo stampato) si può leggere che per gli uomini è «difficile liberarsi dalla fede in Dio, così come è difficile per una scimmia liberarsi dalla paura e dall’odio che nutre istintivamente per il serpente».
Si tratta di un’affermazione molto cruda e sofferta che testimonia della triste consapevolezza del grande naturalista. Nonostante la sua teoria fosse stata presentata da pochissimo, Darwin si rendeva conto perfettamente dell’opposizione contro cui si sarebbe dovuto scontrare. La sua risposta fu identica a quella che possiamo addurre ancora oggi: la resistenza alla teoria dell’evoluzione deriva essa stessa da ragioni evolutive e dalla intrinseca forma mentis umana.
Per poter controllare il proprio comportamento e renderlo adeguato alle mutevoli circostanze della vita, molti animali, e certamente gli esseri umani, hanno bisogno di rendersi conto di cosa causa un certo effetto e di che cosa si deve fare per ottenere un certo risultato. È parte integrante della loro percezione del mondo e della pianificazione del loro agire. Poiché noi siamo bravi in questo e abbiamo dimostrato di riuscire a cogliere le minime sfumature dei rapporti causali e della finalizzazione delle azioni, è naturale pensare che tutto questo sia particolarmente presente in noi, fin dalla nascita.
La psicologia cognitiva contemporanea mostra come queste nostre convinzioni in larga parte innate vengano progressivamente alla ribalta negli anni della nostra infanzia e possano però anche essere «educate» e modificate sulla base delle esperienze di vita cui ciascuno di noi va incontro. Il bambino possiede già a pochi mesi di vita una propria idea della causalità e della necessità di un agente causale per generare un movimento, mentre occorre aspettare fino ai tre o quattro anni perché concepisca l’idea di finalità e la attribuisca a un agente dotato di mente e di possibilità di progettazione (e di simulazione). Ciò fa parte, a quanto pare, dell’ordine naturale delle cose. È interessante notare che alcuni malati di Alzheimer possono perdere la nozione di causalità, senza perdere quella di finalità.
Il complesso di queste disposizioni e di questi atteggiamenti mentali si adatta alla perfezione al mondo nel quale viviamo, e soprattutto a quello nel quale vivevano i nostri antenati di qualche decina di migliaia di anni fa. Ma estenderlo a eventi che si dispiegano su scale spaziali e temporali incommensurabili con quelle alle quali siamo abituati a vivere è quantomeno arbitrario, anche se appare comprensibile. La causa e lo scopo del tutto non sono la stessa cosa della causa e dello scopo di singoli eventi del nostro mondo.
Uno di questi potrebbe essere che la fede in un essere superiore che ci segue dall’alto e può giudicarci favorisca il comportamento altruistico, o almeno non troppo egoistico, necessario per lo sviluppo di una vita sociale, della quale noi abbiamo particolarmente bisogno. Il secondo punto potrebbe essere che la fede in una qualche forma di sopravvivenza, del corpo o di una parte di esso, aiuti a superare il terrore della fine, fondamentale per noi che siamo gli unici animali a sapere che moriremo. Ciascuna di queste due convinzioni, se ben radicata, costituisce un fattore che favorisce la sopravvivenza, nostra e dei nostri antenati.
Non è detto che questi siano effetti collaterali di una sola spinta evolutiva primaria o che non costituiscano piuttosto essi stessi potenti spinte evolutive indipendenti e concorrenti, recanti ciascuna un suo vantaggio. A tutto questo va aggiunto il fatto che noi viviamo come «cuccioli» o giovani adulti per tanto tempo e ci aspettiamo sempre, più o meno inconsapevolmente, che qualcuno ci accudisca, o almeno pensi a noi e non ci ignori. È indubbia d’altra parte la nostra inclinazione a volerci sentire «pensati» da qualcuno, qualcuno che sia vivo, sollecito e dotato di progettualità.
Dati questi presupposti, non può che risultarci ostico accettare la teoria dell’evoluzione oggi corrente. Troppa è la nostra naturale diffidenza, se non addirittura avversione, nei riguardi delle semplici e lineari formulazioni del darwinismo e del neodarwinismo. Fin dall’inizio, sono esistite, ed esistono, numerose resistenze psicologiche all’accettazione di tale teoria. Da una parte, ciò meraviglia ben poco: tutte le novità scientifiche di un certo rilievo, infatti, hanno sempre suscitato scetticismo e ostilità. Gli altri due esempi che vengono in mente, la teoria della relatività e la meccanica quantistica, riguardano però concetti e processi molto lontani dalla nostra quotidianità e dalla nostra capacità di comprensione. Le critiche che queste teorie hanno suscitato, e sono state spesso roventi, si devono ricondurre ad alcuni scienziati, molti filosofi o una parte ristretta e selezionata della popolazione.
Per quanto riguarda la teoria dell’evoluzione, al contrario, tutti sono convinti di essere competenti a giudicarne la bontà o l’inadeguatezza, convinti di sapere che cosa si intenda con i termini variazione, selezione o adattamento anche senza averne spesso la più pallida idea. Il risultato è che la resistenza passata e presente nei confronti della teoria dell’evoluzione ha assunto contorni piuttosto veementi. Un fenomeno che deriva da seri motivi psicologici che fanno appello alla parte più intuitiva e istintiva dell’uomo: molte persone troveranno infatti la teoria dell’evoluzione profondamente insoddisfacente, se non addirittura inaccettabile per vari motivi.
Un aspetto che peggiora ulteriormente la situazione è legato al fatto che nel momento in cui le idee di Darwin sono nate e si sono sviluppate – ma, sostanzialmente, ancora oggi – si confondeva spesso per ragioni culturali l’idea di evoluzione con quella di progresso. Nel Settecento si era convinti che la storia dell’uomo non potesse che svilupparsi secondo una precisa evoluzione: un cambiamento nel tempo che conduceva a un continuo miglioramento.
L’idea che la vicenda umana sia caratterizzata da un progresso costante e continuo è opinabile, ma è indubbio che in questo campo molti miglioramenti ci sono stati. Quello di cui invece possiamo essere certi è che l’evoluzione biologica non possiede tale caratteristica, come abbiamo già detto più volte, ma si tratta di una convinzione che è ancora oggi molto radicata nel pensiero comune.
L’obiezione più frequente alla teoria dell’evoluzione riguarda poi il ruolo del caso: già protagonista nella primitiva formulazione darwiniana, ha acquistato una rilevanza sempre maggiore con il passare del tempo. Tutto, o quasi, nella teoria dell’evoluzione di oggi è opera del caso. In realtà è l’ambiente che ha l’ultima parola sulle proposte derivanti dal caso, ma senza dubbio le offerte e le novità si possono definire, in assenza di una denominazione migliore, con il termine «casuali». Un aggettivo che non piace e che crea un’istintiva avversione anche quando è riferito alla genetica o alla storia o alla cultura in genere, senza che ci si renda conto del fatto che escludendo il caso non esisterebbe la libertà – l’alternativa è infatti il determinismo assoluto, in virtù del quale non saremmo affatto liberi – ma queste sono sottigliezze su cui pochi riflettono.
Rimanendo in Italia e in un ambito cattolico, qualche anno fa Giovanni Paolo II dichiarò pubblicamente che la teoria dell’evoluzione non doveva più essere considerata un’ipotesi, ma una realtà. Nel 1996, infatti, il Pontefice ebbe a dire:
Nella sua Enciclica Humani generis (1950) il mio predecessore Pio XII aveva già affermato che non vi era opposizione fra l’evoluzione e la dottrina della fede sull’uomo e sulla sua vocazione, purché non si perdessero di vista alcuni punti fermi. […] Oggi, circa mezzo secolo dopo la pubblicazione dell’Enciclica, nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno di nota il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere. La convergenza non ricercata né provocata, dei risultati dei lavori condotti indipendentemente gli uni dagli altri, costituisce di per sé un argomento significativo a favore di questa teoria.
Si trattava quindi di una sostanziale accettazione dell’idea darwiniana che stupì non poco il mondo protestante. Per quanto riguarda la nascita dell’uomo, nel documento si affermava però che si era di fronte a un «salto ontologico». Difficile capire cosa si intende con questa affermazione, ma rimane un indizio importante di un atteggiamento generale: pur in un momento di grande apertura, la Chiesa cattolica ha inteso distinguere l’evoluzione di piante e animali da quella dell’essere umano.
È un’impostazione comprensibilissima, non solo per le ragioni appena elencate, ma anche per una semplice questione di orgoglio, di prestigio o di temuta «lesa maestà». La scienza ha infatti gradualmente demolito ogni sicurezza dell’uomo, che è stato quindi detronizzato dal suo ruolo privilegiato al centro del mondo e dell’universo: prima con la scoperta che la Terra non è che uno dei tanti pianeti a girare attorno a una delle tante stelle e poi con l’idea che l’essere umano sia soltanto un animale tra altri.
Non ci si rende conto che anche se è un animale, l’uomo rimane l’unico essere vivente ad aver compreso tutto questo e a essere in grado di comunicarlo: discendiamo quindi da un lombrico e più recentemente da un quasi scimmione, ma siamo comunque qualcosa di assai diverso. Dal mio punto di vista dovremmo essere più che soddisfatti, osservando a cosa siamo giunti muovendo da «un inizio tanto semplice» (from so simple a beginning), come affermò Darwin stesso alla fine dell’Origine delle specie. Ognuno però, evidentemente, ragiona a modo suo.
Le critiche non scientifiche
Il complesso di tali formidabili difficoltà psicologiche ha alimentato nel corso degli anni tutta una serie di critiche non scientifiche alla teoria dell’evoluzione. Critiche che si sono recentemente infittite. Tutte le resistenze che abbiamo elencato, insieme alle tante che non abbiamo considerato, ma che sono state prese in considerazione in analisi sociologiche, psicologiche e storiche, hanno portato a un vero e proprio consolidamento dell’opposizione alla teoria dell’evoluzione che, per assurdo, si è manifestata sempre più forte in tempi recenti. Un fenomeno derivante anche dalla nascita di correnti di pensiero specifiche e ben precise, e di due in particolare: il creazionismo e il cosiddetto Intelligent Design.
Quello che è certo è che secondo i sostenitori di questo punto di vista non esiste alcuna necessità di pensare a un’evoluzione delle specie viventi. L’idea fondamentale è che tutte le specie esistenti oggi (compreso, ovviamente, l’essere umano) sono state create separatamente e individualmente dal Creatore. Si tratta di una posizione confessionale, il cui unico argom...