Destino
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Destino

  1. 400 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Marzo 1946. Su una lussuosa Aprilia con autista, Mrs. Giulia Masca fa ritorno a Borgo di Dentro: quarantasei anni prima, sola, incinta e senza soldi, aveva detto addio alle campagne piemontesi imbarcandosi su un piroscafo alla volta di New York. Nella filanda che l'ha vista operaia bambina il tempo dei geloni alle mani e delle guerre con i padroni si era compiuto e in mezzo alla folla di Manhattan, tra i grattacieli e il profumo di hot dog, per Giulia era iniziata una nuova vita: un marito titolare di un alimentari nel cuore di Little Italy, un figlio, un piccolo impero commerciale. L'America le aveva regalato il riscatto che aveva sempre sognato. Ma il passato la tormenta. Che ne è stato di sua madre Assunta? Dell'amica Anita Leone e della sua vivace famiglia di mezzadri? Che fine ha fatto Pietro Ferro, il fidanzato che Giulia ha abbandonato senza una parola di spiegazione quasi mezzo secolo prima? Mentre lei era lontana, le colline intorno al Borgo di Dentro e i suoi abitanti sono stati protagonisti di due guerre mondiali, dell'avvento del fascismo e della lotta per la liberazione. Di battaglie, di amori e di speranze. Quando Giulia torna in Italia, non può che guardare quei luoghi e quei volti con altri occhi se vuole chiudere i conti con il passato.
Raffaella Romagnolo compone un romanzo magistrale, la storia di una donna coraggiosa che non ha mai dimenticato le sue radici, perché neanche un oceano può cancellarle. Questa è la storia di chi parte ma anche quella di chi resta. La storia dell'Italia del Novecento.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
Print ISBN
9788817104814
eBook ISBN
9788858694879
Argomento
Literature

LIBRO TERZO

Altri personaggi

Gabriele Musso
Originario di Santo Stefano Belbo, ha frequentato la Scuola Enologica di Alba ed è esperto di viticoltura.
I cani
Nuxe è la cagnetta di Giacomo Leone. Gran cercatrice di tartufi, ha ereditato il nome dalla vecchia cagnetta di Primo.
Amadeus e Gelida Manina sono i due Weimaraner che vivono a Villa Franzoni.
Trifula è il cane di Adelaide Franzoni. Porta lo stesso nome del cane di Nico.

Capitolo settimo

Balli, veglioni e veglionissimi. Nelle aie, sul piaso, a palchetto, l’inverno nelle sale della città nuova. Poi riffe, giochi a premi, spettacoli di varietà, illusionisti e lanciatori di coltelli, esibizioni della filodrammatica e pellicole a lungo metraggio, col pianista o l’orchestrina. Quindi giacche da spazzolare, camicie da stirare, colletti da inamidare, cravatte da annodare e, al ritorno, rossetto da smacchiare: ogni sabato sera i vent’anni di Carlo e Filippo Leone buttano all’aria cassetti, spalancano armadi, attraversano Cascina Leone come un vento.
Linuccia li guarda avviarsi sbarbati, profumati e impomatati e pensa a Nico. Cerca di reprimere la gioia feroce che le stringe la gola, che riconosce identica negli occhi di Giuseppe Garibaldi, ma non ci riesce: non i miei figli, non io.
Anche Terzo le pare al sicuro. Dall’Argentina manda cartoline trapunte di esclamativi:
Da Buenos Aires. Cibo abbondante! Vi saluta il vostro affezionato Leone Terzo.
Da Buenos Aires. Trovato letto e minestra da un calzolaio di Voltri! Sempre vostro devotissimo Leone Terzo.
Da Rosario. Qui l’inverno è estate. Paga buona! Il vostro Leone Terzo vi pensa sempre.
Da Rosario. Vacche grandi come carri! Vostro affezionato figlio e nipote Leone Terzo.
Da Rafaela. Ieri sera bagna cauda da un vicino! Nell’orto cipolle, patate, aglio e un filare di barbatelle! Paga eccellente!!! Con immutato affetto, il vostro Leone Terzo.
La morte in casa, la vita tutt’intorno sembra esplodere. Pur di partecipare alle prove della banda, dove non mancano sovversivi, disfattisti, pusillanimi e nemici della Patria, Filippo Leone ha chiesto a Primo di insegnargli a suonare la tromba. Imparati i primi rudimenti, una sera si sono trovati in quattro, un socialista e tre comunisti, tutti sotto i venticinque anni, e si sono divisi le battute dell’Internazionale: due al clarinetto, due al trombone, due al flicorno, tre alla tromba e via di seguito. Nella stalla di Cascina Leone provano più l’inno rivoluzionario che il repertorio, composto dalla Marcia Reale, Noi vogliam Dio, La canzone del Piave, Giovinezza e fantasie dalla Carmen, dall’Aida e dal Barbiere di Siviglia.
Prima di ogni esibizione, nella baraonda dell’accordatura, i quattro giovani attaccano le note dell’inno, passandoselo l’un l’altro come la palla i giocatori di calcio, da professionisti, senza un segno d’intesa. La prima volta è a San Giovanni, in avvio di processione: mezza strofa e poi perdono il filo. Suonano una strofa intera all’inaugurazione della nuova scuola elementare, del Monumento ai Caduti, del viale delle Rimembranze, delle colonie estive elioterapiche, e prima delle partite di tamburello nel nuovo Sferisterio, o ancora per il Natale di Roma, alle feste vendemmiali organizzate dal Fascio, alle manifestazioni dell’Opera Nazionale Dopolavoro, e più avanti, ormai espertissimi, alle infinite cerimonie in piazza della Loggia Vecchia divenuta piazza Impero. Per la visita del Federale di Alessandria, aggiungono anche la seconda strofa, e in gustose varianti ripropongono la musica proibita in faccia al podestà, al vescovo, al parroco e al segretario del Fascio. Ogni tanto qualcuno solleva un dubbio: non s’è mai vista una banda che impiega così tanto tempo ad accordare gli strumenti. E poi quei suoni… Tra la folla, chi sa – pochissimi – canticchia a mente.
Compagni, avanti! Il gran partito noi siamo dei lavorator.
Rosso un fiore in petto c’è fiorito
una fede ci è nata in cuor.
Primo Leone, dritto come un palo nella divisa da direttore, finge di non accorgersi di nulla, mentre flauti e saxofoni, se la melodia si fa trasparente, s’inseriscono con azioni di disturbo. Piatti e grancassa sottolineano il finale. Sulla strada di casa, nonno e nipote ridono come matti.
La vita preme, insomma. Un mattino di gennaio del 1924, Carlo Leone esce di casa prima dell’alba. Quando il sole è già alto, raggiunge Giuseppe Garibaldi nella vigna. Tiene per mano una ragazzetta bionda come paglia, occhi grigi, volto quadrato, niente seno e il sedere tondo come un’anguria. «Pastore Margherita, insomma Rita, molto lieta» dice.
Giuseppe Garibaldi la squadra. Sa chi è, la figlia maggiore di un mezzadro che gli va a genio, ma finge di non riconoscerla. Sa che tra quei due c’è qualcosa, una simpatia, un filarino intrecciato quando Carlo è stato congedato dalla leva. Gli sono arrivate voci, e adesso si presentano tenendosi per mano. «Ti aspettavo due ore fa» dice rivolto al figlio.
«Vogliamo sposarci.»
«Non se ne parla» risponde Giuseppe Garibaldi e riprende in mano il tralcio che stava potando. Zac. Eccoli qui, pensa. Zac. Freschi freschi. Zac. Zac. Come se Cascina Leone non fosse a lutto.
«Se non date il permesso, ce ne andremo.» Carlo ha il pianto in gola. Giuseppe Garibaldi smette di potare. Possibile che il più bello dei suoi figli sia innamorato di una ragazza tanto brutta? Senza alzare gli occhi dai tralci, dice: «Non prima di un anno. Minimo. Non ci pensi a Nico?».
«Ma non si può aspettare» interviene Rita Pastore con le guance in fiamme. Giuseppe Garibaldi la guarda, le guarda il ventre, poi guarda il figlio, poi rificca gli occhi sui rami. «Però niente festa» risponde burbero, col cuore nello zucchero.
Otto settimane dopo, prima della prima messa, Rita Pastore giura fedeltà a Carlo Leone davanti a Dio e a don Giuseppe Salvi, e neanche le magie sartoriali di Linuccia sono in grado di nascondere il meloncino che sul ventre bilancia il poderoso didietro.
Giuseppe Garibaldi è in prima fila, felice come un bambino la mattina di Natale, come non immaginava di poter essere dopo la prigionia a Königsbrück e il funerale di suo nipote. Al diavolo il prete! Mai stato più contento di trovarsi tra i banchi, canta perfino il Gloria e l’Alleluja. Non ha neppure preso in considerazione l’idea di aspettare fuori, con Primo, Filippo e il padre della sposa: non vuole perdersi la cerimonia che nel giro di qualche settimana lo renderà nonno.
Anita lascia agli sposi la camera che ha condiviso con Pietro Ferro, tanto sono più le notti che sta sveglia in cucina di quelle in cui resiste a letto. Giuseppe Garibaldi le costruisce una branda e un paravento, che Linuccia decora con scampoli, ritagli e nastri di seta avanzati nei lavori di fino per le clienti della città nuova.
Rita partorisce nel pieno dell’estate, un travaglio infinito nel caldo torrido, doloroso com’era stato quello di Anita, che continua ad assisterla quando i maschi di casa, terrorizzati dalle urla della puerpera e dalla tetraggine della levatrice, si sono già rifugiati all’osteria, quando i nervi hanno ceduto sia a Linuccia che alla madre della sposa, e anche quando la levatrice, spossata, decide infine di mandare a chiamare il dottor Costa: che tagli, perdio! Un bel taglio come si deve e sia finita, perché dopo vent’anni di mestiere, almeno ottocento parti e quasi altrettanti aborti, lei non sa più come schiacciare e premere e tirare per convincere questa creatura a fare il suo dovere di buon cristiano, venire al mondo e inghiottire la porzione di lacrime che il Padreterno gli ha destinato.
«Non v’azzardate a chiamare nessuno. Ce la faccio benissimo» ruggisce allora la ragazza.
Anita sorride, le bagna la fronte con una pezzuola fresca e comincia a intuire cosa abbia visto suo nipote in questa faccia larga e piatta come una focaccia.
Passano altre due ore, e quando finalmente il bambino viene fuori in un unico guizzo viscido, la levatrice non ha più bestemmie. Taglia il cordone, lo annoda, conta le dita delle mani e dei piedi, scuote il neonato finché questi non dà un urlo. «Maschio. Sano. E grandissima testa di cazzo» proclama sfinita. Poi lo mette in braccio ad Anita e si lascia andare su una sedia. Mezzo assopita, Rita mormora qualcosa, come stesse sognando. Quando apre gli occhi, vede Anita detergere incantata lo sporco di muco e sangue sul volto arrossato e silenzioso del bambino. Allora raccoglie il fiato e sussurra: «Come preferite che lo chiamiamo, zia? Pietro o Nico?».
Era un grande regalo, e fu Carlo a spiegarle il rifiuto di Anita. «Per lei sono vivi, capisci?» Poi le disse che quella del nome è faccenda serissima a Cascina Leone, che non si aspettasse di risolverla così, su due piedi, perché c’era da mettere tutti d’accordo, compreso lo zio prete e Terzo che stava dall’altra parte del mondo. Ci sarebbe voluto il suo tempo, anche se lui un’idea ce l’aveva.
«Che idea?» domandò la ragazza.
«Giacomo.»
Non le venne in mente nessun Giacomo, tra i Leone, e certo non tra i Pastore. «Giacomo?»
«Matteotti» rispose Carlo.
Rita impallidì, e cominciò a intuire con che razza di famiglia s’era imparentata. Poi guardò suo marito dritto negli occhi. «Mi piace» disse.
Anche Nino Bixio approvò la scelta, “e non penso né ai santi né agli Apostoli” scrisse. Terzo rispose a stretto giro con tre punti esclamativi. In onore del maestro divenuto bisnonno, al battesimo intervenne la banda e l’accordatura durò tre minuti abbondanti.
E Giacomo aveva appena compiuto due anni, quando Rita partorì una bella bambinona che, invece di farla soffrire, se ne venne fuori al volo e con tutta la placenta. Seduta stante, all’unanimità dei presenti, le si diede il nome di Rosa Maria: per l’energia con cui s’era fatta avanti – la Luxemburg! – e per gli occhi così celesti che neanche la Madonna. Della camicia con cui era nata, e che aveva riempito tutti di stupore, si sarebbero ricordati diciannove anni dopo.
Come l’acqua prende la forma del vaso, il Borgo di Dentro si adatta intanto alle novità. Le sarte si applicano alle divise da Balilla, Moschettiere, Avanguardista, Piccola Italiana e Giovane Italiana. Le mercerie offrono un ricco assortimento di spille col teschio, il pugnale, l’aquila, la M di Mussolini. Le botteghe della città nuova offrono pezze intere e scampoli di cotone lavorazione popeline oppure oxford, di colore nero brillante, anche tinto in filo per la clientela selezionata. A Carnevale, si fa a meno delle maschere, vietate dalla legge. Dei guai, non s’incolpa più il sindaco eletto dai cittadini, ma il podestà nominato con Regio Decreto. Devastata la tipografia, sottoposto a ripetuti sequestri e infine chiuso dal prefetto anche il «Corriere delle Valli», i viaggiatori trovano comunque l’orario dei treni sulla testata del nuovo giornale, in alto a sinistra accanto al fascio littorio. Se la cronaca nera, sgradita al regime, scompare dalle pagine, accoltellamenti e ruberie si verificano comunque. I falegnami intagliano moschetti in legno per i Figli della Lupa. Dipinti grigio fumo, ingannerebbero qualunque abissino, si dice. Il sabato pomeriggio bambini e ragazzi fanno la ginnastica premilitare allo Sferisterio, le ragazze ruotano il cerchio e le clavette nel cortile delle scuole elementari. Le espressioni “boia chi molla” e “me ne frego” sono sulla bocca di tutti, non sempre a proposito. I maschi vengono battezzati Vittorio, Bruno e Romano, come i figli del Duce, le femmine Edda, come la figlia, e Rachele come la moglie. Nelle occasioni ufficiali, ci si saluta a braccio alzato, anche se non tutte le articolazioni della spalla e del gomito risultano perfettamente tese, vuoi per l’età, vuoi perché a qualcuno, trovandosi a imitare le mosse viste al cinegiornale, scappa da ridere. Le pellicole cinematografiche raccontano le storie di Masaniello, Cola di Rienzo, Balilla, Silvio Pellico e Maroncelli. Le famiglie numerose ricevono premi e sussidi, i celibi tra i venticinque e i sessantacinque anni pagano la tassa. Dopo aver visto Mussolini a petto nudo su un’enorme macchina trebbiatrice, un paio di contadini pensano di espiantare dai loro poderi in collina le viti fillosserate per far posto al grano, ma i risultati non sono dei migliori: su certe pendenze perfino il Landini testacalda si spegne sputacchiando carburante. E di tanto in tanto circolano proclami che, nel Borgo di Dentro, pochi sono davvero in grado di comprendere. Lira a quota 90! per esempio, oppure notizie enigmatiche come crollo di Wall Street.
Tutto risulta più chiaro quando un martedì di luglio del 1930, verso la fine della giornata, il direttore del cotonificio convoca Filippo Leone ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Destino
  4. LIBRO PRIMO
  5. LIBRO SECONDO
  6. LIBRO TERZO
  7. La festa
  8. Nota dell’Autrice
  9. Copyright