
- 304 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Ragazze, non c'è più tempo da perdere: bisogna fare la rivoluzione!
Care lettrici (e cari lettori) di ogni età, questo appello appena lanciato da Giulia Blasi non è una boutade, ma un invito serio, formulato dopo anni passati a osservare come si muovono uomini e donne in Italia. Una società che oggi è tecnologica, in rapida evoluzione, ma purtroppo non ancora paritaria fra i sessi in termini di rispetto, opportunità, trattamento.
Certo non si può dire che nel Novecento non siano stati fatti enormi passi avanti per le donne, basti pensare al diritto di voto o alle grandi battaglie per il divorzio e l'aborto. Ma dagli anni '80 in poi il femminismo si è come addormentato, mentre il successo nel lavoro (e in politica, nell'arte) ha continuato a essere per lo più riservato ai maschi e in tv apparivano ballerine svestite e senza voce. Per non dir di peggio: la violenza sulle donne non si è mai fermata e chi denuncia le molestie tuttora corre rischi e prova vergogna.
Ecco perché oggi è giunto il momento che le ragazze di ogni età raccolgano il testimone delle loro nonne e bisnonne per proporre un cambiamento epocale, per fare una rivoluzione che ci porti tutti - maschi e femmine - a un mondo in cui ciascuno abbia le stesse occasioni per affermarsi secondo i propri talenti e non si senta più obbligato a aderire ai modelli patriarcali - cacciatori & dominatori vs angeli del focolare & muti oggetti di desiderio sessuale - che, spesso in forme subdole, continuano a esserci proposti.
Sembra impossibile? Non lo è! In questo saggio profondo ed elettrizzante Giulia Blasi analizza con spietata lucidità le situazioni che le donne oggi quotidianamente vivono e offre, in una seconda parte pratica del libro, consigli concreti per mettere in atto un femminismo pieno di ottimismo e spirito di collaborazione (evviva la sorellanza!) che possa rendere tutti più sereni, rispettosi, appagati e felici. Anche gli uomini.
Care lettrici (e cari lettori) di ogni età, questo appello appena lanciato da Giulia Blasi non è una boutade, ma un invito serio, formulato dopo anni passati a osservare come si muovono uomini e donne in Italia. Una società che oggi è tecnologica, in rapida evoluzione, ma purtroppo non ancora paritaria fra i sessi in termini di rispetto, opportunità, trattamento.
Certo non si può dire che nel Novecento non siano stati fatti enormi passi avanti per le donne, basti pensare al diritto di voto o alle grandi battaglie per il divorzio e l'aborto. Ma dagli anni '80 in poi il femminismo si è come addormentato, mentre il successo nel lavoro (e in politica, nell'arte) ha continuato a essere per lo più riservato ai maschi e in tv apparivano ballerine svestite e senza voce. Per non dir di peggio: la violenza sulle donne non si è mai fermata e chi denuncia le molestie tuttora corre rischi e prova vergogna.
Ecco perché oggi è giunto il momento che le ragazze di ogni età raccolgano il testimone delle loro nonne e bisnonne per proporre un cambiamento epocale, per fare una rivoluzione che ci porti tutti - maschi e femmine - a un mondo in cui ciascuno abbia le stesse occasioni per affermarsi secondo i propri talenti e non si senta più obbligato a aderire ai modelli patriarcali - cacciatori & dominatori vs angeli del focolare & muti oggetti di desiderio sessuale - che, spesso in forme subdole, continuano a esserci proposti.
Sembra impossibile? Non lo è! In questo saggio profondo ed elettrizzante Giulia Blasi analizza con spietata lucidità le situazioni che le donne oggi quotidianamente vivono e offre, in una seconda parte pratica del libro, consigli concreti per mettere in atto un femminismo pieno di ottimismo e spirito di collaborazione (evviva la sorellanza!) che possa rendere tutti più sereni, rispettosi, appagati e felici. Anche gli uomini.
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Informazioni
Parte prima
IL COSA E IL PERCHÉ
1
Parliamo di patriarcato
IL PATRIARCATO È VIVO
Niente di quello che vi dirò nel resto di questo libro ha senso se non diamo subito un nome al sistema culturale in cui siamo nate e cresciute. Un nome che va pronunciato senza paura: farlo non vuol dire trasformarsi automaticamente in militanti anni ’70 con gonnellone e zoccoli, anche se ormai quel look ha fatto tutto il giro ed è diventato hipster e quindi magari non è l’esempio giusto, perché vi vestite già cgosì.
Questo nome è – prendete fiato – patriarcato.
Il patriarcato è come la mafia: buona parte della sua mission, per così dire, è farci credere che non esista. Se pensi di vivere nel migliore dei mondi possibili, non ti viene in mente di cambiarlo, o comunque nemmeno sospetti l’esistenza di un sistema architettato nei minimi dettagli per stritolare i suoi elementi deboli e assicurare il successo solo a quelli che per nascita o abilità mimetica riescono a giocare secondo le regole.
Il patriarcato italiano è bianco, maschio, borghese: ti racconta che puoi avere tutto quello che vuoi, se lo vuoi, ma ti racconta anche quello che devi volere, a seconda che tu sia maschio, femmina, etero, gay, cisgender o transgender, bianco o no.
Ogni paese ha il suo patriarcato, ma il nostro è così: ha quella faccia lì, da signore di mezza età in giacca e cravatta che ti assicura, serissimo, che la sua azienda non fa distinzioni di genere nelle assunzioni e nelle promozioni, e lo fa essendo circondato interamente da maschi. Ci piacerebbe tantissimo, dice il patriarcato, avere più donne ai vertici.
Ma loro non vogliono, preferiscono la famiglia.
Non le troviamo.
Non ci sono.
Se ci sono, si facciano vive.
Lo dice tranquillo, mentre dietro le sue spalle dieci colleghe di grado più basso, più volte scavalcate dai maschi, cercano di resistere all’impulso di strozzarlo con la cravatta come Leia con Jabba the Hutt.
Il patriarcato ha anche altre facce. Ha le facce di tutti quelli che si sono passati in chat e hanno poi messo online il video di Tiziana Cantone. Ha le facce di quelli che la insultavano, maschi e femmine, e che l’hanno bullizzata finché lei non si è uccisa.
Il patriarcato ha la faccia di chi decide quali vittime di stupro o molestie siano degne di essere ascoltate, stila classifiche di gravità dell’aggressione sessuale – lacero-contuse stuprate da stranieri, ok; tutte le altre, vediamo – e decide quali donne sostenere e quali no in base a quanto sembrano danneggiate dall’esperienza che hanno avuto, da quanto sono simpatiche, o ricche, o di successo. Il patriarcato ha la faccia di chi ha attaccato Asia Argento per lo stupro subito da parte di Harvey Weinstein, e tutte le donne che nei secoli hanno osato raccontare le violenze subite da uomini più potenti e tutelati di loro e lo hanno fatto da sopravvissute.1
Il patriarcato ha la faccia di chi commissiona e mette insieme le gallery di giocatrici di beach volley fotografate rigorosamente di culo, e già che ci siamo, anche di quelli che hanno deciso che a beach volley le donne ci giocano in mutande, gli uomini in bermuda (regolamenti della Federazione Nazionale, mica roba lasciata al caso).
Il patriarcato ha la faccia di tua zia quando ti chiede se ti sei trovata il fidanzato (sei lesbica, lei lo sa), di tua madre quando insiste perché tu faccia un figlio prima dei trent’anni (non ne hai la minima intenzione), del Ministero della Salute quando scrive che la tua fertilità è un bene comune, e per farlo crea appositi poster che ritraggono giovani donne sorridenti, invitandole a usare al più presto i loro gameti; oppure, peggio ancora, paragona la fertilità sprecata a un rubinetto che perde.
Il patriarcato ha la faccia di quelli che commentano qualsiasi foto di donna che non sia loro amica con una recensione del suo aspetto, come se qualcuno gliel’avesse chiesto o loro fossero il Tripadvisor della topa.
Il patriarcato sei tu, che stamattina hai detto: «Le donne sono le peggiori nemiche le une delle altre» e per questo rifiuti di lavorare con altre donne, e ti circondi di uomini, che ti sembrano più rassicuranti.
Dove nasce il patriarcato
Il patriarcato nasce un sacco di tempo fa, già nelle caverne, già quando eravamo poco più che scimmie che facevano i disegnini, ma si consolida definitivamente con la proprietà privata. Nel momento in cui il cacciatore-raccoglitore diventa stanziale, costruisce la sua casa, mette un recinto intorno alle mandrie e diventa padrone. È allora che le donne diventano di sua proprietà. Controllare le donne – con ogni mezzo, dalla repressione sessuale a quella educativa, quindi non le mandi a scuola sennò chissà che idee gli vengono – è fondamentale. Le donne assicurano la riproduzione. Le donne vanno tenute in uno stato di sudditanza assoluta, abituate a pensarsi ancelle, amanti, accessorie.
Per evitare che ti accoltellino nella notte e si organizzino per prendersi tutto, devi fargli credere che quello sia il ruolo per cui sono state create, la scelta (non scelta) che può renderle felici sopra ogni cosa. Devi arredare il poco spazio in cui le fai vivere in modo che non abbiano mai voglia di uscire, e circondarlo di coccodrilli, così che le poche con l’uzzo di evadere facciano una fine talmente misera da scoraggiare tutte le altre.
Perché il patriarcato funzioni, le donne devono pensare che non esista altro sistema di vita che non sia il patriarcato stesso. Devono essere convinte che ci sia un solo modo per essere femmine, un modo che passa innanzitutto per la conformità estetica. Devono pensare che essere belle ed eleganti sia necessario, anzi, indispensabile; che mantenere la pelle del viso tonica e le chiappe sode sia un obiettivo prioritario, e che spendere molti soldi per la cura del corpo sia un atto d’amore verso se stesse. Devono essere convinte che il sesso sia qualcosa da centellinare, e che il desiderio vada manifestato solo se offerto a un uomo che ne è degno. Devono imparare a negarsi e a farsi inseguire.
Dentro quel recinto soffocante ma arredato con tanta finezza le donne imparano a gareggiare fra loro per eleggere la più bella, quella che le altre devono invidiare e cercare di distruggere. Imparano a odiare il proprio corpo e a metterlo a paragone con quello delle altre, a godere quando una rivale mostra un difetto.
E tutto questo deve sembrare normale, a tutti, e soprattutto alle donne.
Questa macchina così complessa e così ben rodata si regge interamente sulla collaborazione di tutti, uomini e donne. I primi sono quelli che ne traggono i maggiori vantaggi in termini di prestigio economico e sociale; le seconde imparano presto che se non puoi batterli è meglio unirti a loro.
A questo punto della storia è indispensabile citare Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood, un romanzo che raffigura il patriarcato in maniera assolutamente cristallina. In un’America devastata dalle catastrofi naturali viene instaurata una teocrazia (Atwood pensava all’Iran: il romanzo è stato scritto poco dopo la rivoluzione che portò al rovesciamento dello scià e all’insediamento del regime degli ayatollah), in cui le donne possono essere solo quattro cose: Mogli, Ancelle, Marta o Gezabele. Le Mogli sono mogli; le Ancelle, come Agar nella Bibbia, sono le donne ancora fertili, utilizzate come animali da riproduzione; le Marta sono le serve, e le Gezabele sono le prostitute, che vengono tenute nascoste.
A gestire, controllare e punire le Ancelle sono le Zie, una quinta categoria di donne, delle kapò di regime che hanno il compito di fare il lavaggio del cervello a quelle che sono essenzialmente delle schiave senza diritti e senza la possibilità di allevare i figli che partoriscono, convincendole che quello, proprio quello sia il massimo della vita e della gloria per loro e per la comunità che hanno il privilegio di servire.
Perché il patriarcato funziona?
Il patriarcato funziona perché crea l’illusione dell’armonia. Le donne sono fatte in un modo, gli uomini in un altro: se ognuno rispetta il ruolo che gli è stato assegnato, tutto fila liscio e nessuno si fa male.
La religione cattolica, che nel nostro paese è tuttora maggioritaria, è basata su una gerarchia squisitamente patriarcale: vertici solo maschili, donne relegate a ruoli ancillari. Per assicurarsi che niente di tutto questo cambi e qualche suora pioniera tenti la scalata verso la vetta, si sono stese almeno un paio di encicliche2 che specificano chiaramente che no, care, a voi deve bastare lo scopettone.
Il patriarcato è bravissimo a prenderti per il culo.
Quando le femministe hanno cominciato a identificare il loro nemico nel patriarcato, a tracciarne i confini e infine a chiamarlo con il suo nome, il patriarcato non è stato molto contento. Le prime sono state la drammaturga francese Olympe de Gouges, nella postfazione alla Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina del 1792, e sempre quell’anno la filosofa Mary Wollstonecraft, con la sua Rivendicazione dei diritti della donna: da lì non ci siamo più fermate. Le cose che non hanno nome non esistono, e appunto: per il patriarcato, come per la mafia, la non-esistenza è cruciale. Per funzionare, patriarcato e mafia devono sembrare inevitabili.
Ora, il patriarcato – come si sarà capito – non è un organo. Non c’è un Sindacato del Patriarcato, una Commissione del Patriarcato, un Ministero del Patriarcato. Il patriarcato siamo noi. E noi, come persone, abbiamo una scelta: credere che quello in cui viviamo sia un mondo che funziona (o che funzionerebbe meglio se ci fossero più regole per tutti, anzi, se si potesse tornare ai “vecchi tempi”, insomma: se ci fosse più patriarcato) o credere che il mondo in cui viviamo sia basato su regole obsolete e ingiuste.
Se scegliamo la prima opzione, è abbastanza ovvio che qualsiasi proposta fuori dalle righe ci sembrerà un oltraggio ai valori della convivenza civile. Vi faccio un esempio molto personale, per farvi capire come il patriarcato stia dappertutto: io detesto gli uomini con le sopracciglia depilate. È una cosa che trovo esteticamente irricevibile. Al di là del fatto che questo è un problema del tutto mio e non certo di chi se le depila, che vive felice senza badare alla mia opinione, il sopracciglio depilato mi infastidisce perché introduce un elemento di disturbo – un sopracciglio che identifico come “femminile” – nella mia visione di un volto maschile. In pratica, il mio gusto per gli uomini, che si è formato negli anni ’80 di Miami Vice e Magnum P.I. col baffo da pornodivo e si è consolidato negli anni ’90 del grunge e dei ragazzi di città vestiti da tagliaboschi dello Stato di Washington, davanti al sopracciglio depilato urla al tradimento dei bei vecchi valori di una volta.
Ora, io davanti a questa cosa posso scegliere. O incarognirmi a far sapere a tutti che il sopracciglio depilato proprio non mi piace, prendendomi gli applausi dei conservatori; oppure riconoscere che chissenefrega di cosa piace a me, e che ognuno ha il diritto di piacersi come si piace. La prima scelta nutre il patriarcato. La seconda, lo contrasta più o meno apertamente.
In questo caso si tratta di una questione di poca importanza, che non ha strascichi nei diritti civili; se però applichiamo lo stesso principio all’orientamento sessuale delle persone, alla loro identità di genere, all’accesso a determinate professioni, alla parità di trattamento nelle aziende, al rispetto dello spazio individuale, l’effetto diventa centomila volte più grande.
Il patriarcato (cioè: noi) odia tutto quello che è diverso da un modello molto ristretto di essere umano, perché tutto quello che è diverso è potenzialmente libero.
Nel patriarcato si nasce, e a meno di avere genitori particolarmente illuminati, nel patriarcato si cresce, si vive e si fanno vivere gli altri. Il patriarcato ci spiega che le donne grasse “stanno bene” anche “con qualche rotolino in più” (quanti “in più” lo si decide di volta in volta in base alla leva delle modelle di turno: tra Cindy Crawford e Gigi Hadid non c’è poi tutta questa differenza), ma ti vende diete disintossicanti, farmaci anticellulite, abiti che mimetizzano le “imperfezioni”.
Il patriarcato ti dice che ti devi “valorizzare”: il tuo valore non è assoluto, è relativo a come ti vesti, come ti trucchi, come camuffi gli inevitabili difetti.
Il patriarcato stabilisce quanto sesso puoi fare e con chi, ti consiglia di non farlo al primo appuntamento (neanche se ti va) perché sennò lui ottiene subito quello che vuole.
Il patriarcato divide tutte in sante e puttane.
Il patriarcato vuole che tu sappia cucinare senza ingrassare.
Il patriarcato ci tiene a farti sapere cosa pensano i maschi di te, se sei bella o no, se ti scoperebbero o meno.
Il patriarcato vuole che tu tenga conto di questa informazione e ti ci attenga.
Il patriarcato ti ricorda tutti i giorni che la tua prima funzione è essere guardata. Non vista. Guardata.
Allora chi ce lo fa fare?
Non sono le persone, non sono gli individui, non sono i singoli uomini o le singole donne: è una cultura intera, un sistema di pensiero che funziona con la precisione di ingranaggi che scorrono su ruote dentate. A ogni movimento ne corrisponde un altro e un altro ancora. È una macchina che tende all’autoconservazione, consuma tutto e non produce niente, ma di quando in quando si inceppa.
Sono quelli i momenti in cui emergono le grandi battaglie per i diritti civili: le ondate dei femminismi, ma anche i movimenti di emancipazione e conquista della cittadinanza degli africani della diaspora, o la rivolta di Stonewall, in cui gli abitanti del sottobosco gay newyorkese si ribellarono contro le continue retate della polizia, innescando un processo di liberazione che viene commemorato ogni anno durante le celebrazioni del Pride; o ancora, la Women’s March on Washington e in tutto il mondo, milioni di donne in strada per protestare contro l’elezione di Donald Trump; l’iniziativa Time’s Up, partita dalle attrici di Hollywood per creare un fondo di tutela legale destinato alle donne che subiscono molestie; la lotta degli adolescenti americani sopravvissuti alla sparatoria della Marjory Stoneman Douglas High School contro la vendita delle armi; le donne polacche che difendono il diritto all’aborto e quelle irlandesi che lottano per ottenerlo (e con il referendum del 25 maggio 2018, ci sono finalmente riuscite); le femministe sudamericane che fondano Ni Una Menos per denunciare la violenza di genere; le donne iraniane che si fanno arrestare per essersi scoperte il capo, le militari curde cadute sul campo di battaglia per difendere il loro diritto a un paese libero e a una società equa.
Tutte lotte che a noi paiono sacrosante, specialmente quando sono accadute molto tempo fa. Ci sembrano persino facili. Non sappiamo quanto abbia sofferto e faticato chi le ha fatte, quante vittime abbiano mietuto. Emmeline Pankhurst e le sue figlie, arrestate e incarcerate perché lottavano per il suffragio femminile. Martin Luther King, assassinato dai suprematisti bianchi. Rosa Parks e la popolazione afroamericana di Montgomery, Alabama, che per più di un anno andò al lavoro a piedi per protestare contro la segregazione dei mezzi pubblici. Marsha P. Johnson, fra le prime e più visibili attiviste LGBTQ, uccisa negli anni ’70 perché trans. Harvey Milk, il primo gay dichiarato a essere eletto a una carica pubblica, freddato a colpi di pistola insieme al sindaco di San Francisco George Moscone da un suo collega, il consigliere comunale Dan White.
Ok, mi rendo conto che sto alzando un po’ troppo l’asticella, ma diciamocelo: fare la rivoluzione non è indolore. Ribellarsi contro il patriarcato, nello specifico, prevede di rendersi un po’ antipatiche, perché una volta che una comincia a farci caso si accorge di come il sessismo (che del patriarcato è uno dei principali effetti collaterali) sia un po’ dappertutto, l’olio di palma. A differenza dell’olio di palma, però, il sessismo fa davvero male alla salute. E le nostre madri e nonne, che hanno lottato per le briciole scosse dalla tavola dei patriarchi nella speranza di potersi sedere un giorno di fronte a un pasto caldo, sono state ridicolizzate e aggredite, insultate ed emarginate. La loro libertà sessuale è stata strumentalizzata e usata contro di loro. Eppure hanno tenuto duro, perché la posta in gioco era alta.
Il femminismo che vi stanno vendendo in questi anni è un femminismo pop, allegrotto, basato su generici proclami sulla forza delle ragazze. Essere felici nel femminismo è utile, se non proprio fondamentale – se fare il femminismo ti rende infelice, è probabile che tu lo stia facendo ne...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Manuale per ragazze rivoluzionarie
- Parte prima IL COSA E IL PERCHÉ
- Parte seconda IL COME
- Ringraziamenti (brevi)
- Copyright