Quel mattino d’inverno una pioggia sottile aveva reso scivolose le vie di Milano.
Bianca si fece strada tra gli studenti vocianti e scese i gradini del tram tenendosi la borsa stretta al fianco. Portava con sé anche una cartella azzurra colma di libri e un ombrello pieghevole dall’aria malconcia. Cercò di orientarsi guardando a destra e a sinistra, provò ad aprire il piccolo ombrello che però opponeva resistenza e dopo un paio di tentativi andati a vuoto rinunciò e lo buttò rassegnata in un cestino dei rifiuti. Sistemandosi la sciarpa di lana grigia, decise di inserirsi nel flusso di ragazzi e ragazze, lasciandosi trasportare come una foglia nella corrente.
Mille dubbi le giravano in testa: si sentiva ormai fuori per sempre dal suo passato non molto lontano di studentessa ma ricordava perfettamente i discorsi dei ragazzi sui supplenti. Non erano considerati dei veri insegnanti, almeno fino a quando – e non sempre accadeva – riuscivano ad abbattere il muro invisibile che separa chi sta al di qua da chi sta al di là di una cattedra. E ora proprio lei aveva davanti quel muro: sarebbe stata in grado di abbatterlo?
Per un attimo provò l’impulso di rinunciare, di tornare a casa, poi ripensò ai sacrifici fatti per arrivare fin lì, quindi tirò un profondo respiro e si avviò a passo sostenuto verso l’entrata della scuola.
Nel grande atrio del liceo scientifico Margherita Hack, il rimbombo del vocio degli studenti le provocò un leggero stordimento. Controllò lo stato delle sue scarpe nuove, acquistate per le occasioni importanti, poi guardò l’orologio e si rese conto di essere in ritardo, con il cuore che batteva all’impazzata e le guance calde, probabilmente arrossate.
Vedendo con la coda dell’occhio la custode uscire frettolosa dal gabbiotto della portineria, Bianca si schiarì la voce e chiese, timida: «Signora, mi scusi...».
La donna non si voltò.
Bianca la rincorse. «Signora, scusi!»
Solo allora Teresa, così si chiamava, si girò di scatto, e squadrando da capo a piedi quella ragazza dai lunghi capelli corvini infagottata in un cappottino rosso, le rispose seccata, con marcato accento calabrese: «È già suonata la prima campanella, sei in ritardo. Qual è la tua classe?».
«Ehm» balbettò lei, «è che... sono una supplente... Questo è il mio primo giorno.»
A quelle parole, Teresa si abbassò sul naso gli occhiali da lettura e, dandole di punto in bianco del lei, le rispose più gentile: «Ah, allora deve andare alla segreteria del personale, primo piano, prima porta a destra».
«Grazie mille, signora!» la salutò Bianca, salendo in fretta la scala, mentre Teresa la seguiva con lo sguardo per controllare se stesse prendendo la direzione giusta.
La timidezza e le buone maniere di quella ragazza minuta dal colorito olivastro, i suoi occhi grandi, scuri, pieni di speranze e di sogni l’avevano colpita, e le avevano ricordato il suo primo giorno di lavoro in quella scuola, vent’anni prima: era salita a Milano con una valigia piena di aspettative e di libri, da un paesino sulla Sila, ed era sempre stata grata per tutto ciò che la vita le aveva offerto. Vedere la stessa speranza in quella giovane prof che un po’ somigliava alla Teresa di un tempo le fece riaffiorare una nostalgia sottile, e si trattenne per non far uscire nemmeno una lacrima.
Con le suole liscissime delle sue scarpe nuove le sembrava di pattinare sul ghiaccio anziché correre sulle ampie scalinate di marmo bianco. A metà fu quasi sul punto di perdere l’equilibrio e dovette scartare di lato per non cadere rovinosamente. La cartella azzurra si aprì e la sua agenda cadde su un gradino bagnato.
Una donna elegante in tailleur nero che stava scendendo nello stesso momento si chinò e gliela raccolse. I capelli grigi raccolti in un elaborato chignon, sovrastava Bianca in altezza di quasi una spanna.
«Tutto a posto?» le chiese Donatella.
«Sì, sì, sono quasi scivolata ma per fortuna non sono franata giù per le scale. Sarebbe stata una bella figuraccia proprio il primo giorno» rispose Bianca, abbozzando un sorriso.
«Non preoccuparti... vedrai che andrà benissimo! Ci siamo passate tutte! Posso aiutarti in qualche modo?»
«Grazie. Sono Bianca Hedayat, mi ha chiamato la segreteria per una supplenza.»
Donatella allungò la mano affusolata e cercò di rompere il ghiaccio: «Piacere, io sono Donatella Scarpelli, una tua collega: insegno matematica e fisica nella sezione G. Che bel nome, Bianca! Il cognome si direbbe... persiano, corretto?».
«Già» fece Bianca, stupita. «Io sono nata in Italia, ma mio padre è iraniano.»
«Interessante... ma ora sei in ritardo, vero? Più tardi avremo tempo di conoscerci meglio, adesso però ti accompagno in segreteria. Il primo giorno è sempre il più complicato!»
Donatella non poteva immaginarsi quanto lo fosse per Bianca, che aveva scelto di diventare insegnante contro il volere del padre, il quale avrebbe desiderato averla al suo fianco nell’impresa di famiglia. In quella mattinata così importante per lei, che rappresentava un nuovo inizio da affrontare con entusiasmo, si sentiva abbandonata. Il mancato appoggio da parte del genitore che tanto amava le impediva di godere appieno di quel traguardo: era, lo sapeva bene, solo un piccolo ingranaggio nel grande sistema della scuola, ma finalmente avrebbe partecipato di persona al cambiamento nella direzione di una società tollerante e giusta. E di questo era orgogliosa e fiera.
Quella donna affascinante, prendendola per mano, riuscì a riaccendere l’entusiasmo che fino a quel momento il senso di abbandono e la stanchezza avevano spento. Complice una notte in bianco e una levataccia per decidere la mise della giornata: un paio di pantaloni neri non troppo aderenti, giacca dello stesso colore e camicetta bianca.
Le due donne salirono la seconda rampa di scale una di fianco all’altra. Teresa, abituata a tenere sempre tutto sotto controllo, le osservava dal suo gabbiotto; sapeva che Donatella si sarebbe presa cura di quella ragazza, così come sua zia aveva fatto con lei quando l’aveva accompagnata in stazione quando era partita per Milano.
Quando le due docenti sparirono dalla sua vista, inforcò gli occhiali e tornò al suo lavoro di smistamento della corrispondenza.
Donatella, con Bianca al seguito, aprì la grande porta a vetri della segreteria e cercò con lo sguardo la responsabile delle sostituzioni: «Franca, c’è una nuova collega che ha bisogno di te».
In quell’istante, suonò la campanella. Era ora di andare in classe ma Donatella non se la sentiva di lasciare sola Bianca, quindi aspettò che la segretaria le facesse compilare tutti i documenti, poi chiese: «Franca, tutto a posto?».
«Quasi, ancora un attimo... Lei sostituisce la professoressa Vinattieri.»
«Ah, Giovanna! Quindi insegnerà anche nella mia sezione e resterà con noi sino alla fine dell’anno scolastico.»
«Eh già, il secondogenito della Vinattieri nasce a febbraio.»
Donatella guardò l’orologio e si rivolse a Bianca: «Sono molto contenta che saremo colleghe! Ora però scusami un attimo, si è fatto tardi». Così uscì dalla segreteria e cercò con lo sguardo in fondo al lungo corridoio Antonio, il bidello del piano. L’uomo non si trovava seduto alla solita scrivania ma stava controllando se in tutte le classi fossero arrivati i docenti della prima ora: tutte le aule erano chiuse, tranne quella della terza G. I corridoi di colpo erano diventati silenziosi. Solo avvicinandosi alle porte delle aule si percepivano fruscii di sedie spostate, chiacchiericci di fondo e le voci dei professori.
«Antonio, per favore!» lo richiamò Donatella, con una familiarità che evidentemente andava oltre il semplice rapporto di lavoro.
Il bidello si voltò e le andò incontro con passo veloce ma claudicante. «Sì, prof, di cosa ha bisogno?»
«Vada, per favore, nella mia terza e dica ai ragazzi di dividersi in gruppi per provare a risolvere i problemi di massimo e minimo assegnati ieri, mentre mi aspettano. Io accompagno la supplente della Vinattieri in classe, arriverò tra poco.»
«Certo, prof, sarà fatto.»
Donatella rientrò in segreteria e chiese, quasi materna: «Bianca, hai finito di compilare tutti i moduli?». Provava nei suoi confronti un’istintiva simpatia mista a un senso di protezione che non le capitava con ogni supplente, come se tra lei e la ragazza ci fosse un’empatia di lungo corso.
«Penso di sì.»
Poi, facendosi a un tratto più formale, Donatella domandò: «Franca, è tutto a posto? Posso accompagnarla in classe?».
«Per ora sì, poi più tardi la porterò dalla Preside: la Vinattieri ha lasciato precise indicazioni di lavoro per lei» rispose Franca. «Sai com’è fatta Giovanna, deve tenere tutto sotto controllo, pensa ai suoi studenti anche ora, invece di godersi la gravidanza e il suo piccolino di due anni. Considera gli alunni dei figli, mi ha detto: “Quando arriva la supplente, per favore, dalle il mio numero e dille di chiamarmi, così le spiego quello che deve fare”.»
«Già, so quanto ci tiene ai suoi alunni. Ora accompagno Bianca in classe.»
Mentre Franca sistemava gli incartamenti, Donatella uscì dalla segreteria e Bianca la seguì, rassicurata da quella collega che aveva gli stessi modi amorevoli di sua mamma, anche se aveva senz’altro un atteggiamento più sicuro.
«Seguimi, Bianca. Ti accompagno prima in sala professori, così lasci lì il cappotto e tutto ciò che non vuoi portare in classe.»
«Grazie, è molto gentile.» Bianca era davvero colpita dal modo in cui la prof sembrava volersi prendere cura di lei.
Donatella si incamminò e salì le scale. Bianca le andò dietro come un natante che si orienta seguendo la Stella polare.
La sala professori era al secondo piano del corpo centrale del liceo, a metà di un lungo corridoio con numerosi quadri appesi alle pareti. L’ambiente era molto luminoso, nonostante il cielo fuori fosse plumbeo, e dotato di ampie finestre. Bianca avvertì un’istantanea scarica di buonumore. Al centro della stanza c’era un imponente tavolo, attorniato da sedie con un’imbottitura logora, e lungo il perimetro cassettiere antiche scrostate, con le serrature rotte. Bianca si meravigliò di quella trascuratezza: “Doveva essere proprio una bellissima sala, che peccato!” pensò con un velo di tristezza, dopo l’iniziale impressione positiva.
Mentre Donatella riordinava il tavolo, Bianca appoggiò la pesante cartella dei libri su una sedia e si guardò intorno alla ricerca di un appendiabiti per il suo cappotto rosso. Era il colore che più le piaceva e quel giorno lo aveva scelto per celebrare la nomina tanto a lungo desiderata.
«Donatella, non vedo l’appendiabiti. Dov’è?» chiese Bianca.
«Là in fondo, non lo vedi perché è sepolto dai vestiti.» Donatella indicò sorridendo l’angolo destro della stanza, dove c’era un gran cumulo di giacconi appoggiati l’uno sull’altro in un ammasso multicolore. Con aria rassegnata disse: «Devi appoggiare il cappotto sulla sedia, mi sa. Siamo più di cento insegnanti nella scuola e abbiamo solo due appendiabiti, uno qui e l’altro nell’auletta studio qua accanto».
Bianca piegò con cura il suo morbido capo sulla sedia e guardò Donatella in attesa di ulteriori istruzioni. Allora la professoressa le spiegò con voce calma e decisa: «Ok. Ora guardiamo in che classe devi andare... si è fatto davvero tardi».
Su una parete, un grande cartellone indicava l’orario delle lezioni.
«Dunque... professoressa Vinattieri, prima e seconda ora, terza B, quarta ora, quinta B. Alla terza ora non hai lezione, e considera che alle undici c’è l’intervallo.» Donatella si girò verso Bianca, che aveva aperto la sua agenda per appuntarsi l’orario. «Hai scritto?»
«Sì, sì, ho scritto tutto. Grazie.»
«Non so dirti quali ore siano di latino o di italiano. Dovrai chiederlo ai ragazzi» aggiunse guardando l’orologio. «Adesso però devo proprio raggiungere la mia terza G. Ti accompagno in classe, poi ci vediamo qui all’intervallo. Oggi finisco anch’io alla quarta ora, così dopo possiamo andare a parlare insieme con la Preside e recuperare il numero di Giovanna. Più tardi ti farò vedere dove sono il bar, la nostra saletta, la macchinetta del caffè e qualunque altra cosa ti serva.»
«Certo, Donatella, è stata già troppo gentile. Ancora un attimo...»
Bianca spostò delicatamente il cappotto, prese la cartella dei libri, la appoggiò sul tavolo e ne estrasse un manuale di latino e uno di italiano. Quel giorno nell’incertezza aveva portato tutti i libri di testo, non sapendo qua...