Un gin tonic per la mamma
eBook - ePub

Un gin tonic per la mamma

Diario di una mamma sfinita

  1. 384 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Un gin tonic per la mamma

Diario di una mamma sfinita

Informazioni su questo libro

Ellen oggi compie trentanove anni. I buoni propositi per il suo immediato futuro comprendono "lezioni di yoga avanzato", educati "club del libro" in cui è di rigore fermarsi al primo bicchiere di vino, e scambi di moine ai giardinetti sulle "ultime fantastiche vacanze estive". Ellen ha due bambini di sei e otto anni, Peter lo scoreggione e Jane la fustigatrice, e la sua ambizione è quella di diventare una scintillante mammina modello. Ma l'obiettivo continua a sfuggirle, assomiglia di più a una "mission impossible" che deraglia al primo ostacolo. Perché si sa, la vita in famiglia non è tutta rose e fiori, soprattutto quando ci si mettono anche il marito e i parenti a romperti le palle: Simon, che ha conosciuto all'università e poi sposato, ora è diventato un uomo noioso fissato con la sobrietà economica; la sua favolosa sorellina super intelligente Jessica è sempre lì a ricordarle quale madre-moglie-donna scombinata sia; la suocera snob la squadra schifata dall'alto in basso perché lavora e "oltretutto" con i computer. Per fortuna ci sono gli amici: Hannah e Sam, una più depressa dell'altro dopo che entrambi i loro matrimoni sono tragicamente finiti. E Charlie, spuntato fuori dal passato, che forse potrebbe regalare a Ellen quella ventata di freschezza di cui sembrerebbe proprio aver bisogno… Tra frustrazioni, sbronze scomposte e colossali figuracce, Un gin tonic per la mamma è la storia divertentissima della rocambolesca vita di una madre che non ha intenzione di soccombere alla mate

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Informazioni

Print ISBN
9788891580788
eBook ISBN
9788858693933

DICEMBRE

Martedì 1 dicembre

È NATAAAAALEEEEE!
Adoro il primo dicembre, è un giorno pieno di speranza e ottimismo. Ci attende una stagione di festa, un mese intero di potenziale pace in terra per gli uomini di buona volontà, aromatizzata alla cannella e ai chiodi di garofano. La gioia dell’attesa per un mese di calendari dell’avvento, canti tradizionali, zuccherose ballate natalizie, lucine intermittenti, composizioni di rami di agrifoglio, mince pie, jingle bells, jingle bells, jingle all the way, film in bianco e nero, Bing Crosby, neve bianca e lieve, ceppi che bruciano allegri nel camino, sorrisi incantati di bambini con le guance rubizze che scorrazzano entusiasti.
Oggi è il giorno migliore di tutto il periodo natalizio, perché tutto questo potenziale è ancora intatto, il sogno non è ancora stato distrutto dalla pioggia costante e dal desiderio di strapparmi via le orecchie piuttosto che sentire un’altra volta Last Christmas in filodiffusione. Se oggi la sento ho voglia di cantarla con tutto il cuore. Ben presto mi renderò conto che i bambini con le guance rubizze in realtà sono strafatti di zucchero ormai da settimane e che il Baileys di Natale me lo sono già scolato tutto, anche se è solo il quindici del mese.
Ma oggi, oggi il sogno è ancora intatto: posso immaginarmi tutta la famiglia che porta a casa l’albero tra le strade innevate, per poi sorseggiare sidro caldo (com’è il sidro caldo? È solo sidro normale riscaldato o bisogna usarne un tipo speciale? Mi sa che ficcare nel microonde una bottiglia di White Lightning, quello che usano i tamarri per ubriacarsi in fretta e a poco prezzo, non è proprio in linea con l’atmosfera festiva), mentre intoniamo canti natalizi attorno al pianoforte.
È un vero peccato non poter più minacciare i bambini dicendo che Babbo Natale non verrà: purtroppo, Olivia Brown ha saputo da suo fratello maggiore che Babbo Natale non esiste e lei l’ha riferito a tutta la classe. Jane appena ha finito di lamentarsi perché le avevamo mentito per tutti questi anni, ha sentito il bisogno di informare anche Peter, quindi adesso non posso più spacciargli i rilevatori di fumo per telecamere di sorveglianza di Babbo Natale (un’idea un po’ inquietante, ora che ci penso) nel tentativo disperato di farne dei bambini normali e beneducati almeno per un mese all’anno. Forse potrei minacciare di non comprargli i calendari dell’avvento, se non si mettono in riga.
In ogni caso, almeno per oggi, posso continuare a sognare. Oh gioia, oh gaudio, arriva il Natale!

Giovedì 3 dicembre

Ho appena ricevuto da Jane la quattordicesima stesura della sua letterina di Natale. Sommando il costo di tutti i regali che vorrebbe, si ottiene un totale di 2.378,73 sterline. Inutile dire che non riceverà gran parte degli oggetti della lista. Peter dice che per lui scrivere è troppo faticoso, quindi si limita a stare davanti alla TV con sguardo vitreo e a urlare «QUELLO LO VOGLIO!» quando arriva la pubblicità. Ieri era talmente immerso nel Vortice del Consumismo che ha gridato «QUELLO LO VOGLIO!» davanti a uno spot di prodotti per l’igiene femminile. Non ho ben capito a cosa si riferisse: ai rollerblade, all’avvenente ragazza bionda, alla spiaggia o alla confezione di Tampax. Quando gli ho chiesto se sapeva qual’era il prodotto pubblicizzato, ha solo mugugnato con aria frastornata «Lo voglio, lo voglio».
Dopo tre giorni di calendario dell’avvento, ho deciso che odio con tutto il cuore la persona che ha deciso di mettere dei cioccolatini nelle maledette finestrelle. Intanto i cari pargoli cominciano la giornata con un’overdose di glucosio ancora prima di fare colazione, per poi reclamare a gran voce i cereali, quelli iperzuccherati, perché dopo il cioccolatino qualsiasi altra cosa “fa schifo”; poi, come se non bastasse, ci sono gli egoisti come Simon che “si dimenticano” di mangiarli per diversi giorni, per poi sbafarseli tutti in una volta di fronte a me, senza offrirmene neanche mezzo.
Ogni anno dico a Simon che è decisamente troppo grande per un calendario dell’avvento e minaccio di non comprarglielo, ma poi mi ricordo dei capricci che ha fatto il primo Natale in cui eravamo sposati perché sua madre non gliene aveva comprato uno: una sfuriata degna di un bambino di due anni. Non si è buttato per terra scalciando e urlando «CALENDARIO DELL’AVVENTO! LO VOGLIO SUBITOOOO! DAMMELOOO!», ma ci è mancato poco. Sua madre ci ha informato che, dato che era sposato, da quel momento era compito di sua moglie comprargli i calendari dell’avvento. Per me è stata una sorpresa, perché non ricordavo che tra le promesse di matrimonio ce ne fosse una in cui avevo fatto voto di «farti da madre tutti i giorni della mia vita».
L’anno seguente gli ho comprato un calendario per scherzo, ma lui mi ha preso completamente sul serio, e anzi ha precisato «come indicazione per il futuro» che lui preferiva i calendari Lindt rispetto a quelli Cadbury, ma che comunque mi ringraziava del pensiero. Ed è così che sono finita a comprare ogni anno un calendario dell’avvento per mio marito Simon, quarant’anni, perché a quanto pare ora sono io la sua mammina, e lui è un bambino viziato.

Venerdì 4 dicembre

Oggi è arrivata un’email da Louisa:
Ciao Ellen,
non vediamo l’ora di essere da voi per le feste natalizie. Posso
portare qualcosa?
Namasté,
Amaris
Come faccio a rispondere educatamente “Ti prego, per l’amor di Dio, tutto quello che vuoi ma non la tua placenta essiccata”?
C’era anche un’email di Jessica:
Ciao Ellen,
pensavo, per il dolce di Natale… secondo te è meglio comprarlo da Fortnum & Mason o da Harrods? Ho sentito che quello di Heston Blumenthal non è un granché quest’anno, e comunque è già esaurito. La mamma dice che tu hai un’ottima ricetta, magari preferisci farlo tu?
Un caro saluto,
Jessica
Ma fottiti, Jessica. Vai a farti fottere. Non ti basta avermi scaricato sulle spalle tutta l’organizzazione del Natale, adesso trasformi L’UNICA COSA CHE DEVI FARE TU in un’occasione per dare spettacolo, in più cercando comunque di costringere me a preparare il dolce di Natale? Non ho nessuna ricetta, è una palla che ho raccontato alla mamma una volta che stava facendo mille storie per i troppi piatti precotti: per farla stare zitta le ho detto che lo stramaledetto dolce l’avevo preparato io, al che lei ha ribattuto che avrei dovuto comprare quello di Sainsbury’s, di gran lunga il più buono che avesse mai assaggiato. E dire che quello che stava mangiando ERA PROPRIO IL DOLCE DI SAINSBURY’S! Baci, Ellen.
Devo fare una seconda stesura, anche se la tentazione di mandarla così è fortissima. Mi sa che la gioia passeggera di mandare Jessica a farsi fottere non vale lo strazio di sorbirmela in versione martire per tutta la festa di Natale.
Le malefiche email hanno rovinato persino il mio adorato mood del Venerdì, cazzo! Sono qui a ribollire e mugugnare di dolci di Natale, placente e barbabietole. In televisione il Natale non sembra mai così complicato. Perché la vita reale è così difficile?

Lunedì 7 dicembre

Ancora comunicazioni della scuola. Ancora, ancora e ancora. Sono sommersa dalle comunicazioni. Comunicazioni sui pidocchi, che mi fanno venire istantaneamente prurito alla testa. Comunicazioni sulla festa del libro, la festa di Natale, i concertini di Natale e sul complicatissimo sistema dei biglietti-lotteria per partecipare. E la comunicazione preferita di tutti i genitori: quella che descrive il costume da indossare alla recita.
Quest’anno, mi dice la comunicazione, Peter è un fantasma spaziale e Jane è un topino della stalla. Le recite di Natale si sono fatte sempre più bizzarre negli ultimi anni, da quando è arrivata un’insegnante di teatro molto progressista che scrive personalmente i copioni. Il vecchio format prevedeva che ogni classe si esibisse in un’esecuzione stonata di Rudolph la renna dal naso rosso o di Quando Babbo Natale si incastrò nel camino (mi faceva sempre ridere la parte in cui gli si riempiva il sacco di fuliggine), con i piccolini dell’asilo che facevano il presepe vivente e cantavano Tu scendi dalle stelle, così ci si poteva fare un bel pianto natalizio. Il nuovo corso, invece, finora ha prodotto: Natale nella Seconda guerra mondiale (zero spirito natalizio, con i bambini-sfollati che gironzolavano avviliti lamentando la mancanza di banane) e Natale nella Casa del Grande Fratello. Dio solo sa che cosa ci aspetta quest’anno, con la combinazione vincente di fantasmi spaziali e topini della stalla.
Ma di certo, qualunque sia la bizzarra fantasia che la signorina Elliot, l’insegnante di teatro, ha rispolverato dalle visioni psichedeliche della sua gioventù bruciata, Peter e Jane eccelleranno come sempre nei loro ruoli. Nei tempi felici del presepe vivente, Jane esprimeva le sue capacità attoriali nel ruolo dell’“abitante di Betlemme”, nel senso che stava in fondo al palco e lanciava occhiate assassine al pubblico. Ma Peter, oh, Peter mi ha fatto quasi scoppiare il cuore d’orgoglio quando, all’asilo, gli hanno assegnato l’ambitissimo ruolo di San Giuseppe. Mi sono fatta largo sgomitando fino alle prime file, annunciando a tutti quelli che mi lasciavo alle spalle «Scusate, mio figlio fa San Giuseppe, DEVO arrivare davanti, sì, permesso, fate passare la mamma di San Giuseppe, fate largo, SONO LA MAMMA DI SAN GIUSEPPE E SONO MOLTO ORGOGLIOSA DI LUI!». Eccoli entrare in scena, Peter adorabile, con il suo costume fatto con uno strofinaccio e una vecchia camicia di Simon, circondato da angioletti agghindati con pezzi di ghirlande e una Maria piuttosto depressa. Quasi mi mettevo a piangere per la deliziosità del tutto. Una volta arrivato al centro del palco, San Giuseppe si è ficcato un dito nel naso e si è rovistato nelle narici fino alla fine della recita. Io tentavo di attirare la sua attenzione con una forma minacciosa di linguaggio dei segni, ma lui ha sfilato il dito solo ogni tanto, per gustare i bocconcini più gustosi che aveva scovato. Ero mortificata. Più tardi gli ho chiesto perché l’avesse fatto, ma lui mi ha guardato con aria stupita e ha risposto «Fatto cosa?».
Comunque, per trasformarsi in un fantasma spaziale Peter ha bisogno di: pittura per il corpo argentata, un rotolo di carta stagnola, un paio di leggings bianchi, una maglietta bianca “che non usate più” e uno “zaino spaziale”, qualunque cosa sia. Secondo l’utilissima delucidazione di Peter, «uno zaino che ti metti per andare nello spazio».
Per Jane invece servono un paio di leggings marroni e una maglietta marrone, sempre “che non usate più”.
Ironia della sorte, Peter non possiede leggings bianchi né Jane una maglietta marrone, quindi mi tocca andare da H&M a comprare vestiti nuovi che verranno prontamente distrutti, in nome dei topini della stalla posseduti dai fantasmi spaziali.
Porca miseria, mi sono appena accorta che la comunicazione era della settimana scorsa e i costumi andavano consegnati oggi. Vitadimerda. Il lato positivo è che siamo sotto le feste, quindi è perfettamente accettabile se mi bevo un bicchiere di vino anche in settimana.

Mercoledì 9 dicembre

Ho finalmente finito la mia app Un gin tonic per la mamma (è possibile che io ci abbia lavorato soprattutto mentre ero al lavoro, ma lasciamo stare…) e sono molto soddisfatta del risultato. Si comincia dal Livello 1: è mattina e devi uscire di casa, devi raccogliere figli, lunch box, compiti e moduli della scuola firmati e intanto impedire ai bambini di toglierti tutto dalla borsa; nel Livello 2 hai tot tempo per arrivare a scuola evitando le cacche di cane, salvando i bambini da morte certa sotto le ruote dei SUV che sfrecciano lungo la strada e rispondendo a domande sulle divisioni in colonna e sulle parole omofone; nei livelli intermedi devi superare il cortile della scuola evitando gli attacchi delle spaventose e biondissime Mamme Ninja, che si nascondono tra gli scivoli e le altalene, armate fino ai denti di muffin alla quinoa biologica; infine, nell’Ultimo Livello, devi tornare a casa dal pub, ubriaca fradicia, comprarti delle patatine e riuscire a non farle cadere lungo la strada. È una polaroid digitale della mia vita in versione cartone animato brutto, ma è la prima cosa che faccio per me stessa da un secolo, e ha pure qualcosa di creativo. E poi lavorarci è stato molto terapeutico, perché ci ho messo dentro tutti quelli che, nel corso degli anni, mi hanno fatto incazzare a morte. Ho un debole soprattutto per la Sfida Speciale che si sblocca al cancello della scuola, in cui devi schivare una tazza di cappuccino di soia volante. Se riesci a evitarla, a una delle milf si strappano i pantaloni da yoga proprio sul sedere e tu ti guadagni un gin tonic. Confesso che mentre programmavo questa parte mi sono fatta delle grasse risate, da sola.
Ho pagato i miei cento dollari per depositare i diritti, come una vera “Sviluppatrice di app”. Anzi, stavo quasi pensando di aggiungerlo al mio curriculum… ’fanculo, lo faccio e basta. L’approvazione dovrebbe richiedere ventiquattr’ore: credo che qualcuno debba controllare che io non sia un genio informatico del male e che non stia cercando di distruggere intere civiltà con il mio videogioco dall’aspetto innocuo. Certo che se fossi davvero così intelligente da celare l’Armageddon digitale in un giochino incentrato su muffin, compiti a casa e vino bianco, riuscirei anche a eludere i controlli di quelli che autorizzano le app. Ma non sono nulla di tutto ciò, solo una mamma in preda alla noia e sull’orlo dell’alcolismo, che cerca di spacciarsi per un’adulta semi-funzionale.
Oddio, oddio, e se la respingono? E se pensano che faccia schifo? Non ho smesso di guardare il telefono in modo ossessivo da stamattina, quando ho premuto il magico pulsante “Invia”. Lo so che ci vuole tempo, ma non riesco a stare ferma. Se Un gin tonic per la mamma fa schifo a tutti, mi metto a piangere. O mi metto a piangere se non lo compra nessuno. Be’, Hannah la comprerà. E anche Sam. Ma magari non la comprerà nessun altro e tutto questo lavoro sarà stato inutile. Se non altro potrò togliermi la soddisfazione di giocarci da sola e ridere amaramente ogni volta che la Me Pixellata sconfigge la Congrega Pixellata, mentre piango calde lacrime nel mio bicchiere di vino e contemplo l’insensatezza della vita. Magari la mia app verrà acquistata in blocco dalle scuole, per scoraggiare le gravidanze precoci.
Starò mica attraversando una crisi esistenziale?

Venerdì 11 dicembre

Il mio Venerdì, cazzo, è stato sacrificato sull’altare della festa di Natale dell’ufficio. Come ogni anno, è stato il culmine della mia scintillante vita sociale: chi non adora sganciare cinquantasette sterline e cinquanta per starsene stipati come sardine nel salone eventi di un hotel di terza categoria dove contemporaneamente fanno la festa di Natale altre ventinove aziende, tutte con la classica quaranta-cinquantenne ubriaca, fasciata in un vestito sintetico e con in testa un paio di corna da renna a LED, che tra urla e sghignazzi cerca di limonarsi un collega che potrebbe essere suo figlio, quindi vomita e viene finalmente fatta salire in un taxi, mentre dichiara il proprio amore a chiunque possa sentirla, compresi alcuni passanti mai visti prima? Stranamente non sono io a interpretare questo ruolo nel nostro ufficio: se l’è arrogato già da tempo Sandra del Commerciale. Aggiungiamo una cena insipida e il “vino compreso nel prezzo” che tutti tracannano più in fretta che possono perché ormai hanno pagato, e mi chiedo come si fa a non attendere con trepidazione questa magica serata.
Il momento migliore della festa di quest’anno è stato quando Jenny del Marketing mi ha detto che sembravo il Grinch e ha cercato di ficcarmi sulla testa una coroncina di carta e io le ho ringhiato che se mi toccava ancora l’avrei accoltellata, al che lei mi ha invitato a “non prendermela tanto” (queste feste me...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. UN GIN TONIC PER LA MAMMA
  4. SETTEMBRE
  5. OTTOBRE
  6. NOVEMBRE
  7. DICEMBRE
  8. GENNAIO
  9. FEBBRAIO
  10. MARZO
  11. APRILE
  12. MAGGIO
  13. GIUGNO
  14. LUGLIO
  15. AGOSTO
  16. RINGRAZIAMENTI