«Prego?»
«Buonasera, signora. So che l’ora è tarda, tuttavia…»
«Che volete?»
«Potreste dirmi se il signor Sherlock Holmes abita qui?»
«Chi lo vuole sapere?»
«Io, di grazia. Mi chiamo John Snow.»
«Snow come neve?»
«Precisamente.»
Secco e smunto, con una folta barba bianca che gli arrivava al petto, un monocolo all’occhio destro e la kippah, il classico copricapo ebraico, sulla testa, l’uomo appariva nervoso o impaziente.
«Non leggete i giornali, signor Snow?»
«A volte. Perché?»
«Allora non li leggete con la dovuta attenzione. Il signor Holmes è scomparso alcuni mesi or sono, in un luogo della Svizzera dal nome impronunciabile. E vi prego di non chiedermi altro per non aggiungere dolore a quello che già provo.»
La signora Hudson era una donna massiccia e dai modi sbrigativi, come si è visto. Ma il ricordo dell’uomo con cui aveva condiviso il tetto negli ultimi dodici anni le causava ancora una profonda afflizione, nonostante le loro numerose divergenze.
«Che cosa tremenda!» esclamò il signor Snow sorpreso. «Non ne ero a conoscenza. Voi siete sua… moglie, immagino.»
«Moglie? Oh, misericordia! Che vi salta in testa? Certo che no! Io sono la signora Hudson, la padrona di casa! Nessuna donna sana di mente avrebbe mai sposato un uomo impossibile come Sherlock Holmes, che Dio l’abbia in gloria…»
«Vogliate perdonarmi, signora Hudson. Avevo inteso che… Oh, lasciate perdere. Quello che mi dite mi getta nel più profondo sconforto. Si dà il caso che io abbia una questione da risolvere e… Ma che ne è del dottor Watson, se posso chiedervelo? Scomparso anche lui?»
La signora Hudson scrollò la testa canuta facendo ondeggiare la pappagorgia. «Oh, no! Che dite? Il dottor Watson è in Cornovaglia, dal fratello. Non rientrerà prima di tre settimane. E mi auguro davvero che non gli accada nulla, non solo per la sua salute, ma anche perché mi deve due mesi di affitto arretrato!»
«Capisco. Tuttavia, mi chiedo, come farò ora? Contavo su Holmes e sul dottor Watson per risolvere una certa questione. Non avete idea di come possa contattarlo?»
«Mi state a sentire? Vi ho appena detto che Holmes è scomparso!»
«Mi riferivo al suo fidato amico e collaboratore, il dottor John Watson.»
«Non vuole essere disturbato. È in vacanza.»
«Se lei, però, fosse così cortese da darmi il suo indirizzo, io potrei inviargli un messaggio…»
«Siete sordo per caso? Vi ho detto che non vuole essere disturbato. La… la morte di Holmes è una ferita ancora aperta per tutti noi.»
Stentava a considerarlo morto. Era come immaginare una giornata senza sole. O Londra senza nebbia. Il mondo aveva bisogno di Sherlock Holmes.
«Ma se solo voi poteste…»
«Ho detto no!» gridò la donna. «E ora, per favore, abbiate la compiacenza di togliervi dai piedi!»
Calum Traddles si affacciò sulle scale in quel preciso istante. «Signora Hudson? Che succede?»
Le sue rotonde membra erano avvolte da un morbido asciugamano bianco e i capelli gocciolanti suggerivano che fosse reduce da un bagno caldo o da una sudata colossale. (Bagno caldo è la risposta giusta.) «Con chi parlate?»
«Non è nulla, signorino Traddles» rispose la donna. «Questo gentiluomo se ne stava giusto andando.» E così dicendo diede uno spintone alla porta nel tentativo di far retrocedere l’intruso.
«È vostro figlio?» chiese Snow alludendo a una certa somiglianza nella stazza.
«Ma la volete piantare con queste insinuazioni?» ringhiò la signora Hudson. «Mariti e figli! Ma per chi mi avete preso?»
«Sono Calum Traddles» disse Calum in un tono sussiegoso che stonava con i piedoni scalzi e l’asciugamano stretto sulla pancia. «E se avrete la pazienza di attendere che io mi vesta sarò felice di presentarvi il mio socio, David Pip.»
«David Pip?» gli fece eco Snow incuriosito.
«David Pip» ripeté Calum. «Il figlio di Sherlock Holmes!» Dopodiché si voltò con uno scatto secco che avrebbe dovuto aggiungere enfasi alla sua solenne dichiarazione. Ma il piede di appoggio scivolò maldestramente sull’impiantito umido e Calum finì carponi con un tonfo da far tremare le finestre.
«Che è stato?» domandò David precipitandosi fuori dallo studio. Poi vide le terga nude e rosee dell’amico che annaspava cercando di rialzarsi, e scoppiò a ridere.
Qualche minuto più tardi, e con buona pace della signora Hudson, David, Calum e il signor Snow sedevano nel salotto dell’appartamento al primo piano del 221/B di Baker Street, il luogo dove per anni Sherlock Holmes e John Watson avevano ascoltato – e risolto – i casi più bizzarri e intricati capitati in quell’angolo d’Inghilterra.
Tre ceppi di faggio scoppiettavano allegri nel camino e altrettante tazze di tè attendevano fumanti sopra il tavolo.
«Dunque siete il figlio di Holmes?» stava chiedendo John Snow lisciandosi la barba con un’espressione che era a metà strada tra l’ammirazione e l’incredulità.
«Perché siete qui?» ribatté David ignorando la domanda.
Era un ragazzo di quindici anni d’età, alto e magro e con un naso pronunciato simile al becco di un’aquila. Aveva un carattere forte e la consapevolezza di essere dotato di un’intelligenza non comune. Cresciuto nell’orrido orfanotrofio di Montague Hall, vicino a Londra, insieme a quel ragazzino biondo e rubicondo che rispondeva al nome di Calum Traddles, ne era fuggito alcuni mesi prima, deciso a scoprire la verità sulla misteriosa scomparsa di Sherlock Holmes. A torto o a ragione e per motivi imperscrutabili, egli riteneva, infatti, che il celebre investigatore fosse suo padre.
A Reichenbach, in Svizzera, i due amici si erano imbattuti in un certo Sigurson, un apicultore, che solo a David aveva rivelato di essere in realtà Sherlock Holmes. Il grande detective gli aveva confidato di aver inscenato la propria morte per affrancarsi temporaneamente dalla lotta al crimine, che lo stava consumando. Quindi gli aveva raccomandato di non raccontare a nessuno del loro colloquio, né a Calum, né a Watson, né tantomeno alla signora Hudson.
David aveva promesso di mantenere il segreto ed era ripartito senza trovare il coraggio di chiedere a Holmes ciò che gli stava più a cuore: c’era davvero un rapporto di parentela fra loro?
Con questo dubbio era tornato in Inghilterra, dove lui e Calum erano ospiti del dottor Watson, in attesa di capire cosa fare delle loro acerbe vite.
«Mi preme risolvere una questione» disse John Snow. «Ma dubito che a voi possa interessare…»
«Chi lo dice?» proruppe Calum. «Magari ci interessa. Vero, David?»
L’amico assunse un’aria concentrata, l’indice sulla guancia, le altre dita a sostenere il mento, gli occhi socchiusi. «Può darsi» mormorò meditabondo. «Può darsi.»
Fare l’investigatore era il suo sogno. Applicare il metodo deduttivo per venire a capo di un mistero, vedere la luce quando gli altri brancolavano nel buio, dipanare il filo rosso di un’indagine. Da una goccia d’acqua – era una delle frasi più famose di Holmes – una mente logica può dedurre l’esistenza di un oceano senza mai averlo veduto. E David aveva già dato prova di possedere un talento per il mestiere quando, con la collaborazione di Calum, era riuscito a trovare il nascondiglio svizzero di Holmes, una conquista non da poco.
«Avanti!» esclamò Calum. «Esponeteci il caso e noi decideremo se accettare.»
Il signor Snow sorrise.
«Che c’è? Dubita che ne saremmo capaci?»
Erano passati i tempi in cui all’orfanotrofio tutti lo chiamavano “Palla di Grasso Rotolante Calum” (tutti a eccezione di David e di suor Ebenezer, la terribile superiora di Montague Hall, che lo chiamava semplicemente “Palla di Grasso Rotolante”, poiché riteneva che il suo nome non fosse degno di essere pronunciato). Adesso, benché fosse grasso quanto allora, se non di più, Calum Traddles godeva di una nuova reputazione e soprattutto di nuovi vestiti che ne slanciavano la tozza figura.
«Non dubito delle vostre capacità» replicò il signor Snow, «ma della vostra giovane età. Senza offesa, signori miei.»
«Giudicate dai fatti e non dalle apparenze» lo esortò David risoluto.
«D’accordo, allora. Da dove volete che cominci?»
«Elementare! Dall’inizio!»
«Mi chiamo John Snow e possiedo un negozio di pegni al 56 di Charlotte Street. Vengo giusto da lì.»
«Snow come neve?» domandò Calum.
«Precisamente. Sono altresì proprietario di alcuni appartamenti in una palazzina a Clerkenwell. Alcuni mesi fa ho dato in affitto una di quelle stanze a uno sconosciuto presentatosi con ottime referenze. Ha detto di chiamarsi Pitney e mi ha pagato due mesi anticipati, venti sterline.»
«Che giorno è oggi?» lo interruppe David.
«Sabato. Perché?»
«Posso chiedervi come siete giunto in Baker Street?»
«In carrozza» rispose John Snow.
«E siete ebreo?»
«Esatto. Qual è la ragione di tutte queste domande?»
«Non preoccupatevi» disse David. «Proseguite, vi prego.»
«Ebbene, quell’uomo, Pitney, non esce mai dall’appartamento. E quando un mio collaboratore, il signor Boone, va a riscuotere l’affitto, il primo lunedì di ogni mese, egli si rifiuta di aprire e infila il denaro sotto la porta.»
«Non ci vedo nulla di male» osservò Calum.
«Infatti non mi sono rivolto alla Polizia. Pitney non ha compiuto alcun reato. Tuttavia…»
«Tuttavia?»
«Vorrei sapere che combina e perché non esce mai. Cosa nasconde? Quale mistero si cela dietro il suo inspiegabile comportamento?»
«Potrebbe essere un evaso» ipotizzò Calum. «Oppure un uomo costretto a nascondersi. Forse qualcuno gli dà la caccia. Forse lo vogliono uccidere!»
«Forse tu galoppi con la fantasia ...