1
Aika’s pov
«Rendi la tua pelle liscia in pochi minuti…»
Bugia.
«Con la nuova ceretta all’aroma di lamponi sarà un piacere…»
Altra bugia.
La ragazza della pubblicità applica la ceretta sulle gambe per poi strappare senza problemi, sorridendo.
Super mega iperbugia!
Tralasciando il fatto che nelle pubblicità delle cerette le ragazze non hanno mai un pelo. Cosa fate? Vi togliete la pelle?
Poi sorridono. Sorridono! Io quando la faccio urlo così forte che mi stupisco che alla porta non si sia mai presentato nessun vicino per controllare cosa succede.
Dopo lo strappo, passano una salvietta sulla pelle (già senza peli) che ovviamente non presenta il benché minimo rossore.
Io sembro Anastasia dopo essere uscita dalla stanza dei giochi. Come se mi avessero frustata a ripetizione.
Maledetta pubblicità ingannevole.
«Aika!» sento urlare. «Vieni ad aiutarmi.»
Io non ho sentito niente.
Continuo a fare zapping in tv, trovando solo pubblicità che commento con disprezzo.
«Dimagrisci in soli quindici giorni con…»
Ma certo. Fate delle pubblicità vere! Tipo: diventa stupida in quindici secondi.
A quello ci crederei. La gente dice cose stupide anche in meno tempo.
«Aika!» La porta si apre. «Ti ho chiesto di venirmi ad aiutare.»
«Non ti ho sentito.»
«Mi hai sentito benissimo» ribatte uscendo e sbattendo la porta.
Se continua così farà venire giù questa casa ancor prima di riuscire a disfare tutti i nostri scatoloni.
Mi alzo a malincuore dal divano per andare ad aiutarlo.
Zio Mark è un tipo burbero, severo e forse troppo autoritario, ma in fondo ha un cuore buono. E io lo so bene. Anche se non è particolarmente espansivo, le cose che ha fatto per me valgono più di mille parole.
È parecchio alto, robusto, muscoloso, un bell’uomo insomma. Malgrado non abbia mai visto l’ombra di una donna nei miei diciannove anni di vita con lui.
Una volta mi sono azzardata a chiedere se preferisse gli uomini e mi ha lanciato un’occhiataccia. Aveva anche un coltello in mano, perciò ho deciso di non insistere.
Per me non ci sarebbe stato nessun problema.
Ha i capelli scuri cortissimi, che non credo siano mai stati più lunghi di così, e gli occhi in totale contrasto con il suo carattere all’apparenza freddo. Sono di un castano molto chiaro e guardandoli si potrebbe quasi pensare che siano dolci, finché non aggrotta le sopracciglia e ti urla contro.
«Aika! Quella scatola!»
Ecco, appunto.
«Ho capito, ho capito» rispondo. «Datti una calmata» sussurro.
«Ti ho sentita.»
Questa cosa mi ha sempre spaventata e anche un po’ incuriosita. Tu puoi essere anche un ninja addestrato a mimetizzarti, ma lui ti vede. Puoi essere muto, ma lui ti sente comunque (magari questo no ma era per rendere l’idea).
«Allora?» mi domanda sbucando dalla porta davanti.
Ma come ha fatto? Non era dietro?
Punto numero tre: non importa dove tu sia, perché lui c’è.
Nel complesso zio Mark è abbastanza inquietante, lo ammetto, a primo impatto può risultare antipatico. Anche al secondo, terzo e quarto impatto, a dire il vero.
È solo conoscendolo bene che si può capire quanto sia buono, onesto e leale.
Mi affretto ad aiutarlo a mettere in ordine tutte le scatole prima che sbuchi fuori dal terreno con un’ascia.
Ridacchio sottovoce all’immagine che ho partorito.
«Perché ridi?»
Santo cielo…
«Ti piace?»
Annuisco, prendendo un altro boccone, e lui mi fa un cenno compiaciuto. Se c’è una cosa in cui zio Mark è davvero bravo, è cucinare. Insieme a tante altre cose, ma a me importa solo che sia bravo in cucina.
Anch’io me la cavo, e anche piuttosto bene, lui però non mi lascia avvicinare alla cucina, né a nessun altro essere vivente.
«Sa che siamo arrivati?» mi domanda mentre sparecchia.
«Non le ho ancora detto niente. Pensa che arriverò domani.»
«E come mai?»
«Perché si precipiterebbe qui e oggi dobbiamo allenarci, ricordi?»
Zio Mark si gira verso di me con espressione seria e incrocia le braccia al petto: è ora di allenarsi.
«Sei pronta?»
«Prontissima.»
«Vai a cambiarti. Ti aspetto sul retro.»
Salgo in camera per mettermi qualcosa di più comodo.
Mi alleno praticamente da… tutta la vita.
Facevo nuoto? Dovevo fare più vasche degli altri. Trattenere il respiro più a lungo.
Basket? Tirare da più lontano.
Boxe? Sferrare i pugni più forti. Avere la resistenza maggiore.
A karate dovevo essere la più agile. Alla corsa campestre la più veloce e a calcio quella che faceva più gol.
«Devi essere sempre un passo avanti a tutti, Aika.» Avevo sei anni.
«Vinci.» Ne avevo dodici.
«Sii la più forte.» Ne avevo sedici.
«Impara a cavartela da sola.» Ne ho diciannove.
Se vincevo era indifferente, ma se perdevo allora non andava bene. Non mi sono mai ribellata a questa cosa e ho sempre dato il massimo perché vedevo il suo sguardo fiero ogni volta che raggiungevo un traguardo. E poi anche perché lui mi ha tenuta con sé quando nessun altro mi voleva. Gli devo più di qualche medaglia o trofeo. Gli devo la vita.
«Comincia a riscaldarti» mi dice quando lo raggiungo sul retro.
Se devo essere sincera non ho mai capito questa sua ossessione.
Una volta, non molto tempo fa, glielo chiesi e lui mi disse solo: «Non si sa mai».
Mi congedò così e non tornò mai più sull’argomento.
«Flessioni» lo sento dire, e subito comincio con la prima serie.
Tutta questa attività fisica mi ha resa molto tonica, ma per fortuna non muscolosa, non come un uomo, almeno. Zio Mark ha sempre saputo allenarmi adeguatamente.
Non si è mai sposato, non ha avuto figli ed è stato un militare finché non lo hanno congedato per problemi di salute.
Credo che questa cosa l’abbia ferito molto nell’orgoglio perché a volte mi tratta come un soldato che deve obbedire al suo superiore.
Un giorno è venuto in camera mia e mi ha detto che potevo interrompere lo sport che praticavo per iniziare un nuovo allenamento. Con lui.
L’idea non mi entusiasmava granché, smettere di fare uno sport che nemmeno mi piaceva però mi bastava.
Tuttavia l’allenamento era duro, sicuramente non adatto alla pratica quotidiana, ma non obiettai nemmeno su questo.
Non ho mai ricevuto risposte in passato e non ne riceverò ora.
Eppure quell’allenamento, una volta, mi servì per davvero…
2
Damian’s pov
«A te che osservi con l’inferno negli occhi. Che trascini tutti quanti nella tua scia scomparendo con…»
«Damian! È pronto.»
«Dannazione!» sbraito. «Mamma, non chiamarmi mentre sto suonando.»
Rimango in ascolto per assicurarmi che non mi interrompa di nuovo e poi riprendo a suonare.
«Ma è pronto!» urla ancora.
Appoggio la chitarra sul letto e innervosito scendo le scale.
Io posso anche non fare niente tutto il giorno, lei mi chiamerà comunque nell’unico momento in cui sarò occupato.
«L’ho ripetuto un milione di volte: non chiamatemi mentre sto suonando.»
«Se non dovessimo parlarti tutte le volte che suoni non ci rivolgeremmo mai la parola» ribatte mia madre puntandomi contro un mestolo, con mio padre accanto che annuisce.
Sicuramente non l’ha nemmeno ascoltata, ma lui annuisce a prescindere.
Qualsiasi cosa lei dica. La trovo una tecnica abbastanza valida visto che sennò non starebbe zitta un attimo.
«Affittiamo un’isola?» Annuisce.
«Ci sono dei personaggi famosi che comprano le tigri. La trovo una cosa molto eccitante....