Ho scritto un sacco di poesie d’amore.
Ho scritto davvero tante poesie d’amore, da quando ho iniziato a scrivere poesie.
E negli ultimi tempi ho scritto tantissime poesie d’amore per Anna.
Ne ho scritte così tante che, se le metto tutte assieme, ne viene almeno un tre chili. Forse tre chili e mezzo di poesie d’amore.
Solo che poi, adesso, quando le rileggo, mi viene una sensazione strana. Mi viene la sensazione che nelle poesie d’amore per Anna io non stia parlando di Anna, ma di un’altra persona, di un’altra donna.
Io, nei tre chili e mezzo, facciamo quattro – che faccio, lascio? – di poesie d’amore che ho scritto per Anna, che parlano di Anna, che raccontano di Anna e dei suoi capelli biondi e del suo profumo di uva fragola, io forse ho sbagliato persona.
Possibile che io abbia sbagliato persona?
Quante Anne ci sono state nella mia vita?
Sì, lo so a cosa state pensando. State pensando: “Vecchio mio, di Anna ce n’è una sola, quella vera, quella che tu hai idealizzato nelle tue poesie d’amore per Anna”.
Ecco cosa state pensando, pur senza dirmelo.
Possibile?
Come si fa a dimenticare una donna?
Come si fa a dimenticare una donna per non morire di ricordo?
Come si fa a estirpare dal bosco dei tuoi neuroni quell’albero, quel bellissimo tremendo albero che ha piantato le sue radici fin nel centro della Terra, fin nel centro esatto del tuo cervello? Come si fa?
Forse chiedere a un neurochirurgo di farti un’operazione a cranio aperto?
No.
Ho ascoltato tutta la discografia di Lucio Battisti (le canzoni scritte con Mogol, s’intende), ma non ho trovato una riposta. Eppure in quelle canzoni si parla un sacco di questa cosa, tipo “dieci ragazze per me posson bastare”. Ma mi spiace, no. Non ce la faccio.
Come si fa a dimenticare una donna? E se sono due, le donne da dimenticare?
Partiamo da una.
Se cerco di dimenticarla mi devo concentrare su di lei, devo pensare a lei per concentrarmi sulla dimenticanza, ma se penso a lei per dimenticarla sto pensando a lei, e non posso dimenticarla pensandoci.
Più penso di dimenticarla, più penso a lei. Più penso a lei, meno la dimentico.
E allora scrivo poesie e penso. Penso che magari, se scrivo delle poesie, riesco a non pensarla. Solo che inizio a scrivere poesie d’amore che parlano di quanto mi sia difficile dimenticarla, poesie d’amore triste, anzi di non amore, dato che qui non si tratta più d’amore, si tratta di sofferenza e di tentativo di dimenticanza.
E più scrivo meno dimentico, e meno dimentico più cerco una via d’uscita che non c’è, mi spiace ma non c’è, è un vicolo cieco e alla fine del vicolo c’è un dissuasore, un dissuasore mobile di quelli che vanno su e giù.
E su questo dissuasore c’è una frase.
C’è una frase scritta in vernice rosa.
C’è una frase in vernice rosa che dice:
SEI FOTTUTO, FRATELLO.
Ma poi, siamo seri, siamo seri per carità di Dio, se credete in Dio, o per carità di chi volete voi.
Di cosa sto parlando, di quale donna sto parlando? Di Anna? Di Agata? Di Erica? Di Luisa? Di Maria?
Quante donne devo dimenticare prima di poter ricominciare daccapo? E, soprattutto, perché? Perché non sono in grado di accogliere nella mia memoria queste ragazze che tanto mi hanno reso felice? Sì, poi è andato tutto in vacca, però dovrò pur loro qualcosa, dovrò esser loro grato per le oasi di felicità che mi hanno regalato in questa vita faticosa, in questo lungo viaggio nel deserto.
O no?
Scrivo capitoli brevi per un motivo: la soglia di attenzione del lettore medio sta diventando anno dopo anno, giorno dopo giorno, ora dopo ora, sempre più bassa. E dunque io, che sono una persona cortese, cerco di venirgli incontro, al lettore medio.
È colpa della televisione e di Internet, credo. O forse è semplicemente dovuto al fatto che stiamo rincoglionendo tutti quanti.
È meglio essere investiti da un camion su una statale alle due della notte o soffrire d’amore per una donna che tu pensi essere la più bella e intelligente del mondo e simpatica e divertente, ma lei non ti ama più?
Non lo so, non sono mai stato investito da un camion.
L’altro giorno però ho dato un calcio col piede nudo allo spigolo di un mobile che sta in mezzo ai coglioni in casa mia, ho beccato lo spigolo con il mignolo del piede.
È stato dolorosissimo. Non doloroso come essere investiti da un camion, s’intende. Nemmeno doloroso come quando provi il vero dolore amoroso. Anni fa ho avuto anche una periartrite fulminante, il cui dolore, vi assicuro, è atroce. Be’, ora che ci penso una volta mi son beccato una pallottola di grosso calibro in pancia. Quello fu piuttosto spiacevole.
Non è vero, si fa per stemperare.
Ora comunque il mignolo del mio piede sinistro è di un bel blu, tendente al viola. Non escludo sia fratturato.
Ma torniamo a noi. Come si fa a dimenticare una donna?
Una cosa certa è che anche gli amici non vanno bene. Tu esci con gli amici per svagarti e pensi: “Be’, adesso esco con gli amici, tipo la mia amica Francesca, ché lei è una tipa fortissima e anche un po’ matta, e andiamo a berci una birra e parliamo della nostra serie televisiva preferita, che è una serie poco conosciuta ambientata a Chicago, dove i protagonisti sono dei pompieri che sembrano dei modelli e ci sono anche due paramediche fighissime che li seguono sempre in ambulanza e una delle due è lesbica e sembra una supermodella da film, quei film con le lesbiche bellissime che probabilmente, penso sempre, non sono lesbiche ma ottime attrici”.
Ma anche gli amici non vanno bene, ché tu esci con Francesca e al telefono le dici: «Mi raccomando, Francesca. Non si parla di lei, mi raccomando, parliamo di tutto quello che vuoi, anche del tuo lavoro noiosissimo nel negozio di abbigliamento per cani ricchi, anche del tuo inutile fidanzato altissimo, ma di lei mi raccomando no, ché, come sai, devo dimenticare».
E lei dice: «Certo, non ti preoccupare, non ti preoccupare: lei non esiste, non è mai esistita, è come in Se mi lasci ti cancello, ci hanno tolto il pezzo di ricordo sia a me sia a te e dunque non ne parleremo perché manco ce la ricordiamo, ma in cambio mi offri una pizza super farcita».
Ma tanto anche gli amici, anche quelli più fidati, non vanno bene. Ché tu sei lì, davanti alla tua pizza, davanti alla tua amica Francesca che mangia a otto palmenti, e niente, tu guardi la tua pizza con le acciughe e sei completamente inappetente.
Ché non era mai successo che tu, davanti a una pizza, non avessi fame. La consideravi una cosa impossibile, a parte nell’estate del 2006, quando avevi la gastrite.
Ché quasi ti viene da pensare: “Mica avrò una malattia incurabile che inizia con il terribile disturbo dell’inappetenza da pizza (DIP)?”.
E Francesca l’ha già quasi finita, la sua, e tu hai mangiato mezza fetta della tua, che ormai è diventata fredda, e Francesca ti fa: «Non hai fame?».
E tu la guardi.
Guardi gli occhi verdi di Francesca e lei ti chiede: «Posso finirla io?».
«Ma quanto puoi essere stronza, tu?»
«Ma che c’hai?»
«Ma vaffanculo.»
«Ma suca, passa ’sta pizza!»
Ecco, dicevamo. Anche gli amici non vanno bene.
Comunque meno male che il lavoro va bene, meno male che sono un poeta professionista affermato e apprezzato e amato. Ho pure scritto un romanzo di successo, su cui faranno anche un film.
Una piccola-ma-agguerrita casa di produzione ha comprato i diritti alla Grande Casa Editrice (GCE) e abbiamo brindato con lo champagne, anche se a me lo champagne non...