Tutto comincia da un pezzo di legno.
Un pezzo di legno strano, almeno per chi ritiene che non abbia alcun significato: era destinato ad andare sul focolare e rapidamente bruciare. Il che significa trasformarsi in una fiamma e, a poco a poco, diventare cenere. E la cenere non ha proprio nessuna utilità, non serve a nulla, quindi se si considera il valore di un pezzo di legno dal suo destino fatto di polvere, risulta evidente che è poco o nulla.
Ma troppo spesso ci si dimentica del passato di un pezzo di legno, di quando faceva parte di un albero che, oltre a rendere bella la campagna o a ornare le città rivestendole di una chioma verde, produce anche frutti gustosi e necessari alla vita dell’uomo, alla sua alimentazione. Un passato nobile, entro una storia che è radicata nella terra: è lì che è caduto un piccolo seme, che poi si è aperto ed è germogliato, trasformandosi in uno stelo che nel tempo è cresciuto in direzione del cielo, forse pensando di raggiungerlo: per farlo si è radicato bene nella terra e, via via, è diventato più alto e persino più grosso.
E quel pezzo di legno era forse un ramo di quell’albero, forse un pezzo del tronco, e chissà quanti anni aveva vissuto da albero, testimone di quanto accadeva nel mondo. Forse l’albero era enorme e lui ne era un frammento, un frammento di esistenza.
Ogni albero ha una propria personalità e, dentro, mantiene sempre un poco di vita e la può mostrare. Come accade per il pezzo di legno della favola: quando mastro Ciliegia,1 lo vide nella legnaia, ne fu inspiegabilmente attratto e non pensò di buttarlo nel camino per farne fuoco, ma di usarlo per costruire la gamba di un tavolino.
Mastro Ciliegia era vecchio. Basta dire, per togliere ogni dubbio, che aveva il parrucchino, che teneva in bocca un toscano e che non aveva più una bottega attiva in cui costruire panche o armadi per le case dei vicini. Non aveva proprio niente da fare se, preso in mano quel pezzo di legno, si munì anche di ascia per levargli la scorza…
Stava per colpirlo ma ecco che sentì una vocina, che gli pareva uscisse proprio da quel legno, ma no, non si può credere all’impossibile…
Quella voce protestava, diceva che aveva avvertito dolore mentre lo digrossava e quando lo piallava, diceva di smetterla perché produceva un pizzicorino sul corpo.
È garantito che mastro Ciliegia non aveva bevuto quella mattina, nemmeno un goccio di vino e non poteva attribuire tutto all’«essere andato fuori di testa», così pensò che era meglio lasciare da parte quel pezzo di legno, sedersi al tavolino, anche se traballava, e riempire un bicchiere di rosso che teneva in un bel fiasco.
Cercò proprio di non pensarci, perché aveva persino preso paura, si grattò il parrucchino e si mise a parlare da solo come era sua abitudine, perché viveva in quella casa senza nessuno.
Un vecchio solo.
E proprio mentre parlottava tra sé entrò in bottega un suo amico, di nome Geppetto. Si salutarono con cordialità anche se Geppetto si guardava attorno per capire con chi stesse parlando mastro Ciliegia. Non c’era nessuno!
«Che vuoi, Geppetto? Siediti.»
«Son venuto da voi, per chiedervi un favore.»
– Eccomi qui, pronto a servirvi, – replicò il falegname, rizzandosi su i ginocchi.
– Stamani m’è piovuta nel cervello un’idea.
– Sentiamola.
– Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno: ma un burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino: che ve ne pare?
«Mi pare che stiate diventando matto, compare Geppetto.»
«Ma sapete, forse noi vecchi diventiamo tutti matti perché siamo soli, senza più un senso, i nipoti, anche per chi li ha, non vengono più in visita, preferiscono il telefonino, caro mastro Ciliegia.»
«Sedetevi e bevete un bicchiere, è il rosso delle nostre terre di Toscana.»
«Grazie, mastro Ciliegia.»
«Geppetto, voi vorreste un nipote? Un figliuolo? Non ce l’avete e pensate di costruirlo? Ma è un desiderio impossibile! Vi racconto che cosa è successo a me… ve lo racconto, se promettete di non dirlo a nessuno.»
E gli ripeté tutto quanto gli era capitato e, anzi, lo portò a guardare da lontano quel pezzo di legno che entrambi, ora, scrutavano con sospetto. A quel punto fu Geppetto a parlare, anche se lo fece a bassa voce, tanto che mastro Ciliegia avvicinò il suo orecchio destro, perché era anche un po’ sordo.
«Caro amico, siete un po’ pazzo, la mia stessa malattia. Vorreste scambiare quattro chiacchiere con qualcuno ma, poiché non c’è, fingete che per la bottega girino quelli che non ci sono e sentite voci che non si sentono. Entrando, vi ho udito parlare, tanto che pensavo di disturbare…»
«Sentite Geppetto, accomodiamoci, beviamo un altro bicchiere e rispondo alla vostra richiesta.»
Rimasero seduti, in silenzio. Cosa strana perché, vien da dire: «Se avete voglia di parlare ma non c’è nessuno, adesso che siete in due, parlate!».
Tutti e due guardavano quel bicchiere che si svuotava, mastro Ciliegia riaccese quel pezzo di toscano che spesso teneva in bocca spento e poi disse: «Geppetto, vi faccio un piacere che, al contempo, è un piacere che fate voi a me. Prendetevi quel pezzo di legno con la promessa che, qualsiasi cosa faccia, non mi riguarda più».
«Grazie, amico Ciliegia e anzi brindiamo! Mi pare che quel pezzo di legno abbia, al proprio interno, quello che fa per me… lo vedo già, lo vedo.»
Il fiasco era vuoto e mastro Ciliegia cercò di evitare il brindisi, per non aprire un fiasco nuovo.
Affare fatto, anche se non si trattò di un grande affare.
Mastr’Antonio, tutto contento, andò subito a prendere sul banco quel pezzo di legno che era stato cagione a lui di tante paure. Ma quando fu lì per consegnarlo all’amico, il pezzo di legno dètte uno scossone e sgusciandogli violentemente dalle mani, andò a battere con forza negli stinchi impresciuttiti del povero Geppetto.
Geppetto lì per lì pensò che, a buttarglielo negli stinchi, fosse stato mastro Ciliegia, ma lo conosceva da troppo tempo e sapeva della sua bontà.
Pensò fosse più giusto meditare un poco su quella pazzia di cui avevano appena parlato, la follia della vecchiaia, che si chiama abbandono.
Gli si avvicinò, lo abbracciò e preso quel legno, che strinse forte, per immobilizzarlo forse, se ne tornò a casa.
Se il primo personaggio della fiaba è un pezzo di legno, fin dall’inizio fa la propria apparizione anche il secondo: il naso.
Mastro Ciliegia deriva il proprio soprannome dal naso che termina a mo’ di ciliegia, bella grossa, di un rosso caricato. È inutile dire che nel viso dell’uomo il naso ha una particolare rilevanza: è sporgente ed è la prima cosa che si nota, soprattutto se è a ciliegia. Sì, il colore degli occhi, la loro intensità. Sì, le labbra dolci… ma se c’è un nasone, tutto passa in second’ordine e si arriva a occhi e bocca solo dopo un’ispezione più attenta.
Noi, a dire il vero, ne abbiamo già parlato a proposito del borgo di Collodi, ma la vera e propria entrata in scena del naso avverrà nel prossimo capitolo.
Occorre però soffermarsi ancora un poco sulla bellezza che, ad aprire la favola, ci siano due vecchi. Rappresentano i nonni, che hanno una voglia così grande di raccontare le fiabe da entrare essi stessi dentro la fiaba.
Come se nella loro anatomia ci fosse questo bisogno di poter stare con i nipoti e con i bambini di tutto il mondo, per costituire una coppia fatta di opposti:
da un lato un bambino che deve alzare il capo per guardare il vecchio. Anche in questo caso, dal basso, la prima cosa che appare è il naso. Questa volta lo si percepisce subito a partire da quei due buchi che, al confronto di quelli di un bambino, sono giganteschi, perché – anche se non lo dicono – i nonni quando non ci sono i bambini, si infilano le dita nel naso e, qualche volta, mettono un indice nell’uno e un indice nell’altro.
I bambini, invece, hanno appena cominciato a farlo, sempre quando non sono visti e, in particolare, quando non sono visti dai nonni.
Dall’altro lato di questa coppia c’è il vecchio, che dall’alto osserva un bambino e pensa al tempo in cui anch’egli era bambino e guardava affascinato, dal basso, il proprio nonno.
Da una parte la vita da poco incominciata, dall’altra la vita che tra poco finisce. Da una parte il mistero della v...