Una volta Tella aveva sentito dire che, in occasione di un altro spettacolo, Legend aveva cambiato il colore del cielo. Ma non avrebbe mai pensato che il suo potere arrivasse al punto di snaturare la disposizione delle stelle.
I miti narravano che gli astri non fossero semplici luci distanti, bensì entità addirittura più antiche dei Fati, terribili e potenti quanto ipnotiche e magiche. E in qualche modo il Mastro di Caraval le aveva manipolate.
«Mi sorprende che Legend non lo faccia ogni notte» commentò.
«Probabilmente lo farebbe, se potesse.» Il tono di Dante era disinvolto, anche se a Tella parve di scorgere qualcosa di più profondo nei suoi occhi quando il giovane guardò fuori dal finestrino. «La magia può essere alimentata dal tempo, dal sangue e dalle emozioni. Grazie alle speranze e ai sogni di coloro che partecipano a Caraval, il potere di Legend raggiunge il culmine durante il gioco. Le costellazioni dovrebbero cambiare forma ogni notte. Stasera i simboli sono distribuiti sulle diverse feste che si svolgono in città per indicare l’inizio di Caraval, ma domani ci sarà soltanto una costellazione a guidare i giocatori verso il quartiere dove sarà nascosta la prossima serie di indizi.»
Tella poteva anche non aver partecipato in veste ufficiale, ma conosceva i principi basilari. La prima regola da tenere a mente? Caraval era solo un gioco. Si svolgeva di notte, e all’inizio tutti i giocatori ricevevano lo stesso indizio per intraprendere un viaggio che li avrebbe condotti ai successivi e all’eventuale premio finale. Rossella ne aveva dovuti trovare cinque nel corso dell’ultimo Caraval e Tella presumeva che questa volta non sarebbe stato molto diverso.
Innanzitutto, però, doveva trovare il suo amico.
La carrozza effettuò un brusco atterraggio, o forse fu il cuore di Tella a sussultare quando udì l’ultimo rintocco dei dodici che indicavano la mezzanotte.
Strinse la moneta sfortunata che aveva in tasca nella speranza di comunicargli che era arrivata al Castello Follidillio appena in tempo.
Con la moneta sempre stretta nel pugno scrutò il parco per cercarlo, anche se non aveva idea di come fosse fatto. Tutto quello che vide furono fiaccole crepitanti che circondavano un castello arroccato su un poggio, una via di mezzo tra una fortezza in rovina e un palazzo fiabesco. La pietra arenaria riluceva bianca sotto le temporanee costellazioni di Legend, facendo spiccare antichi bastioni, camminamenti diroccati e bizzarre torri coperte da rose rampicanti con i petali rossi orlati di nero.
Il castello scintillante sembrava scaturito dall’immaginazione di una bambina, eppure Tella notò che il fossato che lo circondava conteneva un’acqua talmente scura da non riflettere le stelle di Legend. Forse l’elegante facciata dell’edificio era soltanto frutto di una magia, o forse gli astri erano una delle tante illusioni del Mastro di Caraval in grado di trarla in inganno.
Il gioco era iniziato appena da qualche minuto, e Tella già dubitava di cosa fosse reale e cosa no.
Guardò ancora il fossato in cerca del suo amico, o eventualmente di una barca per raggiungere il castello, ma a quanto pareva c’era un unico modo per arrivarci: uno stretto ponte a una sola campata, fatto di pietre bugnate.
«Cerchi il tuo fidanzato?» le chiese Dante.
«Attento» lo ammonì Tella. «Sembri geloso.»
«Spero solo che tu rinsavisca. Questa è la tua ultima occasione per tornare indietro. Lo vedi anche tu che al nostro anfitrione piace mettere in difficoltà le persone che entrano o escono.»
«Si dà il caso che a me piacciano le sfide.»
«Alla fine siamo d’accordo su qualcosa.» Dante s’infilò la mano di Tella nell’incavo del gomito, come se avesse accettato la provocazione.
«Credevo non ti piacesse portare la stessa ragazza a un ballo due volte» ribatté lei, sostenendo fiera il suo sguardo.
Gli occhi neri come carbone del giovane scintillarono maliziosi; si chinò su di lei e con le labbra calde le baciò i capelli, facendo fremere di gelosia altre parti del suo corpo. «Faccio tutto quello che il mio lavoro richiede.»
Brutto figlio di strega.
Tella avrebbe voluto liberarsi, ma da vicino il ponte era ancora più stretto di quanto le fosse parso dalla carrozza, e non aveva parapetto… proprio come la balconata da cui si era lanciata durante Caraval. La caduta che l’aveva uccisa.
Affondò le dita nel braccio di Dante fingendo disinvoltura, come se lo stesse semplicemente punzecchiando come faceva sempre. «Quindi, cosa vuole Legend da me?» chiese nel tentativo di distrarsi prima che le gambe le cedessero e i polmoni smettessero di incamerare aria, sperando che lui non notasse il suo terrore.
«Non posso dirtelo.»
«Però mi hai detto che ti ha incaricato di seguirmi.»
«Non ho detto questo, soltanto che potrebbe averlo fatto. Forse avevi ragione prima, e voglio passare la serata con te. Forse penso che tu abbia mentito a tua sorella riguardo ai nostri baci nel bosco e ho intenzione di dimostrartelo.»
Le scoccò un sorriso lascivo e devastante; Tella ebbe la netta sensazione che il ponte avesse tremato. Lei però non poteva permettersi di tremare; la posta in gioco quella notte era troppo alta, e lo aveva già baciato una volta.
«Se anche decidessi di crederti, mi preme ricordarti che ho un fidanzato e non sono propensa al tradimento.»
Il sorriso smagliante del giovane si spense di colpo.
Tella sogghignò e gli rifilò una leggera pacca sul braccio. Avrebbe voluto divincolarsi da lui, ma in quel momento raggiunsero il culmine del ponte.
Per tutti i santi santissimi! Il respiro le rimase bloccato in gola come un uccellino in gabbia. Il ponte si era ristretto. Non si era mai trovata a una simile altezza, senza parapetto, né rete, né altro, se non le nere acque inclementi pronte a inghiottirla se fosse scivolata e caduta. Si costrinse a muovere un altro passo, ma tutto quello che vedeva le dava le vertigini.
E poi: era una sua impressione o le fiaccole intorno al Castello Follidillio avevano cominciato a puzzare di zolfo, come se la Morte in persona avesse deciso di alimentarne le fiamme per ribadire la sua volontà di riprendersela?
«Non pensarci» l’ammonì Dante.
«Non voglio buttarmi» disse Tella.
«Non intendevo questo.» Il giovane le accostò le labbra all’orecchio. «Sono morto più volte di quante sia in grado di ricordare. Ogni volta temevo che non sarei tornato indietro, finché non ho capito che è proprio la paura che la nutre. È lo stesso principio per cui le speranze e i sogni accrescono il potere di Legend durante Caraval.»
«Non ho paura della morte.» Non aveva ancora terminato la frase che lo sguardo le cadde in basso e, con suo orrore, si ritrovò a stringere il braccio di Dante ancora più forte.
Lui le accarezzò la mano, beffardo e indulgente.
Dal canto suo, Tella non aveva alcuna intenzione di lasciarlo vincere, qualunque gara stessero disputando.
«È solo che non mi piacciono le gabbie» disse, «e questo posto sembra un’enorme prigione.»
Dante si mise a ridere, anche se questa volta il suono fu molto diverso da quello che Tella aveva udito nella carrozza. Non sapeva spiegarsi il perché, ma aveva il presentimento che avrebbe scoperto la ragione di quella strana ilarità non appena fossero arrivati alla festa.
Tella pensava di sapere cosa aspettarsi una volta entrata nel Castello Follidillio.
Era già stata a Caraval; trovare lei era stato l’obiettivo del gioco. Tuttavia, per quanto in teoria sembrasse eccitante, in pratica si era ritrovata a passare la maggior parte del tempo chiusa in una stanza come una principessa prigioniera in una torre, in attesa di essere salvata. Qualche volta era sgattaiolata fuori di nascosto, ma aggirarsi nei passaggi segreti e spiare nell’ombra la sorella non era minimamente paragonabile al gioco reale, dove si entrava nel mondo decadente di Legend con l’intento di lasciarsi coinvolgere.
In quel momento, però, Tella non aveva alcuna intenzione di farsi coinvolgere. Era mezzanotte passata e doveva trovare il suo amico prima che se ne andasse. Eppure, più si addentrava nel castello, più doveva concentrarsi per non dimenticare il motivo per cui era lì, per non abbandonarsi a quello spettacolo.
L’aria sapeva di magia. Come ali di farfalla caramellate impigliate in ragnatele di zucchero filato, e pesche sciroppate ricoperte di fortuna.
Ancora una volta si chiese se l’erede di Elantine fosse davvero così terribile. Forse a essere tremendi erano soltanto i pettegolezzi sul suo conto, messi in giro da persone invidiose. Il suo ricevimento era proprio come lo avrebbe organizzato lei. Anche se Tella non aveva idea se questo rivelasse qualcosa su di lei o sul padrone di casa.
Continuò a stringere nel pugno la moneta sfortunata, sperando che l’amico fosse ancora alla festa. Ma anche mentre lo cercava non poté fare a meno di notare che ogni angolo della grandiosa sala da ballo era un’esplosione fantasmagorica di sfrenata gazzarra.
Dalla soglia del monumentale arco d’ingresso sembrava che un Fato fosse tornato in vita in un turbine di pellicce e piume colorate. Il Serraglio: una carta che rappresentava l’inizio di una nuova storia o di una nuova avventura.
Donne e uomini con il corpo ricoperto di penne e la testa coronata da piccole corna ricurve dondolavano dal soffitto, eseguendo acrobazie aeree intorno a lunghi nastri di seta color oro o magenta che li facevano assomigliare a enormi bandierine. Sotto di loro, artisti in costume di pelliccia e piume, con la pelle dipinta, si aggiravano come chimere selvagge fuggite da un altro mondo. Tella vide attori travestiti da tigri con ali di drago, cavalli con la coda biforcuta, serpenti con una criniera leonina e lupi con corna da ariete, che ringhiavano, pizzicavano, addirittura leccavano le gambe degli invitati. C’era un paio di basse balconate su cui uomini a torso nudo con grandi ali, simili ad angeli o a stelle comete, spingevano coppie sorridenti su gigantesche altalene appese a baldacchini di fiori e spine.
Tella udì Dante sbuffare al suo fianco.
Forse aveva perso un po’ troppo tempo a fissare quegli uomini affascinanti che sembravano angeli e comete, nella vana speranza che uno di loro fosse l’amico che cercava. Il resto di lei però voleva soltanto assorbire quanti più elementi fosse possibile di quella scena mirabolante. Quante volte aveva sognato un ricevimento del genere. Eppure sapeva di non aver tempo da perdere. Ma i suoi occhi si sforzavano di cogliere ogni dettaglio, le sue dita fremevano per toccare ogni superficie, la sua bocca si schiudeva per gustare un assaggio, non soltanto del cibo, ma della festa stessa. Delle ali di drago e delle risate spensierate, del modo in cui la gente scuoteva la testa e si lanciava intorno occhiate che andavano dal timido al bramoso. Sembrava tutto innocente e malizioso al tempo stesso, e Tella desiderava sperimentare ogni tentazione.
In cima allo scalone si girò a guardare Dante, che con le punte aguzze dei tatuaggi neri che spuntavano dal completo grigio ardesia avrebbe potuto essere la sua ombra. «Perché non ti sei vestito da leopardo con ali di farfalla, o magari da unicorno?»
...