
- 200 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Hai detto trenta?
Informazioni su questo libro
DALLE AUTRICI DEL BLOG I TRENTENNI Lea, Andrea e Viola a scuola erano inseparabili. Poi è arrivata la vita adulta e ha sciolto quel legame che sembrava indissolubile. Viola sogna un figlio dal suo compagno, Lea ha un marito e un lavoro a tempo pieno, Andrea sta per andare a convivere... Ed è proprio mentre impacchetta le sue cose che ritrova un tesoro: la vecchia Smemo, piena di dediche, pensieri, canzoni e una lista, quella delle cose da fare prima dei 30 anni, che le amiche hanno compilato insieme tra i banchi. È così che il trio si riunisce e parte per una vacanza folle e nostalgica, tra concerti di Cremonini e chiamate notturne ai compagni di un tempo, per scoprire che la vita che sognavano è ancora tutta da incominciare.
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Informazioni
Print ISBN
9788817103862eBook ISBN
97888586940771
Butta via qualcosa
C’è ancora la sua seggiolina di vimini, in cantina. Vietato buttarla. Ci sono tantissime scatole e scatoline da aprire, tutte stipate nei grandi armadi di metallo, quelli che riparano dall’umidità.
La trappola per topi, lì in un angolo, non la fa stare tanto tranquilla, ma se ne dimentica subito appena ritrova la scatola di latta della Camomilla con i fiori, le righe rosa e la scritta “Matteo 26.6.1998”. La apre accennando un sorriso.
«Butta via qualcosa, però, mi raccomando Andrea.»
Sua mamma è sempre stata ordinata. Lei no. Lei tiene tutto. Tutto. Ma adesso sta per andare a convivere, e i suoi sono stati chiari: «Portati via le tue cose, altrimenti le buttiamo».
Non lo farebbero mai, ovviamente, ma ci sta che glielo chiedano: devono fare spazio in cantina. E comunque Andrea certe cose le vuole vicino.
Matteo è stato il suo Primo Amore, con la P e la A maiuscole. Esattamente quel primo amore. Quello totalizzante. Quello perfetto e disastroso dei sedici anni.
Lui era il fighetto della classe, bocciato, arrogante e pure brutto. Lei era l’alternativa, Dr. Martens ai piedi e concerti punk-rock. All’inizio, lo odiava profondamente. Tutte gli morivano dietro e Matteo le trattava male, malissimo. Le seduceva, se le faceva e poi non le calcolava più di striscio. E pensare che era anche fidanzato. Andrea, senza peli sulla lingua, gli diceva che era insopportabile, stronzo e brutto. E poi con quel nasone, dove pensava di andare? Non riusciva proprio a comprendere il motivo del suo fascino.
Matteo giocava a calcio nella squadra più forte del campionato scolastico. E, ovviamente, era il miglior giocatore. I suoi migliori amici erano Martino e Filippo. Filippo era il Raoul Bova della scuola: il tipico morettone dagli occhi di ghiaccio, simpatico da far piangere dal ridere. Martino invece era nella fase “sono figo ma ancora non lo so”. Trasandato e sempre in tuta, capelli ricci e ironia travolgente. E buono, profondamente buono.
Andrea, però, era innamorata di Stefano, detto Kurt. Come il suo soprannome lasciava intuire, aveva i capelli lunghi e biondi, occhi azzurri, non troppo svegli, e le T-shirt dei Ramones. Soprattutto, era più grande. Di tre anni: lui diciannove, lei sedici. Lui era in quinta E, lei in seconda B.
Andrea e Stefano avevano limonato, una volta e basta, al parco Sempione, dopo aver ascoltato in macchina – lui aveva già la macchina – i Derozer e i NOFX, parlato del nulla cosmico e fumato una canna.
Il giorno dopo Andrea era pronta a fare il suo esordio in società a scuola, sognava già concerti e poghi in coppia, sabati pomeriggio in Darsena alla Fiera di Sinigaglia, ricerca di vinili e cassette al New Zabriskie Point (lo Zab per gli amici punk), lunghe chiacchierate e viaggi in Inghilterra nei mercatini dell’usato. E invece niente. Ma niente di niente. Stefano si era improvvisamente trasformato in Dory di Alla ricerca di Nemo: “Ciuau, sono Dory. E tu chi sei?”. Aveva forse perso la memoria nella notte? Forse un alieno si era impossessato del suo corpo? Kurt Cobain gli era apparso in sogno e gli aveva detto che, no, lui assolutamente non doveva salutare né rivolgere parola a quella biondina sfigata perché altrimenti il Dio del grunge sarebbe sceso dall’Olimpo e gli avrebbe tagliato quei meravigliosi capelli per sempre? Andrea non lo aveva mai capito, ma così era stato. Stefano non le aveva mai più rivolto la parola e lei, chiaramente, era impazzita. Scritte sui muri, pianti a dirotto e musica a tutto volume nelle orecchie.
Era stato allora che Matteo il brutto, Matteo l’attaccabrighe, Matteo il latin lover, si era intenerito e aveva deciso che il suo obiettivo personale era quello di spaccare la faccia a Stefano.
Non era successo, ovviamente, anche se ci era andato molto vicino – complice una partita di calcetto durante l’ora di educazione fisica. Ma da quel giorno lui e Andrea avevano iniziato a parlare, a confidarsi.
Poi c’era stata la gita a Cogne, quando ancora la parola “Cogne” non faceva venire in mente il plastico di Bruno Vespa, ma solo l’aria di montagna e i rifugi in alta quota. E proprio lì, tra una passeggiata con bastone e le scarpe di Decathlon e una notte passata a dormire abbracciati nello stesso letto senza nemmeno un bacio, Andrea e Matteo avevano iniziato a provare qualcosa l’uno per l’altra.
Si erano fidanzati il 23 settembre del 1998.
Si erano lasciati per la prima volta il 17 novembre del 2000. Una tragedia.
Andrea era stata addirittura bocciata al quiz della patente.
Ripensandoci adesso, le sembrava ancora di sentire il dolore profondo, lancinante e inguaribile che prende la pancia e il cuore quando vieni lasciata dal PA. Nessuna voglia di vestirsi e lavarsi, girava come uno zombie per il piccolo paese nella provincia di Milano dove era nata e cresciuta, indossando sempre la stessa tuta lucida dell’Adidas blu, con le tre strisce laterali sui pantaloni e sulla felpa.
L’unico aspetto positivo erano stati i chili in meno. Solo ed esclusivamente in quel periodo Andrea aveva perso l’appetito, raggiungendo a diciotto anni il peso perfetto. Poi non l’aveva visto più. Il peso perfetto. Matteo era rimasto presentissimo nella sua vita, invece. Allora non aveva compreso il motivo di quell’abbandono repentino, ma oggi, rileggendo la lettera che le aveva scritto in quel famigerato giorno, aveva capito che si trattava di “libertà”. Quella libertà che in gergo è detta anche “corna”.
Adesso stringe la lettera in mano e leggendola continua a sorridere, senza trattenere la commozione.
“Scusa Andrea, scusa se ho rovinato tutto. Tu non hai bisogno di me, hai un carattere eccezionale. Continua ad amare la vita come hai sempre fatto. Sono sicuro che farai grandi cose, perché ne sei capace, perché la vincente, in realtà, sei tu tra i due. Ricordati solo che nessuno regala nulla. Sii determinata e otterrai ciò che vuoi, sfrutta ed esalta le tue capacità, che sono tante.”
Amen.
È strano, pensa, come la scrittura di Matteo sia praticamente identica a quella di Nico. Le L ciccione, le S che sembrano G. Riflettendoci, Nico le sembra la versione perfetta di Matteo. O la versione migliore, quantomeno. Quella senza paure di mostrarsi per ciò che è, senza maschere né filtri.
«Andreaaaaaa! Che piacere vederti! Sei venuta a farti coccolare dalla mamma?»
Le grida della vicina di casa che non vedeva da tempo la riportano alla realtà.
«Eh sì.»
Dopo averla inondata di domande su qualsiasi cosa: «Fidanzato-lavoro-figli-ancora no?-matrimonio-lavoro-fidanzato-casa» si accorge che è tardi e che – purtroppo – deve per forza salutarla…
Grazie, Signore, grazie.
Andrea continua a spulciare tra gli scatoloni, non riesce a buttare nulla.
“Dài, come si fa a buttare la collezione di cartoline dell’Absolut Vodka?”
Le sue preferite erano ovviamente quelle legate ai musicisti: Absolut Pistols con la cover di Never Mind the Bollocks dei Sex Pistols, Absolut Bowie con David Bowie e il mitico fulmine e tantissime altre. Le aveva tutte appese dietro la porta di camera sua, insieme al poster a grandezza naturale di Dylan McKay.
In un’altra cartelletta trasparente, invece, ci sono tutti i ritagli di giornale con gli articoli sui Take That: i Take That per la prima volta in Italia, a Sanremo, Robbie Williams lascia la band, i Take That si sciolgono, Take That in ogni dove.
Si ricorda tutto del periodo da groupie. Lei e la sua amica Laura li avevano seguiti ovunque, i Take That. Perfino in Inghilterra. Perfino a Londra. Organizzavano i viaggi studio con la EF nelle località più vicine alle loro case. Come facevano ad avere gli indirizzi? C’era una figura mitologica, tale Eleonora, che nell’agenda nera che portava sempre con sé li aveva tutti – ed erano gli indirizzi veri! Quello di Mark Owen, Howard, Jason e Gary.
L’unico sbagliato era quello di Robbie. Non aggiornato, in realtà. A confermarlo era un cartello fuori dalla porta: “Robbie Williams non abita più qui”.
Con ognuno di loro Andrea aveva un aneddoto da raccontare. Jason Orange l’aveva incontrato a Plumbley, foto insieme e tanta felicità. Howard Paul Donald – il suo preferito – abitava a Manchester, lei e Laura si erano posizionate sin dalle prime ore del mattino davanti a casa sua, dove era parcheggiata la sua auto, una Mercedes SLK con targa personalizzata: 40 HPD. A un certo punto, Howie era uscito a recuperare il gatto che era scappato. Andrea aveva sempre provato odio per le fan che piangevano, ma quella volta aveva pianto anche lei. E, in una frazione di secondo, aveva scattato trentasei foto identiche, un intero rullino Kodak solo per lui. L’attesa dello sviluppo dal fotografo di fiducia rimane uno dei ricordi più vivi e belli della sua adolescenza.
Gary Barlow abitava in un castello che si vedeva dal treno: le pecore, le colline inglesi verdissime e lì, proprio in cima, la dimora del bel cicciotto dei Take That. Avevano incontrato anche lui mentre usciva da casa, macchina nera e vetri oscurati. Si era fermato per un saluto veloce e una promessa non mantenuta: «I’ll be back in a few». Si fece notte, e loro, babbe, che per educazione non gli avevano nemmeno scattato una foto, erano rimaste invano ad aspettarlo: «Tanto torna…».
La delusione più grande, però, era stata Mark Owen. Un viaggio lunghissimo per raggiungere Lake District: treno fino a Lancaster, bus in mezzo alle campagne inglesi e taxi fino a casa sua. Sperduta nel nulla. La tassista, fan di Star Wars tanto quanto loro dei Take That, le aveva rassicurate promettendo che sarebbe tornata a recuperarle. Ma loro se ne erano andate dopo qualche minuto, quando Mark era uscito dal cancello incazzato, pensando che fossero state loro a scrivergli sul muro con la bomboletta. «No pictures, please!» aveva ruggito.
Per Laura, che era il suo preferito, era stata la peggiore sconfitta della vita. Aveva pianto tutte le sue lacrime. L’unica consolazione gliel’aveva data la fidanzata di Mark, quella di allora, Johanna, che uscendo con l’auto si era scusata per lui: «He’s nervous today, I’m sorry».
«Johanna, noi arriviamo da Milano, il today non è contemplabile, capisci?» aveva risposto Andrea in italiano, sconvolta.
Senza aspettare l’arrivo del taxi, si erano fatte scortare dal proprietario di una fattoria lì vicino, che aveva fatto due viaggi – ovviamente non erano le sole fan presenti – per riaccompagnarle alla fermata del bus.
Andrea muore sempre dal ridere quando ripensa alle avventure legate ai Take That. Continua a spulciare tra gli scatoloni, ghignando tra sé, fino a quando compaiono loro: i biglietti dei concerti.
I biglietti dei concerti erano dei cimeli. Azzurrini, verdini, rosini. Ne trova tantissimi, tutti chiusi in una bustina di plastica. Alle cose cui tiene veramente riserva una cura maniacale.
“Milano Forum, 18 aprile 1995. Lire 35.000”.
Le Lire. Il caro vecchio conio. La cara, vecchia e dimenticata ricchezza.
E poi, eccola. Lei, la Bibbia dei ricordi, il Sacro Graal, il Vangelo secondo gli Anni Novanta. Impossibile cercare di richiuderla, perché l’obiettivo era sempre lo stesso: riempirla fino a farla esplodere. 16 mesi, copertina rosa piena di zampine di gatto adesive e Slimer fosforescenti, scritte con il bianchetto e con gli Uni Posca, foto fissate con lo scotch.
La Smemoranda.
Andrea si mette l’anima in pace, chiude la porta della cantina per accertarsi che nessuno la disturbi e apre l’agenda.
Bentornata adolescenza. Bentornate dediche. Bentornati mozziconi di sigarette appiccicati con accanto un cuore enorme e la scritta: “Comple Carlo”. Bentornate pagine bruciate con le citazioni di Jim Morrison e Brandon Lee. Bentornate foto di classe. Bentornata sabbia di quella vacanza indimenticabile. “Niente è per sempre, ma un ricordo può esserlo. Estate ’96, da non dimenticare.”
Torna indietro nel tempo, viaggiando tra i rico...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Hai detto trenta?
- 1. Butta via qualcosa
- 2. Lea
- 3. Più ci pensi, più non succede
- 4. La lista
- 5. Niente scuse
- 6. Il profumo di maggio
- 7. Ma dove credi di andare?
- 8. Come pioggia sull’asfalto
- 9. Martino
- 10. Messaggio inviato
- 11. Losing My Religion
- 12. Ce l’ho / Manca
- 13. Ok, si parte!
- 14. La mappa
- 15. Rotta per casa di Dio
- 16. Se ci sarò, se ci sarai
- 17. Trio Quartetto compatto
- 18. Fare il bagno nude
- 19. The day after
- 20. Obbligo o verità
- 21. Rivelazioni
- 22. Amicizia
- 23. Nessun rimpianto, nessun rimorso
- 24. Siamo donne
- 25. Imprevisto: uscite gratis di prigione
- 26. Qui dove il mare luccica
- 27. Teste di moro
- 28. Buttana industriale
- 29. Clicca per vedere il video
- 30. Cosa mi aspetto dal domani
- Ringraziamenti
- Copyright