Anche se le istituzioni feudali e i conseguenti rapporti di vassallaggio si imposero inegualmente e più o meno lentamente nei territori conquistati, i Normanni, indubbiamente, vi introdussero l’istituto della signoria che in quell’epoca costituiva la struttura socio-politica fondamentale dell’Occidente «feudale». Non è però facile darne una definizione precisa in quanto essa era assolutamente centrale nella società ma, come vedremo, le sue forme mutavano in funzione, soprattutto, delle condizioni preesistenti sulle quali essa si innestava. Si deve anche aggiungere che la signoria spontanea della conquista e la signoria strettamente controllata dell’epoca monarchica, pur presentando molti punti in comune, sono istituti piuttosto diversi.
Il signore – che poteva essere una chiesa, per sua natura perpetua, o invece un laico che deteneva diritti ereditari – disponeva insieme dei diritti che provenivano dalla proprietà del suolo (signoria rurale) e di determinati diritti pubblici (diritto di esigere tasse, diritto di giudicare, diritto di levare un contingente militare) che costituivano la cosiddetta signoria banale. Il signore godeva, su un territorio limitato – che poteva anche essere costituito di segmenti non contigui – di un’autorità multiforme; da lui dipendevano agenti più o meno specializzati che lo aiutavano a esercitare il suo potere. Ma non si può evitare di mettere in primo piano l’aspetto militare di tale potere, che era all’origine di tutto il resto e si traduceva nel fatto che il signore era circondato da un gruppo di militari di professione (milites, cavalieri) e risiedeva di solito in una fortezza. Forme e origini delle sue entrate, potere e responsabilità gli attribuivano un tipo di vita assolutamente speciale.
Signore e signoria
Conti, baroni e cavalieri
Nell’Italia meridionale, come si è detto, il regime signorile sembra essersi sviluppato facilmente sotto l’impulso dei Normanni negli antichi principati longobardi che già l’avevano sperimentato dopo le concessioni e le usurpazioni della seconda metà del X e degli inizi dell’XI secolo. Al contrario, esso venne introdotto per la prima volta nei territori fino allora dominati dalle autorità bizantine e musulmane. Nei territori bizantini i signori incontrarono particolari difficoltà nell’imporre il loro potere alle città, meno adatte dei villaggi fortificati a ospitare il nuovo tipo di potere e inoltre, come si è visto, già abbastanza inquiete sotto la dominazione imperiale. Ma mentre in Calabria e in Sicilia furono il duca o il conte a distribuire le signorie evitando la moltiplicazione dei grandi domini, nella Puglia bizantina (ancor più che nei principati di Benevento e di Salerno) le signorie risultarono da un impossessamento anarchico del suolo. Questi diversi parametri permettono di spiegare le diversità che si incontrano nell’esaminare la struttura della signoria meridionale.
È però necessario insistere su un certo numero di punti comuni che sono dovuti più che all’origine normanna dei conquistatori (non priva però di importanza) al fatto che il regime si impose, ovunque, in seguito alla conquista militare. Di conseguenza, in tutti i territori considerati gli aspetti pubblici assunsero primaria importanza: la signoria terriera passava in secondo piano rispetto alla signoria banale. Dal suo carattere militare deriva un’altra conseguenza importante: si tratta di una signoria innanzitutto laica. Le signorie ecclesiastiche preesistenti alla conquista normanna, d’altra parte, non erano numerose: segnaliamo quelle delle grandi abbazie campane, Montecassino e San Vincenzo al Volturno, o quella abruzzese di San Clemente di Casauria che si erano ricostituite e nel corso del X secolo e all’arrivo dei Normanni si presentavano come territori compatti intorno alle abbazie, sui quali gli abati esercitavano anche poteri pubblici e in cui avevano completato il processo di «incastellamento».1 L’abbazia della Santa Trinità a Cava de’ Tirreni presso Salerno, sorta all’inizio del secolo XI, non ebbe il tempo di costituirsi in signoria coerente di questo tipo. È noto inoltre che le signorie monastiche erano molto fragili e costituirono quindi, in un primo tempo, una preda molto allettante per gli invasori come lo erano state in passato per i signori longobardi, prima di godere della protezione delle nuove autorità supreme.
A parte questi esempi, le chiese sembrano essere state molto deboli all’arrivo dei Normanni. La rete dei vescovati, drammaticamente ridotta nei secoli VI e VII, cominciò a ricomporsi solo a partire dal secolo XI. La maggior parte delle cattedrali già esistenti erano troppo recenti per avere avuto il tempo di costituirsi in un forte potere temporale. Le più antiche, almeno nei territori latini, erano gravate da almeno due inconvenienti. Il primo, di carattere generale: il passaggio dal dominio caratteristico dell’Alto Medioevo alla signoria coerente dei secoli X-XII aveva coinciso, qui, con un periodo di agitazioni che non aveva consentito a questa mutazione di realizzarsi armoniosamente; inoltre le cattedrali delle capitali politiche longobarde non potevano, evidentemente, costituire una signoria compatta di cui essere il centro poiché erano largamente tributarie, dal punto di vista materiale, del potere principesco. D’altra parte, come si vedrà più avanti, nei territori longobardi del Sud (Puglia compresa) e anche, in certa misura, nei ducati tirrenici, il diritto particolare che governava le chiese private (le più numerose) sottraeva al vescovo buona parte delle rendite che il diritto canonico gli riservava normalmente. Complessivamente, si può affermare che le cattedrali latine non costituivano certo una potenza e nemmeno lontanamente potevano essere paragonate a quelle dell’Italia settentrionale, in cui il vescovo godeva ufficialmente di diritti pubblici sulla città di cui era il personaggio principale, socialmente e politicamente.
Ben diversa era ancora la situazione materiale delle cattedrali greche; purtroppo non sappiamo praticamente più niente sulla loro vita temporale in epoca normanna. Esse erano talvolta molto ricche ma nonostante l’abbondanza dei loro beni godevano, nel quadro istituzionale bizantino, di ben pochi diritti pubblici (sui comuni esenti), i quali non costituivano diritti signorili di tipo occidentale.
Questa generale impressione di scarsa forza delle chiese è confermata dal fatto che proprio in epoca normanna il duca, il conte di Sicilia e altri conti costituirono in pratica essi stessi il dominio temporale delle cattedrali. Esso comprendeva terre e diritti signorili i quali erano però spesso limitati e incompleti (diritti di giustizia su determinate categorie di persone, ad esempio, o entro determinati confini): era ben raro che una cattedrale (o un’abbazia) fosse il solo signore di un luogo abitato; in generale essa condivideva i diritti signorili con un signore laico dal quale derivava la concessione. Chiariamo la situazione con un esempio: nel 1118 il signore di Deliceto (attualmente comune della provincia di Foggia, nell’Appennino della Capitanata), Raimondo di Loritello, riconobbe a Santa Sofia di Benevento il possesso del piccolo territorio abitato di Sant’Efrem (oggi scomparso). Egli rinunciò a tutti i suoi diritti tranne tre giorni di corvées che gli abitanti avrebbero dovuto fornire sulla sua riserva di Deliceto. Gli abitanti di Sant’Efrem, dunque, dipendevano in realtà da due signori, l’uno ecclesiastico e l’altro laico. Esempi di questo tipo di ripartizione si potrebbero moltiplicare a volontà; essi dimostrano che tranne pochi casi importanti ed esplicitamente segnalati, le chiese occupavano un posto di secondo piano nel mondo signorile. Il reclutamento dei vescovi del resto risentiva di questo limite: pochissimi di essi provenivano da famiglie comitali. I signori, l’indomani della conquista, erano dei laici che avevano strappato i diritti pubblici ai poteri preesistenti ed eventualmente potevano solo ridistribuire una parte di tali diritti.
Seconda conseguenza della conquista militare: nelle zone in cui non esisteva un solido potere supremo normanno (la Puglia, gli antichi principati di Benevento e Salerno, gli Abruzzi) la guerra privata era un fatto endemico, nel periodo premonarchico; anche in Calabria appena dopo la morte di Roberto il Guiscardo e nel principato di Capua, nella stessa epoca, regnava l’anarchia, che nel resto dei territori continentali raggiunse il suo culmine durante il regno del duca Guglielmo.
Ultima conseguenza della conquista militare: la consistenza topografica delle contee delle altre signorie più importanti. Come si è detto, nei principati longobardi esistevano già le contee, circoscrizioni amministrative nelle quali il potere era trasmesso in forma ereditaria nelle mani di conti che erano diventati abbastanza indipendenti. In questo senso la condizione del conte era assai diversa da quella del semplice signore; d’altra parte la contea di solito formava un blocco territoriale unitario. In linea di massima i Normanni presero il posto dei conti longobardi; alcuni si impadronirono anche di semplici signorie, ma la maggior parte di esse rimase nelle mani dei Longobardi.
Le cose, certamente, non furono sempre così semplici. Ad esempio la contea longobarda di Aquino, in Campania, scomparve, ma la famiglia che la deteneva continuò a regnare sulla città, pur senza il titolo comitale; Riccardo d’Aquino, nipote dell’ultimo conte longobardo, ricevette in epoca monarchica le contee di Acerra e Buonalbergo. D’altra parte in territorio longobardo i conquistatori normanni crearono talvolta delle contee ben più vaste delle antiche circoscrizioni amministrative; ad esempio la contea del Principato, che comprendeva la zona interna del principato di Salerno (da cui traeva il nome) e possedeva ampie appendici nella zona meridionale della Capitanata; oppure, e soprattutto, la contea di Boiano, conquistata negli anni intorno al 1050 da Raoul de Molisio (cioè di Moulins-la-Marche, un comune della circoscrizione di Mortagne-au-Perche, nell’attuale dipartimento dell’Orne) e che comprendeva il complesso delle diocesi di Boiano, Isernia, Venafro, Trivento, Guardialfiera, Limosano e una parte di quelle di Larino e Termoli. Questa vasta unità, ribattezzata in età monarchica «contea di Molise» dal nome della famiglia che la deteneva, era tanto vasta da formare, nel XIII secolo, una provincia, in generale collegata a quella di Terra di Lavoro. Il Molise è oggi una regione amministrativa, composta dalle provincie di Campobasso e Isernia.
Nell’Italia normanna si andò costituendo anche un’altra unità di notevoli dimensioni. I discendenti di Goffredo (fratello di Roberto il Guiscardo), al quale era stata affidata la conquista di una contea della Capitanata che non fu mai realizzata, a partire da quella regione di cui controllavano alcune città si allargarono verso gli Abruzzi fondando la contea di Loritello, che si estese lungo buona parte della costa abruzzese. Roberto II di Loritello (nipote di Goffredo, 1107-1137) era potente al punto da potersi fregiare del titolo di «conte dei conti»; il ramo secondogenito della famiglia si stabilì in Calabria nella contea di Catanzaro che mantenne fino alla fine del XII secolo, mentre il ramo primogenito venne sostituito nella contea di Loritello da Roberto di Vassonville, marito di Giuditta, sorella di Ruggero II, al quale il re affidò anche la contea di Conversano. Suo figlio Roberto II di Vassonville, che possedeva le due contee ma portava anche il titolo di conte palatino di Loritello e si arrogava, a quanto pare, dei diritti esorbitanti, fu uno dei fautori della rivolta del 1155; venne esiliato ma riprese possesso delle sue due contee. Quella di Loritello venne soppressa alla sua morte.2
Negli Abruzzi occidentali la contea dei Marsi (rivendicata a lungo dallo Stato pontificio) conservò la sua antica dinastia comitale di remota origine burgunda (insediatasi in epoca carolingia); Ruggero II la divise traendone le due contee di Alba e di Celano, che affidò ai due figli del conte; anche i signori di Sangro, che ricevettero il titolo comitale da Ruggero II, appartenevano all’aristocrazia locale.
In Puglia prima dell’arrivo dei Normanni non esistevano, come si è detto, né contee né signorie né, almeno in apparenza, ambiti territoriali definiti. Solo la conquista (che qui fu totalmente anarchica, se si eccettua l’assedio delle grandi città, che richiedeva mezzi consistenti) creò contee e signorie, le più vaste delle quali erano composte di appezzamenti e territori messi insieme casualmente, unificati dalla sola forza delle armi. Inoltre, niente qui distingueva una contea da una semplice signoria. Alcuni detentori di domini importanti, come la famiglia Breton (originaria della Bretagna) a Sant’Agata di Puglia o i signori di Gravina che controllavano buona parte degli altopiani calcarei della Puglia centrale e delle loro pendici, non assunsero il titolo di conti, ma ciò non impedì loro di essere praticamente indipendenti: i signori bretoni di Sant’Agata affermavano di «regnare» solo per volontà di Dio mentre portavano il titolo ereditario di duca.
Nei primi decenni successivi alla conquista si crearono delle minuscole contee che comprendevano solo uno o due villaggi fortificati: è il caso di Vieste o di Devia nel Gargano. Guglielmo di Nonant, conte di Fiorentino, alla fine del secolo XI dominava solo quella piccola cittadella di fondazione bizantina e la adiacente Tertiveri, altrettanto modesta.
Le contee più piccole scomparvero però rapidamente o vennero ben presto declassate; nella Capitanata, il conte Enrico di Monte Sant’Angelo e Lucera, che discendeva per parte di madre dai principi di Salerno ed era genero del grande conte di Sicilia, impose il suo dominio, diretto o indiretto, alla maggior parte del Gargano e alla zona centrale della piana del Tavoliere estendendosi fino ai confini della Campania (Lacedonia);3 anche il conte di Loritello estese il suo potere a più aree della zona delle colline preappenniniche mentre il conte del Principato occupò il Sud della pianura.
Abbiamo già osservato il carattere territorialmente discontinuo che avevano fin dall’inizio e conservarono anche in seguito i grandi domini. Nel Sud della Puglia, ad esempio, i conti di Conversano dominavano Conversano e Monopoli, due città vicine, ma anche Brindisi e Nardò; i signori di Lecce esercitavano la loro autorità su Ostuni, che sorgeva fra Monopoli e Brindisi; Taranto e Gallipoli, poste ai due lati di Nardò, appartenevano a Boemondo; Mottola e Castellaneta, nell’immediato retroterra di Taranto, a Riccardo il Siniscalco, figlio del conte Drogone di Altavilla che deteneva Gioia più a nord. La contea di Montescaglioso, nel Sud della Basilicata, fondata dal fratello del fondatore della contea di Conversano, figlio anche lui di una sorella di Roberto il Guiscardo, possedeva delle appendici nelle regioni di Bari e di Salerno. Inoltre l’habitat della Puglia bizantina non era adatto alla costituzione di signorie, in particolare di signorie di villaggi.
Nel Sud del futuro regno le signorie, come si è detto, furono in generale distribuite dal capo supremo, Roberto il Guiscardo o Ruggero I di Sicilia. Qui praticamente non c’erano contee: in Calabria ricordiamo solo quella di Catanzaro, già citata, e quella di Squillace di cui parla Ugo Falcando. In Sicilia4 non sono attestate contee vere e proprie; la signoria di Siracusa, affidata da Ruggero I al suo bastardo Giordano e quindi, nel 1091, a Tancredi figlio del conte del Principato, non portava questo titolo; il signore di Paternò e Butera, Enrico, della famiglia piemontese degli Aleramici, doveva il titolo di marchese solo alle sue origini; Ragusa, che apparteneva alla famiglia dei conti di Marsico, fu considerata capitale di contea solo nel 1194; Malta fu decretata contea alla fine del secolo XII e assegnata all’ammiraglio Margaritone da Brindisi.
Ripetiamo che nelle regioni già bizantine (Puglia, Basilicata e Calabria) dove non esisteva una vera e propria aristocrazia locale nella Sicilia, che aveva un’aristocrazia musulmana alla quale non vennero mai concessi diritti signorili, tutti i signori (e non solo i conti) erano di origine normanna o francese, almeno nella prima età normanna; sotto la monarchia accedettero al titolo di barone alcune rare famiglie locali. Buona parte dei semplici cavalieri era di origine francese ma in questo ambiente assai più vasto erano ben rappresentati anche gli indigeni; c’erano persino dei cavalieri greci. I milites napoletani, poi, eredi della guardia territoriale bizantina, in epoca monarchica erano stati integrati nel sistema feudale. Ricordiamo anche che alcuni, ma non tutti, i cavalieri erano detentori di feudi: alcuni probabilmente venivano «nutriti» a carico del signore, ma questo avveniva anche altrove. Non sappiamo niente di preciso nemmeno su come si reclutassero questi soldati di professione; anche dopo che Ruggero II ebbe riservato l’accesso alla classe dei cavalieri ai figli di milites, salvo esplicita decisione reale, non è certo che i contorni di tale classe fossero ben definiti. Negli atti, ad esempio, molti cavalieri indicano il loro titolo solo occasionalmente. Nelle città pugliesi non si registra una distinzione netta fra cavalieri e notabili non integrati nel sistema del vassallaggio feudale. Ad Amalfi, inoltre, si è già segnalata l’esistenza di un’aristocrazia residuale di origine non militare.
Da questo quadro possiamo comi...