Autostima fai da te
eBook - ePub

Autostima fai da te

  1. 288 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Autostima fai da te

Informazioni su questo libro

Ogni giorno si rivolgono a Gerry Grassi per un consulto psicologico persone spinte da motivazioni svariate: oltre a coloro che hanno una vera e propria patologia, c'è chi non riesce a superare una delusione d'amore, chi si sente a disagio in mezzo alla gente, chi si trova impigliato in relazioni oppressive e chi è paralizzato dalle paure o è insoddisfatto delle proprie prestazioni nel lavoro. Ma qual è il segreto del metodo di Gerry Grassi? Nonostante sia caratterizzato da tempi rapidi e da strategie non convenzionali, si tratta di un approccio basato su anni di studio e confronto con le massime autorità della psicoterapia. Inoltre Grassi affronta ogni paziente nella sua specificità e lo porta a compiere in prima persona azioni che gli consentono di superare il proprio blocco. Il risultato? Uscendo dal vicolo cieco e abbandonando la zona di comfort, il paziente si sente meglio grazie al cambiamento che ha messo in atto e, guidato passo dopo passo da esercizi pratici, costruisce la propria autostima in tempi brevi. In questo libro, andando incontro anche a chi non ha modo di andare in uno dei suoi studi, Grassi propone il metodo ASTRO (Attenzione, Strategie, Tempo, Risoluzioni, Ostacoli) che ognuno può applicare autonomamente per affrontare e risolvere le proprie impasse. È uno strumento che non sostituisce il lavoro conuno psicologo, ma può essere utilizzato come una sorta di bussola in ogni fase della propria vita, non solo in quelle di crisi, per aggiustare costantemente la rotta. Di continuo, infatti, sul nostro cammino emergono grandi e piccoli ostacoli. Saperli aggirare, ribaltare o addirittura far esplodere, è la chiave per una vita serena e appagante.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2019
Print ISBN
9788817108935

PRONTI A SALPARE

Come sono diventato uno psicologo

Certo che avete un bel coraggio a fidarvi di me, non vi pare? Voglio dire, guardatemi: non ho nulla in comune con l’immagine dello psicologo tradizionale, quello che tiene le mani incrociate sul petto mentre il paziente, disteso sul lettino, gli racconta i sogni della notte prima. E anche il mio percorso di studi, nonché la mia carriera professionale, hanno ben poco di convenzionale. Per non parlare poi della mia vita…
Però, con il senno di poi, mi piace provare a intuire una sorta di predestinazione in quello che ho fatto. Sono nato a Volterra, un comune in provincia di Pisa che, ospitando un noto manicomio, dalle mie parti si era guadagnato il soprannome di “il paese dei matti”. Questi fantomatici matti erano poi anche vicino a casa mia, a Cecina, in una casa di cura che si affacciava su una piazza con una fontana a piramide in cui io sfrecciavo con lo skate. E forse, in fondo, un po’ “matto” da piccolo lo ero anch’io. Ogni tanto, mentre giocavo con i miei amici o correvo da solo in mezzo ai campi, mi succedeva una cosa strana. Era come se all’improvviso il mondo mi si richiudesse addosso. Non sapevo più chi fossi né cosa stessi facendo: mi sembrava di scivolare, quasi in caduta libera, verso un baratro che al tempo stesso mi spaventava e mi attraeva. Il vortice, lo chiamavo. Ed ero convinto che fosse una specie di potere sovrannaturale, come quelli che avevano gli eroi dei fumetti e dei cartoni animati che amavo così tanto. Finché i miei genitori non mi portarono da una psicologa, che mi spiegò che il mio superpotere in realtà aveva un nome ben preciso: “attacchi di panico”. «Ora forse sei un po’ piccolo per capire» aggiunse. «Ma, se il tema ti interessa, da grande potrai saperne molto di più.» Chissà se ha mai anche solo immaginato quanto io l’abbia presa sul serio…
Un’altra cosa che facevo da piccolo era isolarmi, di tanto in tanto, e pensare a delle domande molto più grandi di me. Mi interrogavo sulla natura dell’uomo, sulla vita e la morte, sullo scorrere del tempo. Ero così concentrato sui miei pensieri, ai quali ovviamente non riuscivo a dare una risposta, da dimenticarmi di tutto quello che mi stava attorno. Ricordo ancora la mia mamma quando, dopo lunghe ricerche, riusciva finalmente a trovarmi e doveva proprio scuotermi con forza perché io mi accorgessi di lei. Studiando psicologia, e in particolare la terapia strategica, ho avuto la possibilità di conoscere gli studi di Milton Erickson e le sue teorie sull’ipnosi, e solo a quel punto ho capito che quello che facevo, pur senza saperlo, era esattamente autoindurmi una trance ipnotica.
I GRANDI ESPLORATORI

MILTON ERICKSON

Siccome ve ne parlerò molto in questo volume, tanto vale che vi dica subito chi è Milton Erickson… Americano, nato nel 1901 in una famiglia di agricoltori, soffriva di dislessia e daltonismo. Ammalatosi di poliomielite, rimase paralizzato e, seppure i medici pensassero che non potesse sopravvivere, riuscì a curarsi da solo con l’autoipnosi e persino, almeno per qualche anno, a ricominciare a camminare. Studiò medicina e si specializzò in psichiatria; insegnò all’università ed esercitò privatamente. Straordinario e originalissimo psichiatra, è noto per aver ispirato le tecniche della psicologia strategica e della terapia breve (di cui anch’io, come vi dirò meglio più avanti, oggi faccio uso), ed è stato il primo a intuire che ogni individuo ha già dentro di sé tutto: la capacità di generare problemi, ma anche quella di risolverli. Per me e tantissimi altri colleghi, Erickson è soprattutto un modello e un grande ispiratore. Io ho un’adorazione nei suoi confronti che sfiora il fanatismo: pensate che mi sono persino tatuato il suo ritratto su un braccio!
Capisco che, arrivati a questo punto, uno possa pensare: “Mamma mia, che infanzia difficile! E il panico, e la trance…”. No, davvero: niente di più sbagliato. Nella mia infanzia, così come nell’adolescenza, mi sono divertito tantissimo. Certo, ero un ragazzino po’ turbolento… forse un po’ troppo, a volte. E a scuola avevo un andamento molto altalenante, quindi magari un anno ero il più bravo della classe e pochi anni dopo venivo bocciato – sì, è capitato anche questo. È che, a parte tutti i turbamenti che quelle fasi della vita portano sempre con sé, avevo fuori dalla scuola un’infinità di passioni a cui mi dedicavo con dedizione totale.
La musica, prima di tutto. Da chitarrista ho suonato per anni in varie band e con una di queste, i Justine Dusk, ho fatto anche qualche disco e un’infinità di concerti, in giro per l’Italia e anche all’estero. Passavamo i fine settimana sul furgone, macinando centinaia di chilometri per raggiungere i locali in cui ci saremmo esibiti, e forse dentro di noi eravamo convinti che quella sarebbe stata davvero la nostra strada, il campo in cui avremmo sfondato.
E poi il judo. Ho iniziato a quattro anni e l’ho portato avanti fino ai venti. Avevo un maestro straordinario, Renato, che è riuscito a trasmettermi non solo l’amore per lo sport, ma anche una vera e propria filosofia di vita legata al judo, dalla quale ho imparato tantissimo.
Altre mie grandi passioni erano il surf, il body-board e lo skate. Da ragazzino, dentro o fuori dall’acqua, non facevo altro che sfrecciare su una tavola. Anzi, a dirla tutta non solo da ragazzino… Pochi anni fa ho avuto un ritorno di fiamma e ho ricominciato a usare lo skate: ogni sera, prima di andare a dormire, facevo dei bei giri per il mio paese ascoltando la musica nelle cuffie, fino a raggiungere il mare. Finché una volta qualcosa è andato storto. Forse ero distratto, forse ho preso un sasso o chissà che altro… fatto sta che sono crollato a terra, rompendomi i legamenti del ginocchio. Il medico che mi ha visitato a un certo punto mi ha chiesto: «Senta, signor Grassi… ma lei a trentasei anni non è un po’ troppo grande per andare sullo skate?». «Dottore, l’amore non ha età» ho dovuto rispondergli.
Perché vi racconto queste cose? Cosa c’entrano la musica, il judo, lo skate e il surf con la psicologia? Permettetemi di formulare la domanda in un altro modo così che possa darvi una risposta più completa. «Quale struttura connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei noi con l’ameba da una parte e lo schizofrenico dall’altra?».1 È una frase di Gregory Bateson, un antropologo (e sociologo e molto altro ancora) che amo moltissimo, perché da lui ho imparato l’importanza non solo della multidisciplinarità, ma anche dell’interconnessione fra gli aspetti del sapere umano (e, in fondo, anche delle nostre vite) che sembrano inconciliabili.
I GRANDI ESPLORATORI

GREGORY BATESON

Un altro personaggio affascinante che ha molto influenzato il mio percorso è Gregory Bateson. Nato in Inghilterra nel 1904, studiò biologia su consiglio del padre William (studioso nonché ideatore del termine “genetica”) e solo successivamente, durante una spedizione in Nuova Guinea, iniziò a interessarsi all’antropologia – da solo e insieme alla moglie, anche lei antropologa, Margaret Mead. Trasferitosi negli Stati Uniti nel 1939, si occupò anche di psichiatria insieme a Jay Haley e Don Jackson della Scuola di Palo Alto; poi di cibernetica, ecologia, genetica… Il suo approccio, olistico e interdisciplinare, gli permise sempre di spaziare fra scienze apparentemente molto distanti fra loro, alla ricerca della relazione che connette tutti gli esseri viventi.
Ma quindi, cos’è che unisce tutte queste cose? Secondo Bateson, e più in piccolo anche secondo me, sono le relazioni: quelle che noi, organismi viventi, abbiamo con noi stessi e con il mondo che ci circonda. In parole povere, una cosa non è in sé per sé, ma è in virtù delle relazioni che ha con altre cose. Semplificando, si potrebbe dire che un’arma non è pericolosa di suo: è solo un pezzo di plastica e metallo. Lo diventa però nel momento in cui io la impugno e la punto contro qualcuno. Una pagnotta non è un nutrimento ma solo un mix di acqua e farina, finché io non la addento e mi tolgo la fame. E ognuno di noi non è a priori né buono né cattivo, né arrogante né umile, né aggressivo né pacifico: lo diventiamo nel momento in cui ci relazioniamo con noi stessi e con l’esterno e reagiamo in un certo modo agli stimoli che incontriamo.
La psicologia, in fondo, è stata questo per me: la relazione che mi ha permesso di unire i puntini di ciò che sono e di ciò che mi capita, per tirare fuori il disegno della mia vita. Mi ci sono avvicinato consapevolmente negli anni dell’università, perché ero tremendamente affascinato da tutto ciò che mi sembrava oscuro e misterioso: la mente umana, il ragionamento, le emozioni, l’inconscio, l’ipnosi. Studiando, invece, ho capito che quella straordinaria disciplina non era solo una scienza, ma una sorta di trait d’union magico, eppure al tempo stesso razionalissimo, di tutto ciò che avevo fatto fino a quel momento.
E così il judo, oltre a essere uno sport, è diventata una strategia che applico e consiglio ogni giorno ai miei pazienti. Come? Vi faccio un esempio molto noto per spiegarvelo in maniera chiara. In un combattimento, Bruce Lee non attaccava mai per primo, ma invitava l’avversario a farlo. Questi cedeva alla sua provocazione e Lee sfruttava la forza del suo attacco contro di lui. Più l’avversario è grande, più il suo colpo è forte, più facile è sconfiggerlo. Certo, per farlo bisogna avere una tecnica di combattimento, altrimenti si viene atterrati in un secondo. Ma la psicologia è proprio questo: l’allenamento che ci permette di usare a nostro favore gli attacchi che ci vengono rivolti (dall’esterno, ma anche e soprattutto dall’interno, perché noi umani siamo maestri nel complicarci la vita e crearci ogni genere di difficoltà…).
Il surf non è solo divertimento. È imparare dall’acqua a scivolare, a adattarsi, a lasciarsi plasmare. È rendersi conto che sono le proprie rigidità a creare le rotture. Pensate a un palazzo di cristallo, bellissimo ma statico: in caso di terremoto, in pochi istanti crollerà al suolo. Gli edifici antisismici giapponesi, invece, sono progettati per oscillare: si piegano, ma non si spezzano. Ed è quello che dovremmo fare anche noi… A questo proposito c’è una bella leggenda che riguarda un albero considerato magico da molte religioni, il salice piangente. La storia racconta che un tempo fosse un albero alto e robusto, con i suoi rami possenti tesi verso il cielo. Un giorno un gruppo di boscaioli pensò di tagliarlo, proprio in virtù della sua bellezza, per trasferirlo nel giardino di un principe. Per evitarlo, il salice iniziò a curvarsi verso il basso, facendo scendere i propri rami fino a sfiorare il terreno. A quel punto i taglialegna, credendolo un albero maledetto, decisero di lasciarlo dov’era e corsero via a gambe levate. E così il salice piangente si salvò. Quando siete in difficoltà, pensate ai suoi rami flessibili. Se anche vi si dovessero posare sopra enormi quantità di neve, non potrebbero spezzarsi: la loro sinuosità la farebbe semplicemente scivolare a terra, mantenendo l’albero intatto. Lo stesso dobbiamo imparare a fare noi, quando ci sentiamo addosso il peso dei nostri problemi.
E la musica? La musica è la tecnica che non fa pensare alla tecnica. È un linguaggio che si impara lentamente, esercitandosi di continuo, ma che poi, una volta appreso, non si dimentica più. È come iniziare a leggere: prima si dà importanza a ogni lettera di ogni parola per svelarne il significato, ma dopo un po’ di pratica gli occhi corrono velocemente lungo le pagine senza neanche accorgersi dei singoli segni grafici che le compongono. E, una volta appreso, non si può più disimparare. Quando suonavo, non pensavo alle note che facevo con la mia chitarra: le facevo e basta. Mi ero insomma creato un piccolo automatismo che mi permetteva di non pensare più alla tecnica, ma al tempo stesso di poterla usare a occhi chiusi. E questo, come vedremo meglio più avanti, è un elemento costitutivo di tutte le strategie che propongo e che, pur con modalità diverse, ricorrono sempre alla stessa formula di base: la ripetizione, che innesca nei nostri comportamenti dei circoli virtuosi.

Domani smetto di fare lo psicologo

Quindi, all’età di diciotto anni, ho lasciato Cecina per studiare all’Università di Firenze. Se proprio devo dire la verità, l’ho fatto non solo per interesse verso la psicologia, ma anche per due motivi molto più pratici: primo, volevo andare via di casa e vivere da solo; secondo, pensavo di imparare una professione che mi tornasse util...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Autostima fai da te
  4. INTRODUZIONE
  5. PRONTI A SALPARE
  6. “A” COME ATTENZIONE
  7. “S” COME STRATEGIE
  8. “T” COME TEMPO
  9. “R” COME RISOLUZIONI
  10. “O” COME OSTACOLI
  11. BIBLIOGRAFIA
  12. RINGRAZIAMENTI
  13. Copyright