Molto prima che scoprissimo che aveva generato due figli con due donne diverse, una a Drimoleague e l’altra a Clonakilty, padre James Monroe salì sull’altare della chiesa di Nostra Signora Stella Maris, nella parrocchia di Goleen, nel West Cork, e accusò mia madre di essere una sgualdrina.
L’intera famiglia era riunita in seconda fila. Mio nonno sedeva sul lato del corridoio ed era intento a lucidare con il fazzoletto la targa di bronzo in memoria dei suoi genitori inchiodata sul retro della panca di fronte. Indossava il vestito della domenica stirato la sera prima da mia nonna, la quale, muovendo in silenzio le labbra, continuava ad attorcigliarsi i grani di diaspro del rosario attorno alle dita deformate, finché lui non le posò una mano sulle sue ordinandole di stare ferma. I miei sei zii, i capelli scuri scintillanti di lacca alla rosa, sedevano accanto a lei in ordine crescente d’età e stupidità. Ognuno di tre centimetri più basso di quello accanto, una disparità ben visibile di spalle. Quella mattina i ragazzi facevano del loro meglio per restare svegli. La sera prima c’era stato un ballo a Skull ed erano rientrati ubriachi marci, riuscendo poi a dormire solo poche ore prima che il padre li svegliasse per la messa.
In fondo alla fila, sotto l’intaglio in legno della decima stazione della Via Crucis, sedeva mia madre, le viscere annodate dal terrore per quello che di lì a poco sarebbe successo. Non osava nemmeno alzare lo sguardo.
La messa cominciò come di consueto, mi raccontò poi, con lo stanco adempimento dei riti d’introduzione e il coro stonato del Kyrie. William Finney, uno dei suoi vicini di Ballydevlin, raggiunse tutto borioso il pulpito per le prime due letture liturgiche e schiarendosi la voce dentro il microfono declamò ogni singola parola con la drammatica intensità che avrebbe potuto sfoggiare sul palcoscenico dell’Abbey Theatre. Padre Monroe, traspirando visibilmente sotto il peso dei sacri paramenti e il vigore della sua ira, procedette all’acclamazione e alla lettura del Vangelo, poi invitò la congregazione dei fedeli a sedersi. Tre chierichetti dalle guance arrossate si precipitarono alle loro panche sui lati, scambiandosi sguardi eccitati. Forse avevano letto gli appunti del prete poco prima in sacrestia o l’avevano ascoltato di nascosto provare le parole mentre s’infilava dalla testa l’abito talare. O forse sapevano soltanto di quanta crudeltà fosse capace quell’uomo ed erano ben lieti di non essere loro, per una volta, il suo bersaglio.
«Ogni membro della mia famiglia è di Goleen da tempo immemorabile» cominciò il prete, osservando centocinquanta teste levate e una sola testa china. «Ho sentito delle voci terribili, una volta, secondo le quali il mio bisnonno avrebbe avuto la famiglia a Bantry, ma non ho mai trovato una sola prova che le convalidasse.» Una risata d’apprezzamento da parte della congregazione: un pizzico di sciovinismo locale non aveva mai fatto male a nessuno. «Mia madre» proseguì, «una donna buona, amava questa parrocchia. Ha raggiunto la tomba senza essere mai uscita da una manciata di chilometri quadrati e senza rammaricarsene un solo istante. “Qui ci vive della brava gente” mi diceva sempre. “Gente buona, onesta e cattolica.” E sapete una cosa? Non ho mai avuto motivo di dubitare delle sue parole. Mai fino a oggi.»
Un mormorio percorse la navata.
«Mai fino a oggi» ripeté padre Monroe lentamente, scrollando il capo affranto. «Catherine Goggin è presente alla funzione questa mattina?» Si guardò intorno come se non avesse idea di dove poterla scovare, nonostante Catherine Goggin si fosse seduta su quella stessa panca ogni domenica mattina per ognuno degli ultimi sedici anni. In un baleno le teste di tutti i presenti, uomini, donne e bambini, si girarono verso di lei. Tutte le teste eccetto quelle di mio nonno e dei sei zii, che continuarono a tenere lo sguardo ostinatamente fisso in avanti, e di mia nonna, che la chinò mentre mia madre sollevava la sua, in una basculante altalena di vergogna.
«Catherine Goggin, eccoti lì» disse il prete, sorridendole e invitandola a farsi avanti. «Vieni quassù da me, da brava bambina.»
Mia madre si alzò lentamente e andò verso l’altare, dove mai prima di allora era salita se non per fare la comunione. Non era rossa in viso, mi avrebbe poi raccontato anni dopo, ma pallida. Quel giorno in chiesa faceva caldo, per via della primavera afosa e del fiato dei parrocchiani eccitati, e si sentì malferma sui piedi, con il timore di svenire ed essere lasciata ad avvizzire e marcire sul pavimento di marmo come esempio per altre ragazze della sua età. Lanciò un’occhiata nervosa a padre Monroe e ne incrociò lo sguardo rancoroso per un istante soltanto, prima di distogliere gli occhi.
«L’innocenza in persona» disse il prete, guardando le sue pecorelle con un mezzo sorriso. «Quanti anni hai, Catherine?»
«Sedici, padre» rispose mia madre.
«Parla più forte. Così potrà sentirti anche la brava gente seduta là in fondo.»
«Sedici, padre.»
«Sedici. Alza la testa, adesso, e osserva i tuoi vicini. Tua madre e tuo padre, che hanno vissuto una vita degna, da buoni cristiani, nel rispetto dei genitori che li hanno preceduti. I tuoi fratelli, che noi tutti sappiamo essere giovani virtuosi, gran lavoratori, e che non hanno mai condotto delle fanciulle sulla cattiva strada. Li vedi, Catherine Goggin?»
«Sì, padre.»
«Se mi costringi di nuovo a dirti di parlare a voce alta, ti spedirò con un ceffone dall’altra parte dell’altare, e non un’anima in questa chiesa mi biasimerà per averlo fatto.»
«Sì, padre» ripeté lei, a voce più alta.
«“Sì.” Questa resterà l’unica volta in cui avrai pronunciato tale parola in una chiesa, te ne rendi conto, ragazzina? Non ci sarà mai per te un giorno delle nozze. Vedo che ti stai portando le mani sul ventre ingrossato. Ci nascondi qualche segreto?»
Dalle panche adesso si udì un sussulto. Questo era ciò che la congregazione già sospettava, naturalmente – di che altro avrebbe mai potuto trattarsi? – ma ne aspettava la conferma. Vi fu un passaggio di sguardi fra gli amici così come fra i nemici, tutti con le chiacchiere già bell’e pronte in testa. «I Goggin» avrebbero detto. «Non mi sarei aspettato niente di meno da quella famiglia. Lui riesce a malapena a scrivere il suo nome su un pezzo di carta e lei è parecchio strana.»
«Non so, padre» rispose mia madre.
«Tu non sai. Certo che non sai. Non sei forse solo una sgualdrinella ignorante senza più buon senso di un coniglio in una gabbia? E con la stessa moralità, per giunta. Tutte voi, figliole qui presenti» disse, alzando la voce e girandosi a guardare gli abitanti di Goleen, inchiodati ai loro posti dal suo dito puntato. «Tutte voi, figliole qui presenti, osservate bene Catherine Goggin e imparate che cosa succede a chi gioca a tira e molla con la propria virtù. Si ritrova con un bambino in pancia e nessun marito che si prenda cura di lei.»
Un ruggito fece il giro della chiesa. L’anno prima era rimasta incinta una ragazza a Sherkin Island. Era stato un gustosissimo scandalo. Lo stesso che due Natali prima era scoppiato a Skibbereen. Goleen si sarebbe macchiata di un’identica vergogna? Se sì, entro l’ora del tè la notizia sarebbe stata sulla bocca dell’intero West Cork.
«Ora, Catherine Goggin» proseguì padre Monroe, mettendole una mano sulla spalla e stringendole con forza l’osso fra le dita. «Innanzi a Dio e alla tua famiglia e a tutte le brave persone di questa parrocchia, devi fare il nome del giovane insolente che si è coricato con te. Devi dire il suo nome adesso, in modo che sia indotto a confessare per poter essere perdonato agli occhi del Signore. Dopodiché dovrai andartene da questa chiesa e da questa comunità, affinché tu non possa più infangare il nome di Goleen, mi hai sentito bene?»
Lei alzò gli occhi e guardò mio nonno, il cui viso si era fatto di granito mentre fissava il Gesù crocifisso appeso dietro l’altare.
«Il tuo povero padre non ti può aiutare» disse il prete, seguendo la direzione dello sguardo di lei. «Non vuole avere più niente a che fare con te. Me l’ha detto lui stesso ieri sera, quando è venuto al presbiterio a portare la vergognosa novella. E che qui nessuno incolpi Bosco Goggin per questo, poiché i suoi figli li ha tirati su come si deve, crescendoli nei valori cattolici, pertanto come potrebbe essere ritenuto responsabile di un’unica mela marcia in una cesta di mele sane? Dimmi subito il nome del giovane, Catherine Goggin, dimmi il nome così potremo scacciarti senza essere più costretti a guardare la tua lurida faccia. O forse il suo nome non lo conosci, è così? Troppi ne hai avuti per poterne essere certa?»
Un mormorio di scontento serpeggiò fra le panche. Anche nel bel mezzo del pettegolezzo, la congregazione sentì che la questione rischiava di spingersi un po’ oltre, coinvolgendo nell’immoralità i suoi figli. Padre Monroe, che nel corso di due decenni in quella chiesa aveva fatto centinaia di sermoni e sapeva bene come interpretare le reazioni dei suoi fedeli, fece un piccolo passo indietro.
«No» disse. «No, sento che in te è ancora presente un briciolo di pudore e che c’è stato soltanto un ragazzo. Ma devi immediatamente dirmi il suo nome, Catherine Goggin, in caso contrario ne comprenderò il motivo.»
«Non lo dico» disse mia madre, scrollando il capo.
«Che cosa?»
«Non lo dico» ripeté lei.
«Non lo dici? Il tempo del riserbo è passato da un pezzo, te ne rendi conto? Il nome, ragazzina, o giuro sulla croce che ti caccerò a frustate da questa casa di Dio come una svergognata.»
Lei sollevò gli occhi e si guardò intorno. Era come un film, mi avrebbe poi raccontato, con tutti che trattenevano il fiato domandandosi su chi avrebbe puntato il dito accusatorio, mentre ogni madre pregava che non fosse suo figlio. O, peggio ancora, suo marito.
Lei aprì la bocca e parve sul punto di parlare, ma poi cambiò idea e scrollò la testa.
«Non lo dico» ripeté sommessamente.
«Vattene, allora» disse padre Monroe, balzandole alle spalle e sferrandole un poderoso calcio alla schiena con lo stivale, che la fece incespicare giù per i gradini dell’altare, le mani protese in avanti, perché anche in quella prima fase del mio sviluppo era decisa a proteggermi a tutti i costi. «Fuori da qui, donnaccia, vattene da Goleen e porta la tua infamia altrove. Ci sono case a Londra fatte apposta per quelle come te, e letti dove potrai sdraiarti sulla schiena e spalancare le gambe a tutti e soddisfare così le tue impudiche voglie.»
A quelle parole la congregazione sussultò di orripilata delizia, i maschi adolescenti di eccitazione al solo pensiero, e, quando lei riuscì a tirarsi su da terra, il prete le si avvicinò di nuovo e l’afferrò, trascinandola per il braccio lungo tutta la navata della chiesa, con la bava che dalla bocca gli colava giù per il mento, la faccia paonazza d’indignazione, e forse perfino con una smania evidente a chiunque sapesse dove andare a cercarla. Mia nonna si voltò a guardare, ma mio no...