L'onda
eBook - ePub

L'onda

  1. 160 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

L'ascesa del nazismo. Lo sterminio di un popolo. Com'è potuto accadere? Ben Ross e i suoi alunni stanno per imparare una lezione che non dimenticheranno mai. Chi erano Hitler e i nazisti? E come hanno fatto a trascinare un'intera nazione nel loro folle disegno? Ben Ross, insegnante di storia in un liceo di Palo Alto, prova a raccontarlo ai suoi alunni, ma le ragioni di tanto orrore sembrano incomprensibili ai ragazzi. Così Ross decide di ricorrere a un esperimento, utilizzando la classe come laboratorio. Forma un movimento tra gli studenti, L'Onda, e lo dota di simboli, motti, una rigida disciplina e un forte senso della comunità. In pochissimi giorni lo strano test ha sviluppi incontrollabili, e spaventosi. Tratto da una storia vera, un racconto incalzante e pungente, che è anche la denuncia di una verità inoppugnabile: la Storia, anche nei suoi episodi più crudeli e abietti, può ripetersi. In qualsiasi momento. "L'Onda è liberamente tratto da un articolo di Ron Jones apparso nei primi anni '70 in Whole Earth Catalogue. A dire la verità, mi sono sempre chiesto se l'esperimento condotto dal signor Jones con la sua classe avesse avuto davvero gli effetti raccontati nell'articolo. Ma sono fermamente convinto che il punto non sia se quegli eventi sono veri oppure no." Todd Strasser

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2018
Print ISBN
9788817071765
eBook ISBN
9788858694046

Capitolo 1

Laurie Saunders sedeva nella redazione del giornale della Gordon High School e mordicchiava l’estremità di una penna Bic. Era una ragazza carina, con i capelli castano chiaro e un sorriso quasi inesauribile che svaniva soltanto quando s’arrabbiava, o quando mordicchiava una Bic. Negli ultimi tempi s’era trovata a masticare parecchie Bic, e in effetti nel suo astuccio non rimaneva una sola penna o matita la cui estremità non fosse stata consumata dal suo nervoso mordicchiare. Meglio che fumare, comunque.
Laurie fece correre lo sguardo nella piccola redazione, una stanza occupata da scrivanie, macchine per scrivere e tavoli luminosi. In quel momento avrebbero dovuto esserci ragazzi davanti a ogni macchina, a buttare giù articoli per il Gordon Grapevine, il giornale della scuola. Lo staff artistico e tecnico avrebbe dovuto lavorare ai tavoli luminosi per impaginare il nuovo numero. Però, a parte Laurie, la stanza era deserta. Era una giornata bellissima, questo era il problema.
Laurie sentì la cannuccia di plastica rompersi. Sua madre l’aveva messa in guardia: un giorno o l’altro avrebbe masticato la penna fino a mandarla in frantumi e una lunga scheggia di plastica appuntita le si sarebbe conficcata in gola, facendola soffocare. Solo lei poteva arrivare a una conclusione del genere, si disse Laurie con un sospiro.
Alzò lo sguardo all’orologio sulla parete. Mancavano soltanto pochi minuti alla fine dell’intervallo. Non c’erano regole che obbligassero la redazione a lavorare durante gli intervalli, però tutti sapevano che il nuovo numero del Grapevine sarebbe dovuto uscire in settimana. Non potevano smetterla coi frisbee e le sigarette e l’abbronzatura, soltanto per qualche giorno, in modo che il giornale uscisse in tempo?
Laurie ripose la penna nell’astuccio e iniziò a raccogliere i quaderni per l’ora successiva. Non c’erano speranze. Faceva parte dello staff da tre anni e il Grapevine era sempre uscito in ritardo. E adesso che era diventata la caporedattrice le cose non erano cambiate. Avrebbero finito il numero del giornale solo quando avessero trovato del tempo da dedicargli.
Dopo essersi chiusa la porta della redazione alle spalle, Laurie si ritrovò nel corridoio. Era praticamente deserto; la campanella del cambio dell’ora non era ancora suonata, e in giro c’era soltanto qualche studente. Laurie superò alcune porte e si fermò davanti a un’aula. Sbirciò attraverso la finestra.
La sua migliore amica, Amy Smith, una ragazza graziosa dai boccoli alla Riccioli d’Oro, cercava di sopravvivere agli ultimi attimi della lezione di francese del signor Gabondi. Laurie aveva seguito il corso del signor Gabondi l’anno prima ed era stata una delle esperienze più terribilmente noiose della sua vita. Il signor Gabondi era un uomo tozzo, bruno, corpulento, e dava sempre l’impressione di sudare, anche nei giorni più freddi dell’inverno. A lezione, parlava con un tono piatto e tedioso che faceva venire sonno anche agli studenti più brillanti. E malgrado il corso non fosse stato difficile, Laurie ricordava bene quanto le fosse costato mantenere l’attenzione necessaria per prendere una A.
In quel momento, alla vista della sua migliore amica che si sforzava di stare attenta, Laurie decise che doveva trovare il modo di tirarla un po’ su. Così si fermò dietro la porta, dove Amy poteva vederla e invece il signor Gabondi no, incrociò gli occhi e fece una smorfia stupida. Amy reagì tappandosi la bocca con la mano per trattenersi dal ridere. Laurie fece un’altra smorfia e Amy cercò di non guardare, ma senza resistere alla tentazione di voltarsi per vedere che cosa stesse preparando l’amica. A questo punto Laurie fece la sua celebre faccia da pesce: spinse in avanti le orecchie, incrociò gli occhi, e arricciò le labbra. Amy si sforzò così tanto di trattenere le risate che qualche lacrima cominciò a rigarle le guance.
Laurie sapeva di non dover fare altre facce. Guardare Amy era davvero uno spasso: rideva per qualsiasi cosa. Sarebbe bastata un’altra smorfia e con ogni probabilità sarebbe caduta dalla sedia ruzzolando tra le file di banchi. Ma nonostante tutto, non seppe resistere. Si girò con le spalle alla porta per creare un po’ di suspense, contorse la bocca, strabuzzò gli occhi e poi si voltò.
Sulla porta però c’era il signor Gabondi, ed era furioso. Alle sue spalle, Amy e il resto della classe ridevano come matti. La mandibola di Laurie cadde. Ma prima che il signor Gabondi potesse rimproverarla, la campanella suonò e d’improvviso la classe si riversò nel corridoio, sfilandogli accanto. Amy uscì reggendosi la pancia per il gran ridere. Mentre il signor Gabondi le fissava, le due ragazze si avviarono alla lezione successiva, senza più fiato per riuscire a ridere ancora.
Nell’aula in cui si teneva il corso di storia, Ben Ross era chino sul proiettore a cercare di infilare la pellicola nel complesso intrico di rulli e lenti. Questo era il suo quarto tentativo, e neanche stavolta ci stava riuscendo. Frustrato, Ben si fece correre le dita tra i capelli mossi e castani. Aveva sempre avuto enormi difficoltà con le macchine – proiettori, automobili, persino la pompa automatica del benzinaio locale lo faceva impazzire.
Non era mai riuscito a capire perché fosse così incapace, ragion per cui, quando doveva vedersela con qualcosa di meccanico, lasciava fare a Christy, sua moglie. Lei insegnava musica e dirigeva il coro alla Gordon High, e a casa aveva la responsabilità di tutto ciò che richiedesse una certa abilità manuale. Christy scherzava sempre sul fatto che non ci si poteva fidare di Ben neppure per cambiare una lampadina, mentre Ben si difendeva dicendo che era un’esagerazione. In vita sua aveva cambiato parecchie lampadine e ricordava di averne rotte soltanto due.
In tutto il tempo passato alla Gordon High – Ben e Christy insegnavano lì da due anni – era riuscito a nascondere le sue incapacità meccaniche. O meglio, le sue incapacità erano state messe in ombra dalla crescente fama di insegnante giovane e straordinario. Gli studenti di Ben lodavano la sua intensità: si lasciava appassionare e coinvolgere da un tema a tal punto che anche loro non potevano far altro che entusiasmarsi. Era contagioso, dicevano, riferendosi al suo straordinario carisma. Sapeva conquistarli.
I colleghi di Ross, invece, provavano nei suoi confronti i sentimenti più variegati. Alcuni erano stupefatti dalla sua energia, dalla sua dedizione e dalla sua creatività. Correva voce che avesse uno stile tutto nuovo di insegnare, che per quanto possibile cercasse di avvicinare i suoi studenti agli aspetti concreti, rilevanti della storia. Se studiavano un sistema politico, divideva la classe in partiti; se studiavano un famoso processo, alcuni impersonavano gli avvocati dell’accusa e altri quelli della difesa, e altri ancora si sedevano e diventavano la giuria.
Altri colleghi dell’istituto, però, erano più scettici nei confronti di Ben. Alcuni dicevano che era soltanto giovane, ingenuo e troppo zelante, che tempo qualche anno si sarebbe calmato e avrebbe cominciato a tenere i corsi nel modo giusto: tante cose da leggere a casa, test settimanali e lezioni tradizionali. Altri semplicemente non gradivano il fatto che non indossasse mai giacca e cravatta in classe. Un paio avrebbero persino ammesso che la loro era pura e semplice gelosia.
Ma di sicuro, se c’era una cosa di cui gli insegnanti non avrebbero potuto dirsi gelosi di Ben era la sua totale incapacità di vedersela con i proiettori. Pur brillante in altre occasioni, in quel momento non sapeva far altro che grattarsi la testa e fissare il groviglio di celluloide dentro il marchingegno. Mancava soltanto qualche minuto, poi la classe di storia dell’ultimo anno sarebbe entrata in aula. Erano settimane che aspettava di far vedere quel film ai suoi studenti. Perché i suoi colleghi non tenevano un corso su come inserire una pellicola in un proiettore?
Ross riavvolse la pellicola sul rullo e la lasciò così, penzolante. Era certo che almeno uno dei ragazzi del corso fosse una specie di genio degli apparecchi audiovisivi, e che avrebbe saputo far funzionare quel marchingegno in un istante. Tornò alla scrivania e raccolse una pila di compiti a casa che voleva riconsegnare agli studenti prima della proiezione del film.
I voti ormai erano diventati prevedibili, pensò Ben, mentre sfogliava i compiti con il pollice. Come al solito ce n’erano due da A, quello di Laurie Saunders e quello di Amy Smith. C’era un A-, e poi la solita manciata di B e C. C’erano due D. Una era di Brian Ammon, il quarterback della squadra di football, un tipo che pareva gradire i voti bassi, anche se per Ben era chiaro che, se solo avesse voluto, sarebbe stato in grado di fare molto meglio. L’altra D era di Robert Billings, il perdente della classe. Ross scosse la testa. Quel Billings era un bel problema.
Fuori dall’aula la campanella suonò e Ben udì il rumore delle porte che si spalancavano e degli studenti che si riversavano in corridoio. Era singolare il fatto che gli studenti uscissero sempre in fretta dalle aule ma che arrivassero alle lezioni successive a passo di lumaca. In generale, Ben era convinto che le scuole superiori fossero diventate un posto migliore dove far studiare i ragazzi, in confronto a quando le aveva frequentate lui. Però c’erano alcune cose che lo infastidivano. Una era l’indolenza dei suoi studenti sul tema puntualità: a volte cinque, persino dieci preziosi minuti di lezione andavano persi mentre gli studenti arrivavano alla spicciolata. Ai tempi in cui era stato studente lui, se non ci si trovava in classe alla seconda campanella, erano guai.
L’altro problema erano i compiti a casa. I ragazzi non si sentivano più obbligati a farli. Potevi strillare, minacciarli con voti che arrivavano alla F o con punizioni, ma non aveva importanza. I compiti a casa erano diventati praticamente facoltativi. O meglio, come gli avevano fatto notare alcuni alunni del primo anno qualche settimana prima, “Lo so che i compiti sono importanti, signor Ross, ma la mia vita sociale viene prima”.
Ben ridacchiò. Vita sociale.
Ormai gli studenti cominciavano a entrare in aula. Ross individuò David Collins, un tipo alto e di bell’aspetto che giocava nel ruolo di running back nella squadra di football. Era il ragazzo di Laurie Saunders.
«David» disse Ross, «potresti occuparti del proiettore?»
«Certo» rispose David.
Ross rimase a guardare mentre David si accovacciava accanto al proiettore e iniziava a trafficare con disinvoltura. In pochi secondi riuscì a sistemare nel modo giusto la pellicola. Ben sorrise e lo ringraziò.
Robert Billings si trascinò nell’aula. Era un ragazzo goffo, con la maglietta sempre fuori dai pantaloni e i capelli perennemente arruffati, come se non si prendesse mai il disturbo di pettinarli quando usciva dal letto, al mattino. «Vediamo un film?» chiese, quando vide il proiettore.
«No, scemo» disse un ragazzo di nome Brad, specializzato nel tormentarlo. «Il signor Ross ha preparato il proiettore così, per divertimento.»
«Va bene, Brad» disse Ben in tono severo. «Basta così.»
Il numero degli studenti arrivati bastava perché Ross cominciasse a riconsegnare i compiti. «Molto bene» disse a voce alta, per richiamare l’attenzione della classe. «Ecco i compiti della settimana scorsa. In generale, avete fatto un buon lavoro.» Camminò su e giù per le file di banchi consegnando ogni compito al rispettivo autore. «Ma vi avverto: sono sempre più sciatti.» Si fermò e ne sollevò uno perché la classe potesse vederlo. «Guardate questo. Era davvero necessario scarabocchiare i margini del foglio?»
La classe ridacchiò. «Di chi è?» chiese qualcuno.
«Non è affar tuo.» Ben ripose il compito tra gli altri e continuò a distribuirli. «D’ora in poi inizierò ad abbassare i voti ai compiti troppo pasticciati. Se fate molte correzioni o errori sul foglio, ricopiate il vostro tema e fate una bella copia prima di consegnarlo, intesi?»
Alcuni ragazzi annuirono. Altri non lo stavano neanche ascoltando. Ben si piazzò di fronte ai ragazzi e abbassò il telo per la proiezione. In quel semestre era la terza volta che li riprendeva per le condizioni dei compiti.

Capitolo 2

Stavano studiando la Seconda guerra mondiale, e il film che Ben Ross fece vedere alla sua classe quel giorno era un documentario sulle atrocità commesse dai nazisti nei campi di concentramento. Nell’aula buia gli alunni non staccavano gli occhi dallo schermo. Vedevano uomini e donne emaciate, ridotti alla fame a tal punto da non sembrare altro che scheletri ricoperti di pelle. Persone le cui ginocchia erano la parte più consistente delle gambe.
Ben aveva già visto quel film o film del genere dozzine di volte. Però la visione delle spietate e disumane crudeltà dei nazisti non smetteva di terrorizzarlo e di farlo infuriare. La pellicola continuava a scorrere, e intanto lui parlava con trasporto: «Quello che vedete è successo in Germania tra il 1934 e il 1945. È opera di un uomo di nome Adolf Hitler, un umile lavoratore, poi facchino e imbianchino, che iniziò a interessarsi alla politica dopo la Prima guerra mondiale. La Germania ne era uscita sconfitta e il suo prestigio era in declino, l’inflazione era alta e c’erano migliaia di senzatetto, affamati e disoccupati.
«Per Hitler fu l’occasione buona per ascendere rapidamente ai vertici del partito nazista. Abbracciò la teoria secondo cui agli ebrei doveva essere imputata la decadenza della civiltà, e che i tedeschi fossero una razza superiore. Oggi sappiamo che Hitler era un paranoico, uno psicopatico, un pazzo. Nel 1923 fu rinchiuso in galera per le sue attività politiche, ma dal 1934 lui e il suo partito riuscirono a impadronirsi del governo tedesco.»
Ben fece una pausa per permettere agli studenti di guardare tranquilli il film. Davanti ai loro occhi, camere a gas e mucchi di corpi impilati come legna da stufa. Gli scheletri umani rimasti in vita avevano il macabro compito di accatastare i morti sotto gli occhi dei soldati nazisti. Ben sentì torcersi lo stomaco. Com’è possibile che sulla terra creata da Dio qualcuno costringa un’altra persona a fare una cosa del genere? si chiese.
Poi riprese a parlare. «Hitler definiva i campi di sterminio “la soluzione finale della questione ebraica”. I nazisti, però, proclamandosi razza superiore, vi spedirono chiunque reputassero inadatto, non solo gli ebrei. Quelle persone furono ammassate in campi sparsi per tutta l’Europa orientale e dopo essere state costrette a lavorare, ridotte alla fame e torturate, quando ormai non erano più in grado di lavorare vennero sterminate nelle camere a gas. E i loro resti furono bruciati nei forni.» Ben fece una pausa e poi aggiunse: «L’aspettativa di vita dei prigionieri nei cam...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Capitolo 1
  4. Capitolo 2
  5. Capitolo 3
  6. Capitolo 4
  7. Capitolo 5
  8. Capitolo 6
  9. Capitolo 7
  10. Capitolo 8
  11. Capitolo 9
  12. Capitolo 10
  13. Capitolo 11
  14. Capitolo 12
  15. Capitolo 13
  16. Capitolo 14
  17. Capitolo 15
  18. Capitolo 16
  19. Capitolo 17
  20. Nota
  21. Copyright