Colpo di fulmine
La bellezza non è certamente il mio punto di forza, e questo non è un segreto per nessuno. Sarei uno sciocco se pensassi di essere un adone, ma io nella vita ho scelto di fare il pilota di motocross e non il fotomodello, quindi del mio aspetto fisico non mi è mai interessato più di tanto.
Il fascino ha regole decisamente diverse da quelle della bellezza e non sempre le due cose coincidono: è proprio su questo principio che ho fondato la sicurezza in me stesso. Con le ragazze me la sono cavata ogni volta piuttosto bene, restando sempre fedele a me stesso e senza mai interpretare un ruolo diverso. Sempre, anche quando ero un giovane e squattrinato pilota della provincia messinese.
Non saprei dire perché, ma l’approccio con l’altro sesso mi è sempre venuto molto naturale. Non mi ha mai spaventato avvicinare una bella ragazza, tranne forse Jill: con lei, soprattutto all’inizio, mi sono sentito un po’ in difficoltà.
La sua eccezionale bellezza nordica, il suo sorriso, quel suo essere un po’ enigmatica mi rendevano difficile immaginarla al mio fianco, e poi l’ostacolo della lingua mi sembrava insormontabile.
Correva l’anno 2005, era il mio secondo Mondiale e qualche mese prima di conquistare il titolo le avevo già messo gli occhi addosso: mi ricordo che in Giappone la vidi e dissi al mio amico fotografo Stefano: «Ahó, ma chi è quella lì? Damme un po’ sto zoom…». Così, complice la portata del suo teleobiettivo, riuscii a rubarle qualche scatto senza che lei se ne accorgesse. Poi a settembre, a Lierop, lei venne a complimentarsi con me per la conquista del titolo: la cosa comica era che pensava che Chicco Chiodi e Tony Cairoli fossero la stessa persona! Ancora oggi quando lo raccontiamo ne ridiamo!
Io stavo gironzolando all’interno del paddock con la bicicletta e lei, che stava passeggiando con le sue amiche, mi fermò per complimentarsi con me: le sorrisi ma non dissi granché. Lei pensò che fossi rimasto colpito e che fossi molto timido, ma la realtà era che non parlavo inglese e preferii evitare figuracce dicendo qualche castroneria. In quel primo incontro ci fu però subito il colpo di fulmine.
Una spia nella casa dell’amore
Iniziai così un lavoro di “spionaggio” chiedendo informazioni in giro e scoprii che era fidanzata. Decisi quindi di aspettare senza fare altre mosse, ma da quel momento cominciai a pensare solo a lei. Nel 2006, diversi mesi dopo il nostro primo incontro al paddock, ci scambiammo gli indirizzi e-mail e iniziammo una buffa corrispondenza a singhiozzo. Io le scrivevo con l’aiuto dei traduttori on line e poi aspettavo con impazienza la sua risposta. Al tempo però gli smartphone non esistevano e, non avendo un pc portatile, dovevo attendere i Gran Premi per andare a rompere le scatole a Stefano in sala stampa e controllare sul suo portatile se lei mi aveva risposto.
Jill ricorda ancora la frase con la quale, a un certo punto, mi dichiarai per via telematica: “I wanna start a story with you” e ovviamente ancora mi prende in giro! L’inglese non era il mio forte e i traduttori on line erano davvero inaffidabili al punto che, al confronto, Google Translator oggi è un interprete professionista.
A ogni modo ci capivamo e riuscivamo a parlare anche di cose serie, non solo di gare. Stimolato da quella frequentazione virtuale iniziai a studiare un po’ di inglese e a parlarlo ogni qual volta ce n’era occasione. Devo ammettere che è anche per merito di Jill se ho una buona dimestichezza con la lingua.
Oggi, tra di noi parliamo quasi sempre in inglese, anche se Jill capisce e parla bene l’italiano e io capisco e parlo l’olandese, ma sono due lingue che riserviamo alle nostre conversazioni private, quando abbiamo bisogno di dirci qualcosa di più intimo.
Galeotto fu MSN
Solo nel 2007 però, quando lei fu di nuovo single, tentai l’affondo. Ci eravamo rivisti qualche volta nel paddock e avevamo cominciato a scriverci su MSN Messenger, una chat di messaggi che al tempo svolgeva la funzione dell’odierno Whatsapp. Messaggio dopo messaggio nacque una bella amicizia, che ci portò in maniera del tutto naturale al nostro primo appuntamento.
Prima di andare a mangiare in un ristorante italiano di Lommel, le chiesi di passare da noi al team, dove c’erano tutti i ragazzi della squadra: era una sorta di presentazione ufficiale alla quale tenevo particolarmente. Lei era invece molto nervosa e timida, e a un certo punto chiese di poter usare il bagno. Non poteva immaginare che il bagno dell’officina fosse uno stanzino senza porta, chiuso solo da una tenda e senza alcuna privacy. Ovviamente fece un immediato dietrofront e andammo direttamente a mangiare.
Al primo appuntamento ne seguì un secondo, questa volta in un ristorante belga, giusto per par condicio.
L’anello
Arrivò il primo bacio e cominciammo a frequentarci, poi finalmente a luglio venne a Roma in occasione del suo compleanno. Io e Matteo Bonini, con cui condividevo il piccolo appartamento sopra l’officina romana, le facemmo trovare una torta e la sera la portai in giardino dove, con le luci dell’albero di Natale, avevo scritto sul muro di cinta “Jill”, con un cuore vicino. Per suggellare il momento e renderlo solenne, le diedi un anello: finalmente stavamo insieme.
Quando tornò a casa dalle sue amiche era piuttosto perplessa: un italiano le aveva fatto una proposta di fidanzamento e le aveva dato un anello. Che cosa poteva significare nelle antiche usanze dei popoli latini? Qualcuna avanzò l’ipotesi che fossimo addirittura già sposati e quando me lo raccontò mi feci un sacco di risate. Le profonde differenze culturali date dalle nostre educazioni e dai paesi di origine si fecero sentire soprattutto all’inizio della nostra relazione, ma a seguito di un lungo lavoro di mediazione riuscimmo a trovare un compromesso ideale.
Credo di poter affermare tranquillamente che Jill sia ormai diventata un po’ italiana, limando alcune asperità di un carattere tipicamente nordico e freddo e imparando ad apprezzare a fondo l’Italian way of life, il nostro modo di vivere, più rilassato e accomodante, mentre io ho imparato a essere più puntuale e molto meno approssimativo. Insomma, la convivenza ha fatto bene a entrambi e ci ha resi un po’ più cittadini del mondo.
Sicilia-Olanda, connubio perfetto
Quando i miei la conobbero non ne furono immediatamente entusiasti: la grande distanza di mentalità tra Sicilia e Olanda era un ostacolo difficilmente sormontabile, soprattutto se, di fondo, si ha l’idea che è sempre meglio avere “mogli e buoi dei paesi tuoi”; lei però seppe conquistarli semplicemente con la sua naturalezza.
Quando si resero conto di quanto il nostro rapporto fosse profondo e di quanto lei mi facesse bene, praticamente la adottarono, trattandola come una figlia. Sono molto felice che lei abbia potuto conoscere bene i miei genitori e che loro la reputassero la persona giusta per me.
Oggi casa nostra è in Italia, vicino a Roma, a poca distanza dal mare ed è circondata da palme, piante che per lei hanno un significato particolare.
Jill fino all’età di quindici anni non aveva mai visto il mare e a sedici prese per la prima volta un aereo, per andare in vacanza in Spagna. Lavorava in un negozio di fiori e dopo aver messo da parte i soldi per tutto l’anno, partì insieme a delle amiche: lì vide per la prima volta le palme e quegli alberi, da quel momento, divennero per lei il simbolo della libertà e del piacere di scoprire il mondo.
Parte di me
Jill è diventata una parte fondamentale della mia vita, il motore delle attività extra-pista e l’artefice delle nostre iniziative imprenditoriali. A lei riconosco il coraggio di aver saputo rinunciare alla vicinanza della sua famiglia e delle sue amiche per vivere con me, costruendo una famiglia insieme in Italia. Non è semplice lasciare tutto per seguire un sogno, e io ne so qualcosa, ma ancora meno semplice è farlo andando a vivere in un paese straniero così diverso da quello di origine.
In vita mia ho regalato solo un paio di anelli e l’ho fatto quando mi sentivo sicuro che fosse la cosa giusta da fare, non certo per avarizia ma l’anello mi è sempre sembrato un impegno importante. Entrambi li ho regalati a lei: il primo quel giugno del 2007 a Roma, il secondo quando le ho chiesto di sposarmi mentre eravamo in vacanza ad Abu Dhabi, al termine della stagione 2016.
Il nostro matrimonio si è celebrato a Tolfa, non distante da Roma, nell’ottobre del 2017 ed è stato il coronamento di un anno speciale, durante il quale sono riuscito a conquistare nuovamente il Mondiale MXGP e a sposare la donna che amo.
Testimoni di nozze
Quel giorno a farmi da testimoni c’erano due persone eccezionali: Alessandro Lupino e Matteo Bonini, due compagni di squadra e due amici sinceri. Matteo è mio coetaneo, siamo nati a tre giorni di distanza, mentre Alessandro è il più giovane dei tre. Tra di noi si è creato un rapporto speciale: siamo praticamente fratelli, dei familiari acquisiti con i quali condividere molto.
Con Matteo abbiamo corso insieme sin dai tempi del minicross, abbiamo vissuto insieme per anni condividendo l’appartamento sopra l’officina De Carli e mi è stato accanto nei momenti più difficili.
Con Alessandro invece ho corso più avanti e lo facciamo tutt’ora in MXGP, e passiamo parecchio tempo insieme nel paddock. Noi tre siamo così amici che ci siamo fatti da testimoni a vicenda ai rispettivi matrimoni.
Il primo a capitolare è stato Matteo, che quando ha sposato Giulia ci ha chiesto di fargli da testimoni, poi Alessandro ha fatto lo stesso con Federica e l’anno scorso è toccato a me.
Oggi zio, domani papà
Da qualche mese siamo ufficialmente diventati “zii” con l’arrivo della piccola Ludovica Lupino, e siamo così entrati in una nuova dimensione. Non penso che Matteo resisterà ancora a lungo e, prima o poi, succederà anche a noi, ma per quel giorno avrò sicuramente appeso il casco al chiodo.
Amo molto i bambini, mi piacciono e mi incuriosiscono: il loro approccio al mondo è privo di filtri e condizionamenti, quindi si relazionano con me come persona e non come campione. Mi piace studiare i loro comportamenti e sorprendermi, scoprendo ogni volta che in fondo sono molto più intelligenti di quello che si pensa.
Ero ancora giovanissimo quando sono arrivati i miei nipoti Jeremy e Tonino, ma la poca differenza di età me li ha fatti percepire più come fratellini, avendo con loro un rapporto alla pari o quasi. Entrambi si sono cimentati col motocross seguendo le mie orme e questo ci ha avvicinati parecchio. Poi, in seguito, è arrivato Dennis, anche lui crossista, ma io ormai ero lontano dalla Sicilia da un po’ e quando è arrivata Jasmine, l’ultima dei miei nipoti, ero in giro per il mondo a gareggiare. Con loro, a causa della distanza e dei miei impegni, passo meno tempo di quello che vorrei, ma rivedersi tutti insieme in occasione di festività come il Natale è sempre uno dei regali più graditi.
Il tutto è più grande della somma delle parti
Sei solo in pista, solo con la tua moto, solo contro tutti.
Il motocross è uno sport individuale, non ci sono dubbi, ma anno dopo anno ho imparato qual è l’importanza della squadra, del gruppo. Per dare il massimo, più del cento per cento, è fondamentale in pista sentirsi il terminale di un gruppo, di una squadra, di un team. Se riesci ad aggiungere alle tue capacità, alle tue motivazioni, la forza di sentirti parte di una squadra, puoi dare più del cento per cento. In gara, nei momenti cruciali, questa iniezione di forza si rinnova giro dopo giro, quando passi davanti alla pit lane e nel box della tua squadra c’è un’esplosione di urla, incitamenti e agitarsi di braccia.
È dunque fondamentale che questo gruppo, la squadra, sia unito e viaggi compatto verso lo stesso obiettivo. Si vive per mesi insieme in giro per il mondo, per come vedo io la vita è importante stabilire una bella amicizia con chi lavora con te; perché si raccolgono trofei, titoli e vittorie, ma ci sono anche i momenti difficili, le sconfitte e il dolore.
In squadra
Avere buone relazioni all’interno del team può aiutare tantissimo, e questo vale anche per quanto riguarda il rapporto con i compagni di squadra.
Nei miei anni di Mondiale posso dire, in generale, di non aver avuto mai problemi; anzi, spesso e volentieri mi son trovato con dei compagni di squadra che mi hanno aiutato il più possibile a raggiungere i miei risultati. C’è da dire che la mia squadra al Mondiale è sempre stata quella gestita da Claudio De Carli e, di sicuro, buona parte di merito va a lui, alla sua esperienza e alla sua capacità di coordinare i rapporti interni al team. Ora può sembrare normale, ma il team di De Carli è stato uno dei primi a gestire i piloti al cento per cento, cioè nella preparazione, negli allenamenti e non solo nelle gare, mentre gli altri team erano soliti affidare la moto d’allenamento al pilota che si preparava e allenava per conto suo, poi arrivava in pista per la gara e trovava il team con la moto.
Claudio innanzitutto sa farsi rispettare e tra le sue priorità c’è quella di esigere che il gruppo navighi in perfetta armonia. Se c’è qualche problema lo si chiarisce attraverso il confronto, parlandosi: non si può lasciare irrisolto. Nel 2004 quando sono entrato a far parte della sua squadra, c’era Claudio Federici. Per me era quasi un mito, un pilota che ammiravo molto per lo stile di guida, senza dubbio uno degli italiani più forti. È un ragazzo sempre sorridente e pronto allo scherzo, per cui legammo subito.
Poco dopo è arrivato Manuel Monni, anche lui aperto e simpatico, un ottimo carattere. Con lui legai un po’ meno, perché non restava con noi a Roma e faceva avanti e indietro da Perugia dove risiedeva con la famiglia.
Pilota alfa
Federici era il leader di noi piloti, per età (aveva circa dieci anni più di me e Manuel) e per curriculum: nel Team De Carli aveva sfiorato il titolo mondiale della classe 125 nel 1999, vinto da Alessio Chiodi con un vantaggio di appena diciotto punti. Era stato proprio Federici a vincere il primo GP per il Team De Carli nel 1995, a Castiglione del Lago. È stato importante allenarci con lui quell’inverno, perché avevamo un punto di riferimento di sicuro valore. Così quando sono iniziate le gare e ha capito che io andavo forte, già dagli Assoluti d’Italia MX2, forse ne ha sofferto un po’ perché si metteva in gioco il suo ruolo in squadra, e qualche problema in pista ci fu: come in gara 1 a Zolder quando esagerò un po’ nel tentativo di ...