Sopra il paese c’è una collina. Da bambino, tornando dalle vacanze dopo un lungo viaggio in auto, capivo che stavamo arrivando a casa quando ne vedevo la silhouette in lontananza.
La vedi da qualsiasi lato arrivi in paese, tutti la chiamano “monte” ma è poco meno di una collinetta. Le montagne, quelle vere, stanno sull’Appennino, a mezz’ora di macchina.
Dalla giusta distanza, la collina sembra un enorme dinosauro addormentato sul quale sono cresciuti gli alberi sbagliati. Su quel monte che monte non è, infatti, c’è un bosco, nato da uno stupido rimboschimento degli anni Sessanta. Hanno piantato pini che nulla hanno a che fare con le piante autoctone: crescono a stento e vengono divorati dai bruchi di processionaria che in autunno, con l’aiuto della nebbia, creano un paesaggio tra il natalizio e l’alieno. I loro nidi di seta penzolano dai rami infestati come bianche palle luccicanti. In estate i pini patiscono il gran caldo estivo e in inverno i loro rami si spezzano sotto il peso della neve invernale. Sono del tutto inadatti a questo luogo, un po’ come me.
Limax maximus
Ophrys holosericea
Su questo monte che monte non è, mio padre ogni autunno portava me e mio fratello a cercare funghi. Su questo monte che monte non è, da adolescente c’ho fumato qualche canna con gli amici, mentre ridevamo dei nostri assurdi piani per introdurre quantità industriali di Lsd nell’acquedotto comunale. Su questo monte che monte non è, c’ho fatto anche un paio di scopate in macchine non mie. La passione per i funghi mi è rimasta, quella per le canne non l’ho mai avuta, i piani di distruzione del paese sono finiti, continuo a non guidare e la fica è ancora il più bel fungo di tutti.
Nel bosco c’è un sentiero che dal paese porta fino alla cima della collina, dove c’è la riserva dell’acquedotto. Il percorso è una salita continua e leggera che attraversa tutta la penosa pineta malata, lungo una catena di punti di ristoro con panche e tavoli in legno ormai marci. Nel corso degli anni, uno di questi tavoli è stato smontato pezzo per pezzo da qualcuno che a più riprese lo ha usato per farci dei barbecue. Senso civico zero, ma lo premierei per l’intuizione.
Un po’ per seguire i consigli del medico, un po’ perché è davvero vicino al paese, ho preso l’abitudine di farci un giro quasi ogni giorno. Parcheggio la mia maschia bici con cestino da donna all’imbocco del sentiero che parte da dietro all’asilo comunale e poi risalgo a piedi la pancia malata della pineta. Il percorso che faccio è lo stesso che segue l’acqua pompata fin su alla cisterna, da dove ricade nelle case come la lava di un vulcano freddo. Il paese è una Pompei di fantasia, non ha neanche avuto bisogno di un’eruzione per finire sepolta sotto le ceneri della noia.
Quando da bambino venivo qui a funghi, c’era una cosa che mi stupiva ogni volta: il rumore del paese.
A un certo punto, più o meno a metà altezza della collina, c’era, e ancora c’è, uno spiazzo che si apriva sulle case sottostanti e da lì sentivi tutti quei rumori della quotidianità che da sotto potevi sentire solo prendendoli singolarmente. In quel punto, invece, ti assalivano tutti assieme, come uno che ti picchia nel sonno: tutte le auto, i camion, il macinare delle fabbriche, un trattore in un campo lontano, tutto mescolato in un impasto ovattato di rumori. Spariva la singolarità e iniziava il tutto.
E questa orgia di suoni cittadini ti colpiva in una sinestesia tra quello che sentivano le tue orecchie e gli odori che entravano nel tuo naso: rumori di auto accompagnati da un fortissimo profumo di funghi, muschio e foglie marcescenti. Nessuno dei rumori che percepisci qui è collegabile ai profumi che ti inebriano: a occhi chiusi non potresti mai capire dove ti trovi, potresti mandare in tilt il tuo cervello nello sforzo di localizzarti. A meno che tu non sia già stato qui da bambino. In quel caso capiresti al volo che ti trovi sullo spiazzo a metà altezza del monte che monte non è.
Il sentiero sul monte che monte non è
Il sentiero si sviluppa così. Alla partenza c’è un pozzo di cemento dove sicuramente, anche se non li ho visti mai, dei ragazzini bivaccano il pomeriggio dopo scuola o nelle sere estive: ci sono lattine e cartacce nuove e scolorite dal sole tutto attorno, ma non mozziconi di sigarette o bottiglie di birra. Solo involucri di merendine e bibite gassate.
Dal pozzo parte il sentiero in terra battuta, spesso scivoloso per il fango, e si avanza all’ombra degli alberi. All’inizio si incontrano carpini, piccole querce e olmi, tutte essenze del tipico bosco della zona, ma questi dopo pochissimi passi lasciano il posto a quell’errore/orrore boschivo di pineta, sul fondo qualche rovo, rami secchi di pino caduti per la neve, ed erba, tanta, lunga e alta e sempre pettinata verso il basso. Le piccole scarpate lungo il sentiero in certi punti sembrano cascate d’erba.
Lungo queste scarpate, dalla fine dell’estate per buona parte dell’autunno, nascono in abbondanza funghi del genere Suillus, detti pinaroli perché crescono sotto i pini.
Suillus luteus
Ogni fungo vive in simbiosi con una o più essenze, e spesso funghi simili tra loro puoi distinguerli proprio per questa loro peculiarità.
All’inizio del sentiero non li puoi incontrare neanche nel pieno della loro stagione, al massimo puoi incontrare qualche Russula emetica. Esistono più di settecentocinquanta tipi di russule al mondo, ma la emetica è facile da riconoscere per il suo colore rosso e per il suo sapore pungente e piccante: chiari indizi che non si tratta di un fungo commestibile. Eppure dalle mie parti queste due caratteristiche non sono mai bastate a scoraggiarci dal consumarle. Vengono utilizzate nel misto per i sughi, dandogli prima una sbollentata.
È un fungo che colpisce stomaco e intestino, tant’è che quando da queste parti pioggia, caldo e luna coincidono alla perfezione generando un’esplosione miracolosa di funghi, il pronto soccorso si riempie di gente che vomita e caca contemporaneamente fino a disidratarsi in modo pericolosissimo, e tutti dicono la stessa cosa: “Ma sono funghi che mangiamo da una vita!”. Vero, ma un conto è mangiarne uno solo, in un sugo, assieme ad altri funghi, diviso per un’intera famiglia, un conto è farne una graticolata intera. In farmacia è la quantità che fa il veleno, non la sostanza.
Russula emetica
Su molti testi di micologia viene detto che la Russula emetica è consumata in alcune parti d’Italia, ma che è un’abitudine da non imitare. A me piace pensare che si riferiscano esattamente al mio paese ma che ci abbiano voluto risparmiare l’imbarazzo d’additarci come inadatti alla vita e come persone incapaci di apprendere attraverso l’esperienza.
Deve essere stato così da sempre, provando e andando per esclusione, che l’uomo ha imparato a conoscere i funghi, perché del resto, a parte certi dall’odore ripugnante, sopra nessuno di loro c’è disegnato un teschio con due ossa incrociate.
Che poi, chissà che senso ha la velenosità di certi funghi, da un punto di vista evoluzionistico. La Russula emetica è rossa, e il rosso in natura è un tipico colore aposematico, serve cioè a metterti in allerta. Se questo non basta a farti cambiare idea, la Russula ha anche un sapore ultrapiccante: basta rompere un pezzetto del cappello e appoggiarci la lingua sopra per accorgersene. Mio padre me l’ha fatto fare più volte ed è così che ho imparato a lasciarle dove sono quando le incontro.
Col suo colore e il suo sapore il fungo ti sta dicendo chiaramente di non mangiarlo, perché la Russula ha una sola priorità: arrivare intatta alla maturazione e rilasciare le proprie spore, perché sborrare in cielo è la cosa più importante della sua esistenza.
Ma il più temibile dei funghi nei nostri boschi è l’Amanita phalloides, quella che miete più vittime in Europa. Uno dei suoi nomi popolari è “angelo della morte”, ma assomiglia a tanti altri funghi commestibili: ha un odore di miele e un sapore simile alla nocciola, tutte cose molto invitanti. Le sue tossine, inoltre, non sono termolabili, quindi a differenza di altri funghi resta velenosa anche dopo la cottura e ne basta un quantitativo minimo per avvelenare una persona adulta in buona salute.
I primi effetti si manifestano tra le 12 e le 48 ore dall’ingestione ed è rarissimo sopravvivere. Nei rari casi in cui questo avvenga, si rende necessario il trapianto di fegato.
Attorno ai funghi si sono sviluppate pericolosissime credenze popolari. Una, al limite del comico, riguarda proprio l’Amanita phalloides: si dice che i gatti ne siano immuni perché c’era l’abitudine di fargliene assaggiare, nel dubbio, un pezzetto. Se il gatto sopravviveva, il fungo era commestibile. Peccato però che il veleno uccida in 48 ore. Quindi tu ne davi un assaggio al gatto, lui che è un animale fiero e dignitoso se ne andava a morire lontano da casa, tu mangiavi il tuo bel fungo velenoso perché il gatto era ok e poi, sul letto di morte, ti dicevi che il gatto era immune al veleno del fungo e averlo usato come assaggiatore non era stata una buona idea, mentre lui, poco prima di morire ben nascosto sotto un cespuglio, ti avrà maledetto per quell’ultimo boccone avvelenato.
Ora, non credo che siano necessarie tutte queste caratteristiche per permettere all’Amanita phalloides di arrivare integra alla maturazione e di potere eiaculare le proprie spore al cielo, quindi mi chiedo: a cosa serve una tale potenza di veleno camuffata con grande impegno? È come se la natura avesse gratuitamente e deliberatamente creato qualcosa che uccide per il solo piacere di farlo.
Proseguendo la salita sul monte che monte non è, incontriamo la prima curva. Il sentiero sale fino alla cima facendo diverse svolte e tornanti che percorrono a zig zag il lato della collina. Su questa curva non ci sono alberi alti e si vedono i tetti delle case che arrivano fin sottomonte. Stai abbandonando la parte abitata del paese e, subito dietro la curva secca, il sentiero prosegue sotto una cupola di rami di pino che si avvicinano dai due lati della strada fino a baciarsi: da una parte i rami dei pini che stanno sulla salita alla tua sinistra e dall’altra quelli che allungano il collo oltre il margine destro della discesa.
Escrementi di Hystrix cristata
La cupola di rami lascia filtrare poca luce e la strada qui è perennemente umida. Una condizione inaccettabile per la maggior parte delle persone che la percorrono a tarda primavera sperando di perdere peso, condizione irrinunciabile per me che lungo questa strada vengo per guardare funghi, muschi, piccoli insetti e rospi in amore.
Questo tratto di sentiero ha una temperatura più bassa rispetto al resto del percorso, ovviamente non in estate, quando il caldo entra anche nel più piccolo dei pertugi del terreno, uniformando tutto il paese sulla temperatura inferno. Qui c’è un albero che in passato deve avere vissuto un qualche episodio traumatico, come quelli che creano i super eroi, solo che lui invece di acquisire super poteri e una mascherina sexy, da questa esperienza ha ricavato solo una cicatrice, p...