L'azzurro infinito degli alberi
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L'azzurro infinito degli alberi

  1. 196 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'azzurro infinito degli alberi

Informazioni su questo libro

Sono duemila gli alberi che il Corpo Forestale definisce di "grande interesse" e centocinquanta quelli di "eccezionale valore storico o monumentale", equamente distribuiti tra nord, centro e sud Italia. Sono piante che hanno un'importanza unica, non solo per la loro peculiarità dal punto di vista biologico e naturale: sono testimoni del nostro passato, della nostra storia, e sono ancora protagonisti di temi caldi dell'attualità, come gli ulivi malati di Xylella in Puglia. L'obiettivo di trovare l'albero più alto d'Italia è l'occasione per il giovane arboricoltore e tree-climber Pietro Maroè di intraprendere un viaggio sulle tracce di questo patrimonio di inestimabile valore, che spesso nel nostro Paese viene dimenticato. Dai larici della Val d'Ultimo al platano di Cavour, dal cipresso di Nola agli immensi castagni siciliani, Pietro e i suoi compagni toccano gran parte delle regioni d'Italia, arrampicando non solo gli alberi più alti, ma anche i più antichi. Il viaggio è faticoso per Pietro, tanto più che suo padre è a capo della squadra, e il rapporto tra i due non è sempre facile. Tappa dopo tappa, l'autore ci accompagna tra i segreti dei tronchi e delle chiome, alla scoperta delle storie di esseri millenari, maestri di vita eppure spesso in pericolo. Questo libro parla di un'avventura, della passione per gli alberi e dell'arte di curarli, ma è anche un'inevitabile riflessione sulla responsabilità dell'uomo verso questi monumenti della natura, immortali custodi dell'azzurro del cielo.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
Print ISBN
9788817105330
eBook ISBN
9788858694893
1

SuPerAlberi

Insieme a mio padre, arrivai davanti alla scuola dove avremmo tenuto la nostra lezione di potatura. Subito oltre la soglia si presentò un ragazzo moro, con una folta barba e gli occhi vispi. «Buongiorno, sono Renzo, sono qui per il corso!»
Chiacchierammo un po’ con lui in attesa degli altri allievi. Aveva da poco finito il liceo artistico, specializzandosi in fotografia, per poi seguire la stessa passione arcana che accompagnava me fin da bambino. Dopo la lezione mi fermai ancora a parlare con lui, mi incuriosiva. Ci scambiammo i numeri di telefono con la promessa di rivederci al corso successivo, quello di tree-climbing.
Nonostante fosse fisicamente ben preparato, sin dalla prima lezione sembrò impacciato e leggermente perso tra le corde e i moschettoni. C’era però qualcosa nei suoi occhi che mi ricordava molto una sensazione che mi era familiare: la voglia di riscatto. Ero convinto che avesse tutte le carte in regola per diventare molto bravo, e volevo aiutarlo. Il sabato successivo iniziammo gli esercizi dopo pranzo. E quella sera stessa Renzo era già migliorato tantissimo. Più tardi, davanti a una birra, mi chiese come ero finito a fare questo lavoro così particolare come l’arboricoltore.
«Mio padre mi ha portato sugli alberi fin da piccolo, ci sono foto in cui ho sì e no tre anni. Poi i miei si sono separati. A otto anni mio papà mi ha regalato un imbrago e gli attrezzi basilari, con cui mi allenavo in segreto da mia madre. Non ho mai capito se mi ha lasciato fare o se davvero mi sono nascosto bene.»
Renzo mi ascoltava sorridendo sotto i baffi pieni di schiuma. «Mentre mio padre mi incoraggiava, mia mamma diceva che “avevo la testa” e quindi dovevo studiare per diventare “medico degli uomini, mica delle piante”. Adesso invece sembra che la situazione si sia invertita.»
«Come mai? Non lavori con tuo padre?»
«Sì, ci lavoro, ma lui non sembra per niente convinto che questa sia la mia strada. Pensa che quando gli ho detto che volevo studiare Agraria all’università a momenti ci litigavo…»
I miei occhi vagavano nel vuoto di quel momento. «Quella volta credo che mi abbia rovesciato addosso tutta l’amarezza che provava. Forse era semplicemente arrabbiato con se stesso per non essere riuscito a darmi un’infanzia normale, anche per colpa del suo lavoro.»
«Ha l’aria di uno che dice sempre quello che pensa, indipendentemente dalle conseguenze, o almeno così mi è sembrato durante le lezioni.»
Sorrisi. «Hai la vista lunga. È sempre stato così, nel bene e nel male. È uno dei suoi più grandi pregi e uno dei suoi peggiori difetti. E lo ha portato ad avere molti estimatori, ma anche non pochi detrattori, anche solo per parole troppo pesanti dette nel momento sbagliato.»
«Un fisico da sollevatore di polemiche insomma…»
«Già…» sospirai. Pagai e uscimmo a fumare una sigaretta. E lo presi alla sprovvista con la domanda: «Verresti a lavorare con noi?». Non lo avevo neppure chiesto a mio padre, ma volevo capire se avevo visto giusto. Renzo mi fissò negli occhi. «Mi piacerebbe…»
«Ma?»
«Non c’è nessun ma…» andò avanti, come se avesse intuito, «solo che non so cosa ne penserebbe tuo padre, in fondo al corso c’era gente più brava di me. Perché dovrebbe volere me?»
«Magari perché sei giovane e “non gli rubi il lavoro”, come dice di quelli più vecchi che lavorano con lui: “Un paio di anni e poi si mettono in proprio”. Alla peggio gli diciamo che mettiamo in piedi una società!» Risi, ma non era poi un’idea tanto sciocca.
L’indomani mi aspettava una levataccia. Bisognava andare a fare delle analisi su un ippocastano dell’Agenzia del Demanio di Mestre. Salutai Renzo e tornai a casa.
Quando suonò la sveglia era ancora buio. Non avevo alcuna voglia di alzarmi per farmi due ore di macchina con Andrea, mio padre, che pontificava su tutto. In questa terra però siamo fatti male: il lavoro viene prima di tutto o quasi. Ogni tanto le cose si fanno perché vanno fatte e basta.
Toccò a me guidare, con mio padre che già prima del caffè mi parlava dei suoi piani. Stava scrivendo un progetto per arrampicare gli alberi più importanti del pianeta e mi parlava degli sponsor da contattare per farsi finanziare. Voleva fare anche un documentario per la tv. «Così quando il documentario andrà in onda ci chiameranno direttamente i clienti che hanno i soldi!» Per me questi discorsi non avevano né capo né coda: lavorare di più e meglio, questo era l’unico modo per potersi garantire i clienti che lui voleva raggiungere con la tv. Cercai di mascherare il mio disappunto, ribaltando il discorso a mio favore: «Cosa pensi di Renzo?»
«Renzo chi?» C’era da aspettarselo. Mio padre non lo aveva nemmeno considerato.
«Renzo! Il ragazzo che abbiamo conosciuto al corso di potatura, che poi ha fatto anche quello di tree-climbing!»
«Ah…» mi rispose con aria di sufficienza. «Ha un buon fisico ma il tree-climbing proprio non fa per lui.»
«Magari ha solo bisogno di tempo per prendere confidenza con l’attrezzatura e l’equilibrio… Nel frattempo può sempre stare a terra e dare una mano a pulire!» Mi serviva un appiglio con cui fare breccia nei suoi discorsi da conquistatore di mondi. Renzo doveva sembrare una figura indispensabile.
«Guarda che ha studiato arte e fotografia, se davvero sei convinto del progetto del documentario, ci serve qualcuno che sappia fare dei video! Prenderesti due piccioni con una fava!» Capii che le mie parole avevano fatto colpo dal modo in cui il suo sguardo cupo e corrucciato si distese, come anche le rughe sulla sua fronte. Fu solo per pochi attimi, poi mio padre riprese la sua tipica espressione aggrottata: «Potrebbe non essere così stupida come idea…». Al solito, non concedeva mai un briciolo di soddisfazione. Stavolta però sapevo di averlo colpito nel vivo e, come sua abitudine, avrebbe lasciato passare qualche giorno prima del verdetto ufficiale.
Era passata poco più di una settimana e sembrava che la mia idea fosse caduta nel vuoto quando, durante una pausa pranzo, tirò di nuovo fuori il discorso: «Hai presente quel progetto di cui ti parlavo?».
«Quale dei tanti? Qui, ogni giorno, hai un grillo nuovo per la testa…» scherzai.
«Quello del documentario sugli alberi più importanti!»
Dal suo sguardo si capiva già come sarebbe terminata quella conversazione.
«Ovvio che me lo ricordo. Mi hai fatto la testa come un capannone per due ore con i tuoi progetti espansionistici. Come potrei dimenticarmelo?»
«Ti ricordi che hai parlato di Renzo? Che pensavi potesse essere un buon acquisto? Be’, si potrebbe dargli una possibilità. In fondo ha il fisico e non ha paura della fatica. Sentilo e digli che se vuole può venire a parlarci!»
Il progetto che aveva in mente mio padre era particolare: voleva mettere in piedi un’azienda fatta per lo più di giovani, tutti tree-climber, che salvassero gli alberi in modo ecosostenibile. L’idea mi piaceva molto ma, conoscendo la situazione italiana, sapevo che sarebbe stato praticamente impossibile lavorare a impatto zero. La tecnologia delle macchine elettriche era appena agli inizi, c’erano pochissime stazioni di ricarica e i tempi per «fare il pieno» erano comunque superiori alle otto ore, il tutto a fronte di un’autonomia delle macchine che superava appena il centinaio di chilometri. Invece motoseghe e soffiatori a batteria erano presenti sul mercato da un po’ con buone recensioni.
Quando sentì il piano, Renzo restò perplesso, perché, come me, vi aveva individuato parecchie criticità. Fu ancora peggio quando mio padre ci disse che la forma societaria che aveva in mente necessitava di un versamento da parte di tutti e due. Per noi giovani tirare fuori tremila euro non era affatto facile, per poi avere una porzione risicata della società.
Avevamo ventidue anni, la prendemmo come un’occasione. Così, con tutti i rischi del caso, decidemmo di investire. Si unì a noi una ragazza, Francesca, probabilmente più a causa del malcelato debole per mio padre che per l’interesse al progetto.
Mancava poco a Natale il giorno in cui andammo dal notaio per firmare la nascita di un sogno. Perché, in tutto quel marasma, una cosa era certa: avremmo fatto il possibile per cambiare il mondo.
Era questo che ci accomunava, nonostante fossimo così diversi: io, riflessivo e calcolatore, mio padre, carismatico dal carattere focoso, Renzo, un ragazzo volenteroso quanto riservato e leale, e Francesca, rivisitazione triestina degli hippie di Woodstock.
L’agitazione al momento delle firme era palpabile. Si leggeva negli occhi di tutti l’eccitazione e la tensione che crescevano con l’avvicinarsi del momento culmine. Quando mio padre prese in mano la penna aveva gli occhi lucidi. Era raro vederlo emozionato. Aveva sempre l’aria imbronciata, quasi arrabbiata e, dal fondo dei suoi occhi color ghiaccio, era raro che trapelasse qualche emozione. Doveva viverla come una cosa davvero importante, per mostrarla così, davanti a più d’un altro paio d’occhi. Io ero molto più rilassato, non detti allora il giusto peso alla cosa. Non sapevo che quella firma mi avrebbe cambiato per sempre la vita.
Quando uscimmo si era ormai fatto buio, senz’altro con la complicità di dicembre che avanzava. Bisognava brindare. Dal giorno dopo sarebbe stato tutto diverso per noi quattro. Avevamo sperimentato i vantaggi del lavoro dipendente e la libertà della ditta individuale, ma nessuno sapeva cosa ci aspettava, quali difficoltà e imprevisti, tipici del lavorare sugli alberi, avremmo dovuto affrontare, tanto più nella forma rigida della società di cui eravamo a tutti gli effetti proprietari.
Il primo ostacolo da superare era di carattere prettamente logistico. Il fatto di avere molte più attrezzature e movimenti di cassa di quanto fossimo abituati ci portò subito a uno scontro: qual era il modo migliore di gestire le cose? Fu necessario fare un elenco dei beni, dei fornitori, dei collaboratori. Poi, la divisione dei compiti, probabilmente il principale motivo degli attriti che caratterizzarono i primi due anni di attività.
Mio padre, ovviamente, era il capo. Francesca, nonostante le ambizioni da tree-climber, fu assegnata d’ufficio alla contabilità e alla logistica, materie che trattava anche nel lavoro precedente. Io arrivavo penultimo, come climber e responsabile delle attrezzature elettroniche, seguito da Renzo, che iniziava come groundman ed era incaricato anche di girare e montare i video.
Superato il primo periodo pieno di novità, i giorni iniziarono a passare lenti, come se il tempo si fosse fermato, in attesa di qualcosa in grado di scuoterci dalla monotonia. Del furore iniziale pareva non ci fosse più traccia, anche perché sembrava non ci avvicinassimo mai ai grandi piani espansionistici di mio padre. Era come se fossimo congelati in quella quiete che anticipa la tempesta.
2

Il generale inverno

Era quasi passato un anno da quando la nostra idea aveva preso la forma di una società. Ognuno di noi aveva preso consapevolezza del proprio ruolo, migliorando capacità e abilità. Ci serviva solo l’occasione giusta per metterci alla prova.
Sorseggiando una tazza di caffè fumante, lessi un articolo sul «Giornale del Friuli» che parlava di un progetto da oltre venti milioni di euro per sistemare il lungomare di Lignano, ormai uguale a se stesso da più di quarant’anni. L’obiettivo era quello di renderlo stilisticamente contemporaneo, preservando il doppio filare di quasi quattrocento pini che lo caratterizzava. Così come era invecchiato il lungomare, anche le piante avevano trascorso le ultime decadi senza le cure necessarie. Poteva essere la nostra occasione per farci avanti: sul giornale dicevano che il primo intervento in programma era una potatura.
Quasi per gioco, vedendo che i conti erano effettivamente plausibili, decidemmo di provare a partecipare. Prendere quell’appalto era praticamente impossibile, anche perché il criterio non era quello del prezzo più basso: con il «taglio delle ali» diventava solo questione di fortuna.
Pur essendo cieca, la fortuna girò dalla nostra parte e, pochi giorni dopo, ci confermarono la vincita della gara. La programmazione di un lavoro di un tale calibro durò qualche settimana. Le forze e le competenze da mettere in gioco erano molte. Chiamammo alcuni colleghi come supporto logistico e operativo. A quella che aveva più l’aspetto di una chiamata alle armi che una proposta di lavoro, risposero soltanto Roberto «Fox», un climber ligure di mezz’età, con un approccio molto pragmatico ai problemi della vita, e Igor, un ragazzo della nostra zona che aveva iniziato ad arrampicare con mio padre qualche anno prima.
Il risultato fu la creazione di una squadra di sei persone per quasi quattrocento piante, con il lavoro da concludere entro ventisei giorni dall’inizio dei lavori. Significava una media di sedici piante al giorno: quasi tre a testa per un mese, che salivano a più di quattro se si voleva riposare di sabato e domenica. Ovviamente nella speranza che non ci fosse nemmeno un giorno di pioggia; possibilità remota considerando che la frase più ripetuta del periodo era: «L’inverno sta arrivando».
Il primo giorno di cantiere la sveglia suonò alle cinque. L’obiettivo era quello di essere operativi a Lignano per le sette e mezzo, ancora in attesa dell’alba invernale. Renzo, modificando ad hoc la citazione di Jack Sparrow, commentò: «Ricorderete questo giorno come il giorno in cui pochi si sono opposti a molti!».
Alla partenza il termometro fuori casa segnava undici gradi sotto zero. Se ci fosse stato lo stesso freddo a Lignano, non saremmo potuti intervenire, per ragioni di tutela delle piante. A quelle temperature, c’era il rischio di sottoporre le cellule del cambio a uno shock termico che poteva pregiudicare la guarigione delle ferite.
Il lungomare di Lignano era deserto, e la brina ricopriva la spiaggia. Faceva ancora troppo freddo per iniziare le potature, così preparammo il cantiere, predisponendo transenne e segnaletica e installando le corde, il che portò via molto più tempo di quello che avevamo previsto. Er...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L’azzurro infinito degli alberi
  4. 1. SuPerAlberi
  5. 2. Il generale inverno
  6. 3. Tunnel e cavità
  7. 4. Legno e lacrime
  8. 5. Quel ramo sul lago di Como
  9. 6. I larici di Val d’Ultimo
  10. 7. Il platano di Cavour
  11. 8. La città bianca
  12. 9. Cavalli, navi e castagni
  13. 10. Mafia e Taxodium
  14. 11. I giganti d’avorio
  15. 12. Libani California
  16. 13. I primi attriti
  17. 14. Il piede del gigante
  18. 15. Una forma nuova
  19. 16. Il Principe
  20. 17. Gemelli del cielo
  21. 18. Una selva oscura
  22. 19. Terra rimossa
  23. 20. Il lascito del Signore della Foresta
  24. Copyright