Il rumore delle parole
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Il rumore delle parole

  1. 256 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Il rumore delle parole

Informazioni su questo libro

Al ventiduesimo piano di un condominio di periferia vive un vecchio. Non esce mai, non incontra nessuno, nemmeno i figli o i nipoti lo vanno a trovare. Il mondo che sta là fuori gli è estraneo, eppure lui sente che, pur non avendo più alcun ruolo sociale, la sua esistenza ha ancora un senso. Del resto, che la vecchiaia inizi a sessantacinque anni è una pura convenzione stabilita dalla società fondata esclusivamente sul lavoro e sul denaro. Così si siede davanti a un microfono e, invece di rompere la sua solitudine varcando la porta di casa diretto al bar o ai giardinetti, apre la porta verso l'universo virtuale ed entra nella rete. Con grande "sospetto" e incertezza racconta le sue riflessioni su alcune parole che hanno riempito la sua esistenza. Democrazia, assurdità, bellezza e vecchiaia: sono questi i termini attorno a cui costruisce quattro lezioni virtuali. Le sue sono parole al vento o c'è qualcuno disposto ad ascoltarlo? Con un certo stupore il vecchio scopre che il suo pubblico cresce lezione dopo lezione. Abbattuto il muro che lo escludeva da qualsiasi relazione, si rende conto di avere di nuovo una voce. Sa di essere fragile, ma è proprio quella fragilità a renderlo più umano. Nella dimensione del "noi" che emerge a poco a poco, capisce che l'unica cosa che conta davvero è il presente e che "vivere non è parlare, ma correre da chi ha bisogno". Parole vuote? Parole come semplice rumore? Vittorino Andreoli mette in scena in queste sue nuove pagine un teatro della verità a tratti autobiografico. Smaschera i pregiudizi del nostro tempo, che considera la vecchiaia come l'età della vergogna, dimenticando che la fragilità del vecchio è la rappresentazione della condizione umana, del significato stesso dell'uomo nel mondo.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2019
Print ISBN
9788817109291
eBook ISBN
9788858695647

Vecchiaia

Signore e signori, buongiorno.
Grazie per essere collegati per la mia quarta conversazione.
Sono preso da strane sensazioni questa mattina, forse perché è l’ultima: sta per completarsi la tetrade.
Sono anche molto colpito dalla presenza di ben venticinquemila follower, un risultato che ha dell’incredibile per chi per molto tempo si è sentito solo e abbandonato. Una presenza così ampia non l’ho mai nemmeno immaginata. Finora, quando pensavo a un grande numero di persone, mi si presentava sempre, non so perché, un corpo d’armata, formato da diecimila soldati sotto il comando di un generale con tre stelle: generale di corpo d’armata.
Ciò significa che la conversazione sulla terza parola vuota, «bellezza», è stata seguita da due corpi d’armata e mezzo, ma questa volta al comando c’era un vecchio, un vecchio spaventato.
È brutta la solitudine, ma lo è altrettanto una massa di persone che ti ascolta, perché vorrei avervi incontrati almeno una volta, a uno a uno, per poter dire che un poco vi conosco.
Il termine «paura» mi è, in questo momento, molto vicino. Mentre rileggevo gli appunti per questo incontro, ho ricevuto un messaggio. Proveniva da uno dei venticinquemila follower, che mi ingiungeva di tacere, di non continuare con omelie – così le ha chiamate – di cui non condivideva nemmeno una parola.
«Vecchio, stai zitto.»
Non ho intenzione di obbedire, ma di certo sono un poco triste.
L’ultimo capitolo di questo romanzo delle parole vuote è dedicato alla vecchiaia.
Sì, sono vecchio!
Non mi piace questa definizione che sembra cancellare l’uomo che sono stato, ma non mi ribello, non piango, non urlo, non dedico tempo alle lamentazioni.
Quanto vecchio?
Non rispondo a questa domanda, perché non ha alcun senso. La condizione del vecchio non si lega solo all’anagrafe, ma a mille altri elementi: a come stai fisicamente, a qual è la tua accettazione di questo nuovo status, all’essere solo o attorniato da persone che ti vogliono bene…
Sono certo di avere passato i sessantacinque anni, le colonne d’Ercole che determinano la fine di molte delle tue caratteristiche umane. Il mondo occidentale ha fissato convenzionalmente questo compleanno come l’inizio della vecchiaia, che vuol dire proibizione a continuare a svolgere le tue funzioni, magari quelle faticosamente raggiunte.
Il passaggio dei sessantacinque anni è assolutamente privo di senso.
Un limite imposto solo dalla nostra società, quella fondata sul lavoro, sulla produzione, sull’Homo faber.
Vale lo stesso principio applicato tassativamente all’automobile: dopo tre anni dalla data di produzione (nascita) perde il trenta per cento del suo valore iniziale, dopo cinque anni il sessanta, dopo sei anni il settanta e dopo dieci anni non vale niente. E occorrono denari per eliminarla, perché non occupi più posto in una metropoli dove lo spazio è vitale. Ed è inutile sostenere che ha fatto pochi chilometri, che da quel punto di vista è giovanissima. È inutile sostenere e dimostrare che non ha mai percorso strade sterrate, che è stata tenuta come un gioiello, facendo tutti i tagliandi prescritti e senza mai andare in ospedale… Non serve a nulla: scattata quell’età perde di valore, diviene vecchia appunto, anche se è stata costruita con i materiali più resistenti e ha una forma, sia pure un poco all’antica, che mostra eleganza e persino una certa classe.
Questo criterio mi indigna, lo devo ammettere, non perché io non abbia percorso strade piene di buche e non abbia corso a un numero di giri al limite del possibile, ma perché non si può applicare una simile semplificazione all’uomo, come se fosse un oggetto da mercato, da mercato occidentale del lavoro.
Se la tua è una donna di grande classe, attrae e ti attrae anche dopo quell’età. E se ha svolto una professione di rispetto, se non ha faticato come una schiava… Insomma, non si possono stabilire condizioni assolute: se è magra invece che obesa, e se ha una salute di ferro invece di aver passato più tempo in ospedale o dai medici che in vacanza… Una donna a cui non si possono applicare i criteri del protocollo…
Ecco un termine moderno, in grado di definire le categorie in base a banali classifiche formali e sciocche.
Se io dicessi di superare di dieci anni il limite in cui si è buttati nella fossa sociale, susciterei pietà, o misericordia. Assurdo, perché io al confronto di un sessantacinquenne potrei persino sembrare un giovanotto. E allora perché uno dovrebbe esprimere la propria età in cifre, senza tener conto della condizione reale e non formale?
Invece di dire «Sono vecchio», bisognerebbe dire «Mi hanno definito vecchio» e pensano, stolti, di avermi dato dei privilegi. Nei musei pago l’ingresso a prezzo ridotto, quello che applicano ai bambini; ho il diritto di andare in treno con la carta argento, che gode del quindici per cento di sconto…
Mi rifiuto di godere di queste miserie, perché semplicemente non accetto il sistema… E, lo ripeto, non vado in piazza, non scrivo lamentazioni… Certo vivo da vecchio, perché questa è la condanna, questo significa superare le colonne d’Ercole.
E il grande premio che ti concedono è di non ammazzarti, perché socialmente parlando questa sarebbe la soluzione ideale, la più vantaggiosa dal punto di vista economico… Se hai la pensione, la perdi, e le casse dello Stato se ne avvantaggiano; se hai un appartamento, lo liberi, lo metti sul mercato che deve andare a vantaggio dei giovani o degli adulti in fase di massima produttività.
Sì, io un appartamentino lo possiedo e non può cacciarmi fuori nessuno fino a che non sarò morto… Ecco il punto di riferimento, il futuro, quello del vecchio è la morte.
Per un giovane ci sono il futuro professionale, le relazioni d’amore, la costruzione di una famiglia, la cellula della società, l’avanzamento nella carriera, l’acquisizione di titoli, il conto in banca come segno del valore aggiunto alla propria dimensione umana… Per chi ha compiuto i famosi sessantacinque il futuro è la morte.
Ancora una volta si rivela tutta la stoltezza dell’Occidente: scopre che la morte, fastidiosa e innominabile, esiste solamente per i vecchi…
Perché? Forse che prima non si muore? È una sciocchezza, sia perché si muore a tutte le età, ma soprattutto perché la vita è un continuo morire, e questo vale anche per chi ha sessantaquattro anni, undici mesi e ventinove giorni. La mortalità infantile, anche se molto diminuita, continua, i giovani corrono rischi in moto, in auto, per consumo di droghe e per mille altre cause che non toccano invece i vecchi, che semmai camminano con maggior prudenza e guidano l’automobile a minore velocità.
Viviamo in una società che non riconosce la morte come condizione esistenziale e ha deciso di darla solo ai vecchi, agli ultrasessantacinquenni.
La morte è una condizione propria dell’uomo, e credo di tutte le creature che giungono su questa terra, e dunque l’uomo è destinato a morire anche se rimanesse sanissimo per sempre. Morirebbe con tutte le funzioni integre, semplicemente perché non è eterno.
Le malattie sono degli accidenti che non la producono, semplicemente si pongono come condizioni favorenti la morte. E inoltre la differenza sostanziale è che le malattie si curano, la morte no. Sarebbe folle se uno affermasse di essere medico invece che dei denti o della tiroide, della morte. La morte accade sempre, nessun mortale è immortale.
Allora perché parlare di morte solo per i vecchi? In rispetto alla statistica! Un criterio privo di logica. La statistica è un sistema organizzato per sbagliare sempre ma con fiducia, che vuol dire credendoci.
La ragione è un processo mentale che applica rigidamente dei princìpi, il più importante dei quali è quello di non contraddizione, la razionalizzazione invece è una manipolazione della logica e dunque dei suoi princìpi per giungere a una qualche conclusione, meno drammatica, o più gradevole, e comunque accettabile. Ma non è certo dimostrata o, come si usa dire, vera.
È pura fede credere che sia una conclusione della ragione. Perché l’uomo cerca di convincersi di agire bene o di aver agito in maniera accettabile, mentre non è così. E per affermarlo basterebbe provare che la vecchiaia è una definizione priva di ragione e di buon senso, una trovata che ha fondamento nella stupidità umana e nelle regole dell’economia.
Nella società produttiva fondata sul lavoro, come si eliminano gli operai che non sono più efficienti? Come si butta via il materiale umano? Semplice, con la vecchiaia, con i sessantacinque anni. La pensione non ha alcun fondamento fisiologico, è una trovata della società capitalistica per eliminare una forza lavoro e sostituirla con quella più produttiva. Il capitalismo scarica l’uomo e ne affida la rottamazione allo Stato. Non serve più alle aziende, quindi il problema delle immondezze spetta alla res publica.
E in questo modo a sessantacinque anni si aliena l’uomo valutato in base alla forza muscolare, senza tenere conto dell’esperienza, dell’intelligenza, delle conoscenze acquisite. Dobbiamo aspettarci che non appena i robot potranno soddisfare la questione forza, l’uomo, che è fatto di carne e non di ferro, andrà in pensione a zero anni e un giorno.
Non è fantascienza, poiché ci sono giovani che non hanno mai lavorato e che non avranno mai possibilità di farlo, almeno in maniera sistematica e continua. Dunque, sono dei pensionati da sempre e per sempre. Li vogliamo considerare dei vecchi?
Il termine «vecchiaia» presto verrà svuotato del suo attuale significato, e allora magari si scoprirà che l’uomo non è solo riportabile alla dimensione della produttività industriale, ma ha molti altri sensi e che alcuni sono tipici di una fase piuttosto che di un’altra, e che l’età non è soltanto un parametro per rottamare un uomo.
Io ho una casa, ma è già una tomba.
È piccola, certo, del resto vivo da solo. Solo o abbandonato? Dobbiamo soffermarci anche su questa condizione della vecchiaia, dove la confusione dei termini è mantenuta ad arte.
Il mio è un appartamentino all’ultimo piano di un enorme condominio. Una meraviglia, a detta di tutti, perché in alto non si avvertono i rumori delle strade che qui sono trafficate con le auto che vanno veloci. Siamo in periferia, in una periferia di classe, persino di lusso secondo alcuni, i soliti che giocano sui termini e applicano la parola lusso o i criteri dell’economia a luoghi miserabili.
Io mi sveglio in questo appartamentino la mattina, resto qui tutto il giorno aspettando di andare a letto la sera. Se solo volessi raggiungere il centro, dovrei affrontare un viaggio con mezzi pubblici che non funzionano, per non invogliarti a uscire e occupare marciapiedi, che sono piste per i lavoratori.
Perché sono solo?
Ecco una domanda altrettanto sciocca, come quella di chi vuole sapere «vecchio di che età». Se uno è solo, che differenza fa se è rimasto vedovo o se è separato da tanti anni? Non cambia neppure nel caso uno sia single da sempre, perché è un convinto difensore della propria libertà, almeno fino a che non va in pensione. Allora si accorge di quanto sia stolta questa convinzione e, pur di avere qualcuno che gira per casa, accetterebbe anche una signora con l’alito pesante.
Non possiedo un cane o un gatto, lo dico subito, perché mi immalinconisce; e pensare che ora raccomandano o prescrivono la loro compagnia – pet therapy, la chiamano – per coprire il vuoto, e ovunque si pubblicizza la straordinaria generosità di questi animali per le relazioni umane. Non voglio nemmeno un criceto, e mai e poi mai una tartaruga che avrebbe l’effetto di rallentarmi progressivamente spingendomi a stare fermo con lei sotto il letto nel periodo estivo e ad andare in letargo nei mesi invernali.
Ma è possibile che tutta l’economia pesi sulla vecchiaia? Parlo naturalmente della microeconomia, quella che interessa il singolo o una coppia. Bisogna risparmiare in previsione della vecchiaia, anche perché è certo che nessuno ti aiuterà. E quando io dico che non viene nessuno a trovarmi, vedo subito trasalire per la meraviglia il mio interlocutore: «Ma allora non c’è nessuno che sale quassù a chiederle soldi?».
È vero, non sale nessuno ma se non viene, aggiungo io, è perché di soldi non ne ho. Possiedo solo l’appartamentino e se lo volessero dovrebbero ammazzarmi.
Tutti vogliono sapere perché un vecchio è solo. Nessuno ti domanda perché non ti unisci a una donna. Anzi, insistono sottolineando i privilegi di possedere un cane: un pastore tedesco o uno yorkshire oppure un beagle, una creatura che si adatta bene a un vecchio, poiché non ha un temperamento nervoso.
Non sanno costoro cosa significa portarlo due volte al giorno a espletare le proprie funzioni intestinali e vescicali, dovendo scendere e salire ventidue piani, certo con un ascensore, uno solo, perché il condominio è alto, ma non di lusso, costruito in grande economia. E non si rendono conto che, se per caso io non potessi portarlo nel verde – che tra l’altro qui in periferia non esiste –, il povero animale sarebbe costretto a compiere queste necessità in casa. Un vero disastro anche perché imparerebbe a considerare questo spazio come un cesso.
Nessuno ti dice di trovarti una donna, non una badante, che poi ti toglie ogni avere, non una giovane, che non puoi pretendere, ma una vecchia, una che vive sola e desidera avere qualcuno a cui certo voler bene.
Non te lo chiedono perché considerano una follia che un uomo di una certa età voglia unirsi a una donna di una certa età, sempre sopra i sessantacinque, s’intende. È roba da manicomio, segno di mania sessuale, di tendenze fuori norma.
Un cane è perfettamente conforme alle aspettative, una donna no. Perché a quell’età l’amore è sempre una perversione, e siccome è diffusa la convinzione che tutti i vecchi, senza eccezione di genere, soffrano di un difetto idraulico, si pensa che passino il loro tempo a pisciarsi addosso. L’amore non è più una potenzialità del vecchio e dunque, per carità, se un figlio sa che un padre, che non vede mai perché non ha tempo, si è innamorato di una vicina del ventunesimo piano, anche lei sola e vecchia, corre in tribunale per chiedere una perizia mentale, poi decide di metterlo in una casa per anziani e di farlo dichiarare incapace di intendere e di volere. E così prima diventa tutore dell’appartamentino e poi lo vende, e buonanotte al secchio, dalla solitudine si passa al seppellimento anticipato, naturalmente in una fossa comune.
Dopo i sessantacinque anni non c’è posto per l’amore e, se una donna va da un vecchio, è segno che ha un piano diabolico per derubarlo di ogni avere, anche dei pannoloni, che oggi costano una cifra paurosa, soprattutto se li vuoi veramente impermeabili e profumati con essenze che hanno funzione urologica e aiutano a stringere il trigono vescicale, responsabile, come tutti i vecchi sanno, della chiusura e apertura dell’orificio vescicale.
È bene aggi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Signore e signori, buongiorno
  4. Democrazia
  5. Assurdità
  6. Bellezza
  7. Vecchiaia
  8. Copyright