Lontano da te
eBook - ePub

Lontano da te

  1. 200 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Lontano da te

Informazioni su questo libro

"Non comincia qui. Sarebbe quasi banale: due ragazze terrorizzate nel bel mezzo del nulla, gli occhi sgranati rivolti alla pistola nelle sue mani. Ma non comincia qui. Comincia la prima volta che ho rischiato di morire." Sophie ha solo diciassette anni quando la sua inseparabile amica Mina viene uccisa proprio davanti a lei. E a peggiorare la situazione ci si mettono i genitori, la polizia, gli amici. A causa del suo passato di dipendenza, sono tutti convinti che abbia trascinato Mina in un bosco, a notte fonda, solo per uno scambio di droga poi finito male. Ma la verità è tutt'altra. A Sophie non resta allora che iniziare una solitaria caccia al killer che, però, rischia di diventare pericolosa. E di portare a galla il grande segreto che le due ragazze condividevano: un segreto bello e fragile come una bolla di sapone attraversata da un raggio di sole... Un libro splendido, che mescola atmosfere thriller a emozioni intense e momenti struggenti, con un finale straziante e commovente fino alle lacrime.

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Informazioni

eBook ISBN
9788865975572

1

Adesso (giugno)

«Allora, è arrivato il grande giorno» dice la dottoressa Charles da dietro la scrivania.
La fisso, dalle scintillanti décolleté al trucco finto-naturale del viso: non ha un capello fuori posto. Quando l’ho incontrata la prima volta ho subito provato la tentazione di scompigliarla. Di farle scivolare gli occhiali sulla punta del naso, di spiegazzarle i polsini alla francese perfettamente stirati. Di strappare la sua maschera da perfettina per rivelare la sporcizia e il caos.
«Il caos non è previsto durante la disintossicazione» direbbe lei. Ma io ne ho bisogno. A volte ancora più dell’Oxy.
Questo è quello che ti succede quando resti intrappolato per tre mesi tra pareti bianche, interminabili sessioni di terapia e un sottofondo costante di musica new age. L’ordine e le regole ti danno alla testa, ti fanno venir voglia di trasgredire solo per il gusto di farlo.
Ma non posso permettermelo. Non ora. La libertà è così vicina che ne sento quasi il sapore.
«Pare di sì» dico quando mi rendo conto che sta aspettando che io parli. È brava a ottenere risposte alle sue non-domande.
«Sei nervosa?» chiede.
«No.» È la verità. Posso contare sulle dita di una mano le volte in cui sono stata sincera con lei. Inclusa questa.
Tre mesi di bugie sono spossanti, anche quando non ci sono alternative.
«Non c’è nulla di cui vergognarsi nell’essere nervosi» dice la dottoressa. «È naturale, viste le circostanze.»
Ovviamente, quando poi le dico la verità non mi crede.
È la storia della mia vita.
«Fa un po’ paura…» dico con riluttanza, e la prospettiva di una confessione rischia di incrinare la sua espressione imperturbabile. Ottenere la mia confidenza è stato come cavarmi un dente. E vedo bene che la cosa la irrita. Una volta mi ha chiesto di ripercorrere con lei la notte della morte di Mina, e io ho ribaltato il tavolino da caffè. I vetri schizzavano ovunque mentre cercavo di sfuggirle: l’ennesima cosa che ho distrutto in nome di Mina.
La dottoressa mi scruta come se mi volesse leggere dentro. Io ricambio lo sguardo. Può anche indossare la sua maschera da terapeuta, ma io ho quella da tossica. Non la può ignorare, perché sotto sotto, sepolta da tutte le altre cose che sono (sciancata, ferita, spaventata, in lutto), io sono una tossica – e lo sarò sempre. La dottoressa Charles sa che ne sono consapevole. Che l’ho accettato.
È convinta che io stia superando la fase della rabbia esclusivamente grazie a lei. Non è vero: è inutile che cerchi di prendersene il merito.
Così sostengo il suo sguardo. E lei finalmente cede, abbassando gli occhi sulla sua cartellina di pelle. Prende qualche appunto. «Hai fatto progressi incredibili qui al Seaside Wellness, Sophie. Vivere senza droga sarà una sfida, ma sono sicura che con il terapeuta scelto dai tuoi genitori e con la tua forza di volontà ce la farai.»
«Sembra un buon piano.»
Raccoglie i suoi fogli, e proprio quando credo di essermene liberata lascia cadere la bomba: «Prima di scendere, mi piacerebbe che parlassimo ancora un po’. Di Mina».
Solleva lo sguardo su di me, osservando attentamente la mia reazione. Forse si chiede se romperò il suo nuovo tavolino da caffè. (Questa volta è di legno, perché probabilmente ha pensato che le convenisse scegliere un materiale più robusto.)
Non riesco a controllarlo: le labbra si stringono, il cuore mi rimbomba nelle orecchie. Mi sforzo di respirare dal naso come in un esercizio yoga, rilassando la bocca.
Non posso cedere. Non ora che sono così vicina a uscire.
«Mina?» La mia voce è così ferma che mi applaudirei da sola.
«È un po’ che non ne parliamo.» Mi sta ancora guardando. Si aspetta che vada fuori di testa, come ho fatto ogni volta che mi ha forzato a parlare. «Tornare a casa è un grande cambiamento. Affioreranno molti ricordi. Devo assicurarmi che tu sia nello spirito giusto per affrontarli senza…» Si sistema il polsino sinistro.
Questa è un’altra delle sue tattiche. Alla dottoressa Charles piace che io finisca le sue frasi lasciate in sospeso. Che sia io ad ammettere i miei errori e le mie colpe.
«Senza farmi di Oxy.»
Annuisce. «Mina e il suo omicidio sono bombe pronte a esplodere. È importante che tu te ne renda conto. Che tu sia preparata alle sfide che ti potrebbe porre la memoria… e il rimorso.»
Devo sforzarmi per non reagire con violenza. Per non urlare: Ma il suo omicidio non c’entra niente con la droga!
Non servirebbe a niente. Nessuno crederà alla verità. Nessuno crederà a me. Non davanti a tutte le prove che dicono il contrario.
Quello stronzo con il passamontagna si è coperto le spalle – sapeva che non mi sarei mai accorta della droga che mi aveva infilato in tasca di nascosto, non dopo aver sparato a Mina e avermi messo KO. Mia madre ha dovuto ricorrere a tutti i suoi contatti perché fossi ricoverata nella clinica di Seaside a seguire un programma di disintossicazione, evitandomi un arresto per possesso di stupefacenti.
La dottoressa Charles sorride. Un’espressione neutra ma al tempo stesso incoraggiante, un groviglio spaventoso di rossetto rosa.
È il test finale: devo scegliere bene le parole. Sono il mio biglietto d’uscita. Ma è dura, praticamente impossibile impedire alla mia voce di tremare, ai ricordi di riemergere. L’immagine di Mina che ride con me quella mattina, ignara che la sua vita sarebbe finita quel giorno…
«Volevo bene a Mina» dico. Anche se ho provato la battuta migliaia di volte non voglio che sembri recitata. «E dovrò fare i conti con il suo omicidio per tutta la vita. Ma lei vorrebbe che andassi avanti. Vorrebbe che fossi felice. Vorrebbe che restassi pulita. E io lo farò.»
«E cosa mi dici del suo assassino?» chiede la dottoressa. «Ti senti pronta a dire alla polizia quello che sai?»
«Volevo bene a Mina» ripeto, e questa volta la mia voce vacilla. Perché questa volta è la verità, nient’altro che la verità. «E se conoscessi chi le ha sparato, starei urlando il suo nome con tutte le mie forze. Ma portava un passamontagna. Non so chi fosse.»
La dottoressa Charles si appoggia contro lo schienale e mi esamina come se fossi un pesce in una boccia. Devo mordermi il labbro perché smetta di tremare. Cerco di stabilizzare il respiro, come se dovessi stare immobile in una posizione yoga particolarmente difficile.
«Era la mia migliore amica» dico. «Crede che non sappia che ho fatto una cazzata? A volte non dormo chiedendomi se quella notte avrei potuto agire diversamente. Chiedendomi come avrei potuto salvarla. È colpa mia, lo so. Devo solo imparare a conviverci.»
Questa è la verità.
Il rimorso… è reale. Semplicemente non viene da dove la dottoressa Charles immagina.
È colpa mia. Per non averla fermata. Per non averle fatto più domande. Per aver lasciato che si comportasse come se ciò che sapeva fosse qualcosa da tenere segreto. Per averla seguita, come sempre. Per non essere stata più veloce. Per essere stata la storpia che sono, incapace di correre, di lottare e di fare quello che serviva per proteggerla.
«Mi piacerebbe riparlare con l’ispettore James» dico. «Ma lui non mi considera un testimone affidabile.»
«E credi che abbia torto nel pensarlo?» chiede la dottoressa.
«Sta solo facendo il suo lavoro.» La bugia risuona fra noi come un’unghia che stride sul vetro, e le parole mi lacerano la pelle. L’odio che nutro verso l’ispettore James fa ormai parte di me. Se solo mi avesse ascoltata…
Ma non posso pensarci adesso. Devo concentrarmi. L’assassino di Mina è a piede libero. E l’ispettore non lo troverà.
«So che tornare a casa sarà dura. Ma so che lei mi ha dato gli strumenti di cui ho bisogno per affrontare le cose… molto meglio di come le affrontavo prima.»
La dottoressa Charles sorride e un’ondata di sollievo mi travolge. Se la sta bevendo, finalmente. «Sono felice di sentirtelo dire. So che abbiamo avuto un inizio difficile, Sophie. Ma nel corso delle ultime sedute hai dimostrato un atteggiamento molto più positivo. E questo è importante, con tutto quello che ti aspetta. La risalita non sarà facile, e non devi mai smettere di lavorarci.» Controlla l’ora. «I tuoi genitori dovrebbero essere arrivati. Ti accompagno in sala d’attesa?»
«D’accordo.»
Camminiamo in silenzio lungo il corridoio e superiamo una stanza dove è in corso una seduta di terapia di gruppo. Quelle sedie disposte in circolo sono state il mio inferno per gli ultimi tre mesi. Doversi sedere lì e condividere con gente che conoscevo a stento è stato un vero e proprio calvario. Ho passato ogni istante di quegli incontri a mentire.
«Saranno in ritardo» dice la dottoressa Charles quando arriviamo nella sala d’attesa. È deserta.
Oh, sì. In ritardo.
O si è dimenticata del nostro ultimo, tesissimo incontro familiare, o ha davvero troppa fiducia nel prossimo.
Io no.
Motivo per cui mi chiedo se i miei genitori siano effettivamente in ritardo. O se semplicemente non verranno.

2

Tre mesi e mezzo fa (diciassette anni)

«Non chiedermi questo. Mamma, per favore. Non devo andare da nessuna parte, non ce n’è bisogno… sono pulita, te lo giuro.»
«È inutile discuterne, Sophie.» Mia madre chiude di schianto la mia valigia e inizia a scendere le scale con passo deciso. La seguo. Devo tenerle testa. Convincerla.
Qualcuno lo deve fare.
Mio padre ci sta aspettando davanti alla porta. Tiene la giacca sul braccio come se stesse andando al lavoro. «Pronti?» chiede.
«Sì» dice mamma piazzandosi accanto a lui con un gran ticchettio di tacchi.
«No.» Mi fermo ai piedi delle scale, raddrizzo le spalle e incrocio le braccia. La mia gamba ferita comincia a tremare; la delusione mi piomba addosso e mi travolge. «Non ci vado. Non potete costringermi.»
Mio padre sospira e si guarda la punta dei piedi.
«Sali in macchina, Sophie Grace» ordina mia madre.
«Non devo andare da nessuna parte» dico molto lentamente, senza alzare la voce. «Non è stata una ricaduta. Io e Mina non stavamo comprando la roba. Sono pulita. Sono pulita da più di sei mesi. Farò qualunque test mi chiediate.»
«La polizia ha trovato le pastiglie nel tuo giubbotto, Sophie» ribatte papà. Ha la voce roca e gli occhi rossi. Ha pianto. Per me. Per quello che pensa io abbia fatto. «C’erano le tue impronte sulla boccetta. Voi ragazze dovevate essere a casa di Amber, e invece eravate a Booker’s Point. Stavate comprando la droga. Anche se non siete arrivate a prendere quelle pillole, le stavate comprando… non ti sono magicamente apparse in tasca. Seaside è la scelta migliore per te, ora come ora. Tua madre ha dovuto lottare per evitarti un’accusa per droga… lo sai questo, vero?»
Li guardo disperata, prima l’una poi l’altro. Papà distoglie lo sguardo; la faccia di mamma sembra congelata: è in modalità regina di ghiaccio. Niente incrinerà la sua espressione.
Devo provarci.
«Ve l’ho già detto, non erano mie. L’ispettore James non ha capito niente. Non eravamo a Booker’s Point per la droga: Mina doveva incontrare una fonte per via di un articolo. La polizia sta seguendo una falsa pista, non mi vuole credere. Ma ho bisogno che almeno voi mi crediate.»
«Ti rendi conto di quello che stai facendo passare a me e a tuo padre?» mi aggredisce mamma, agitando con forza la valigia. «E alla signora Bishop? Ti importa qualcosa di quello che sta provando? Ha perso il marito, e adesso anche la figlia. Trev non vedrà mai più sua sorella. E tutto perché tu avevi voglia di sballarti» sputa, e io mi sento meno di niente. Un granello di polvere sulla sua scarpa. «Se non vuoi salire su ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Lontano da te
  4. Dedica
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19
  24. 20
  25. 21
  26. 22
  27. 23
  28. 24
  29. 25
  30. 26
  31. 27
  32. 28
  33. 29
  34. 30
  35. 31
  36. 32
  37. 33
  38. 34
  39. 35
  40. 36
  41. 37
  42. 38
  43. 39
  44. 40
  45. 41
  46. 42
  47. 43
  48. 44
  49. 45
  50. 46
  51. 47
  52. 48
  53. 49
  54. 50
  55. 51
  56. 52
  57. 53
  58. 54
  59. 55
  60. 56
  61. 57
  62. 58
  63. 59
  64. 60
  65. 61
  66. 62
  67. 63
  68. 64
  69. 65
  70. 66
  71. Ringraziamenti