
eBook - ePub
Aurora Chen e la banda della pantofola assassina
- 208 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Aurora Chen e la banda della pantofola assassina
Informazioni su questo libro
Milano sarà sempre Milano, ma dopo quarant'anni passati in prigione, i tre vecchietti della Banda del Gasometro non la riconoscono più. Sarà compito di una ragazzina cinese - ma italianissima - aiutarli a riaprire il caso, e guidarli tra un acciacco, una dentiera dispettosa e qualche difficoltà sui social media, alla refurtiva nascosta. Riusciranno, questa volta, a scoprire tutta, ma proprio tutta, la verità?
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Informazioni
Editore
FABBRI EDITORIAnno
2019Print ISBN
9788891581969eBook ISBN
97888659761801
Una questione di nomi
Non è che faccia più una gran differenza, ormai, perdersi o sapersi orientare in città. Soprattutto se la città è Milano e ti chiami Aurora Chen, all’anagrafe Lijuan Anna Chen, nata dodici anni fa al secondo piano dell’ospedale Macedonio Melloni, culla 108, come il numero degli eroi del più famoso romanzo classico cinese, In riva all’acqua, che però a Milano non conosce nessuno. Così come a Milano, ormai, quasi nessuno sa i nomi delle strade, o perché si chiamino così. Tipo via Fiori Chiari, o via Bagutta. Sarà forse perché – a sentire lei – l’ultima vera milanese rimasta a Milano è la signora Frigerio, che abita al quarto piano del palazzo di Aurora. Se hai la fortuna di salire sull’ascensore con la signora Frigerio, può capitare che te lo racconti lei un pezzo di storia della città. E, se non hai fretta, può essere quasi divertente!
Ogni volta che Aurora pensa alla signora Frigerio e al suo cappottino color malva, le labbra le si distendono in un sorriso. E di solito è questo il genere di pensieri tra i quali lascia bighellonare la mente quando le lezioni a scuola diventano troppo noiose. Non diremo il nome della scuola, perché non sarebbe carino, casomai il quartiere: Bovisa. Un posto tutto sommato normale, una miniera di scritte sui muri e di marciapiedi d’asfalto bucherellati dai cavalletti dei motorini.
Aurora, comunque: è del suo nome che stiamo parlando. Ha insistito così tanto per averlo che anche le insegnanti ora la chiamano così. Le sono sempre piaciuti i nomi, fin da piccolissima, quando tormentava i genitori con raffiche di «perché questo si chiama così» e «perché quello cosà», e quei due, arrivati da qualche anno da Hangzhou, che cercavano di risponderle, con una miscela di cinese e italiano ancora non perfetto.
Aurora le è sempre parso un nome bellissimo, non solo per il suo significato, il sole che nasce, il lontano Oriente delle sue radici, ma soprattutto per quelle due vibranti «erre» che lei pronuncia alla perfezione, al contrario di quasi tutta la sua famiglia.
Perché Aurora è brava, niente da dire. Brava, e furba quanto basta. Nessun problema a scuola, mai, nemmeno un piccolo incidente. E soprattutto ha scoperto molto presto il grande segreto: è tutta una questione di aspetto. Se oltre a ottenere buoni voti riesci anche ad apparire calma, seria e affidabile, allora è fatta. Per i professori diventi parte dell’arredamento, è come se non ti vedessero più. E così loro possono concentrarsi sui misfatti degli alunni più «vistosi», come Crinolli che si ribalta con tutto il banco cercando di copiare o Khaddouri che si sveglia di soprassalto grugnendo come un cinghiale.
Aurora no, lei tiene un profilo basso e regolare, affidabile. Anche con i suoi compagni evita di far cavolate ma, tanto per dire, non impedisce a Sara Bortuzzi, alta e ricurva come un lampione, di sporgere il lungo collo per copiare da lei. Ogni benedetto compito in classe!
La sua vita a scuola si svolge, insomma, in modalità stealth. Che significa invisibile agli altri, come ha imparato dal libro d’inglese. E quella parola le è subito piaciuta un sacco, tanto da usarla per il nome del suo personaggio in Showdown, il suo gioco online preferito. In quel mondo di gangster e poliziotti corrotti, lei è Cylla Stealth, un contrabbandiere impossibile da acciuffare.
Quella è la passione più grande di Aurora Chen: i videogiochi.
E ultimamente le piacciono ancora di più, perché ha scoperto che il più geniale designer di videogiochi non è un tipo, ma una tipa, una ragazza bionda di nome Jane McGonigal. Così un giorno è andata alla biblioteca comunale di Dergano a chiedere in prestito il libro che Jane ha scritto sulle ragazze furbe e i videogiochi, e se l’è letto d’un fiato.
Giornata positiva, quella, a parte un fastidioso contrattempo… Il nuovo ragazzo che aiutava in biblioteca aveva tentennato a darle il libro, perché non aveva la tessera con sé. Aurora ne sapeva a memoria il codice e gliel’aveva detto. Macché, quello aveva dovuto chiedere a Gigi, il VERO bibliotecario, se si poteva fare. E intanto l’aveva guardata con quella faccia che diceva “chissà questa qua da dove arriva” e “ci sarà da fidarsi?”.
Per fortuna a quelle domande aveva risposto Gigi, il VERO bibliotecario, scoppiando a ridere. «Ma certo che si può! Scherzi! Non sai chi è lei? È Aurora, lettrice forte, come si dice, anzi, fortissima: si è già letta mezza biblioteca!»
«Ah, ok» aveva risposto il furbone, ma quello sguardo negli occhi gli era rimasto.
«Aurora, ti presento Christian, è appena arrivato.»
Aurora aveva sorriso, con un affilato «grazie di cuore» irto di erre come il suo nome. E Christian era arrossito fin quasi a raggiungere la tonalità fluorescente della copertina del Devoto Oli, il vocabolario appoggiato lì accanto, nello scaffale dei libri di consultazione. Tempo tre settimane e per fortuna Christian il Diffidente era stato trasferito a fare le sue domande cretine in uno dei mille uffici della pubblica amministrazione.
Il libro della McGonigal sui videogiochi, in ogni caso, aveva stregato Aurora, che aveva sventolato sotto il naso dei suoi genitori la sua pagella costellata di 7 e 8 fino a quando si erano decisi a comprarle una PlayStation. Usata, ma sempre meglio del catorcio preistorico che aveva ereditato da suo cugino. Aveva provato Titanfall 2, bello. Aveva provato Fortnite, bellissimo. Ma il grande amore era arrivato solo con Showdown, il gioco dei gangster degli anni ’20.
Showdown è proprio quello di cui stanno parlando Peretti e Garlaschelli, i due spocchioso-fighetti della classe, con i capelli scolpiti, il maglioncino di cachemire e certi pantaloni strettissimi raccomandati da Sbonfiz, l’influencer del momento.
Eccoli lì, appoggiati al muro, nel disperato tentativo di assumere una posa interessante e forse addirittura convinti di esserci riusciti. Aurora li teneva nel radar da un paio di giorni, dopo che aveva carpito alcuni accenni, mezze parole, codici di gioco… Ora si tiene a distanza, vicino al termosifone, con il naso sprofondato in un libro fantasy preso da Gigi il giorno prima, ma in realtà ascolta i discorsi di quei due.
Il Pere e il Garla, maestri del sorrisetto sprezzante.
«Una iena, ti dico…» fa per l’appunto il Garla. «È arrivata nel magazzino dei rifornimenti come se niente fosse. Tipo così, come se stesse solo gironzolando…»
«E tu?»
«E io niente, Pere! Le ho parlato un po’ in chat… Oh, sembrava una newbie, pivella totale ti dico. Allora ho pensato di venderle un po’ di roba inutile a prezzi assurdi…»
«E…?»
«E quella ha fatto entrare tutti i suoi scagnozzi e niente… mi hanno massacrato!»
«Ma massacrato quanto?»
«Sto fuori, a zero, niente vite, niente show-dollars, niente whiskey, niente, hai capito?»
«Che grandissima…»
«Puoi dirlo forte, Pere!»
«Sarà stata una di livello Godfather.»
«Per forza è un Godfather. Solo chi controlla tutto il gioco può fare una cosa del genere.»
«E te lo ricordi come si chiamava?»
«E chi se lo dimentica! Cylla Stealth.»
A quel punto, ovviamente, Aurora potrebbe tossicchiare lievemente per poi dire: “Ah, eri tu quel newbie pivello totale, con quell’assurda cravatta arancione… Come mi dispiaaace!”. Dopotutto ha qualche migliaio di sorrisini sprezzanti di cui vendicarsi. Potrebbe, ma si limita a sorridere, nascosta dietro il suo libro. Le basta così: bel lavoro, Cylla Stealth!
«E tu davvero non gli hai detto niente?» ansima Stefano, schiacciato dalla cartella.
«Non avevo niente da dirgli, Ste.»
«Ma come hai fatto a resistere? Fossi stato io, Cylla Stealth, sarei andato dal Pere e gli avrei detto…»
«Sentiamo. Cosa gli avresti detto?»
Stefano si passa una mano sulla fronte. Suda sempre, quando si muove, per via del triplo strato di maglioncini a cui la madre lo costringe tre stagioni su quattro.
Stanno camminando verso casa di Aurora, al 17bis di via Baldinucci, seguendo il loro itinerario numero tre. Il numero uno di solito lo fanno di lunedì e di giovedì. Il due il martedì e il venerdì. Il tre è quello più lungo, perché bisogna passare nel parcheggio del Bonny Market e poi dai giardini di via Candiani. Il percorso tre è il preferito di Aurora, non solo perché le piace il mercoledì, ma perché lei e Stefano hanno più tempo per parlare.
Stefano Lancini: il suo miglior amico, per non dire l’unico. Il ragazzo più ansioso dell’universo. A scuola porta tutti i giorni tutti i libri, per paura di dimenticarsene uno. Ha qualcosa come tredici diversi caricatori di telefonino, per qualsiasi evenienza. Suo padre installa antifurti e, inspiegabilmente, ha trasmesso la passione al figlio. Sua mamma lo aspetta a casa, sempre e comunque. Quel genere di famiglia, insomma.
Non è chiaro in che modo siano diventati amici: Stefano sostiene che sia successo a scuola, durante un intervallo. Secondo Aurora invece è successo in biblioteca, quando entrambi avevano cercato di prendere in prestito, nello stesso momento, il settimo volume della saga Cuore di Corvo.
«Credevo che questi romanzi non piacessero ai ragazzi» aveva detto Aurora, quel giorno. E Stefano era impallidito, perché in effetti Cuore di Corvo era una di quelle storie, con amori tormentati, vampiri, mummie e, ovviamente, corvi.
«E infatti non mi piacciono» aveva risposto lui, afferrando a casaccio dallo scaffale dei nuovi arrivi Inchiostro di sangue, l’ultimo capolavoro del re dell’horror Dennis Bishop. L’aveva messo sottobraccio, preso in prestito e poi letto, non riuscendo più a dormire per le due settimane successive, il tempo che Aurora aveva impiegato a riportare quel cavolo di Cuore di Corvo.
Vanno nella stessa scuola, ma in sezioni diverse, e vivono ai due lati della stessa strada, Stefano figlio unico e Aurora con tre fratellini (in grado però di fare rumore per trenta). Aurora preferisce stare in casa il meno possibile e Stefano cede volentieri quote della sua solitudine da figlio unico. Quando sono insieme non fanno niente di straordinario: leggono, studiano, schivano i genitori e, finiti i compiti, giocano online o, se la mamma di Stefano si fida a lasciargli attraversare la strada, lui corre nell’ufficio di Aurora per vederla giocare, che è più divertente (perché non c’è sua mamma che continua a entrare in camera a chiedergli delle cose!).
«Be’, gli avrei detto… ah-ah!»
«Ah-ah. Però, ci sai fare con le parole, Ste!»
«Ma no… Avrei iniziato con ah-ah e poi avrei continuato con lo sai chi è Cylla Stealth, quella che ti ha fatto un mazzo così? Sono ioooo!»
«Uhm, e poi che succedeva?» domanda Aurora, camminando spedita. «Probabilmente mi avrebbero preso in giro davanti a tutti, perché non mi credevano. O, peggio ancora, veniva fuori che il loro idolo Sbonfiz in un suo video dice che picchiare le ragazze è cool e loro ne approfittavano per farmi un occhio nero!»
«Questo, in effetti, è possibile» ammette Stefano.
Girano l’angolo dell’isolato. Una lavanderia, un negozio di borse, un fioraio. Ormai sono quasi arrivati.
«E allora gli avrei detto: ragazzi, lo sapete che sta uscendo la versione di Showdown ambientata negli anni ’70? Ce l’avete già?»
«Ci puoi scommettere che ce l’hanno già.»
Ed eccoli arrivati: la vetrina del Jolli, il vecchio baretto del quartiere rilevato dai genitori di Aurora, con le tipiche tendine a mezza altezza che non lasciano vedere dentro. E subito accanto c’è il portoncino del palazzo. Si salutano, Aurora sale le scale, spalanca la porta, ignora il tornado di urla che arriva dalla cucina e marcia veloce in camera sua. Qui posa lo zaino, seleziona un libro e un paio di quaderni, si cambia indossando la divisa del pomeriggio e ripassa in cucina. Saluta sua mamma Jia e l’aiuta a lavare piatti e bicchieri dei fratelli, mentre le racconta cosa ha fatto a scuola – «niente» – poi recupera libro e quaderni sottobraccio e scende nel bar.
Non appena richiude alle sue spalle la porta di casa, Aurora sospira, sollevata.
Silenzio, finalmente.
Il Bar Jolli è tranquillo come sempre. Al banco ci sono un paio di signori che lanciano languide occhiate a una Gazzetta dello Sport ormai stropicciatissima dopo le colazioni del mattino, e intanto sorseggiano il loro caffè. Ai tavoli, quattro o cinque colleghi di lavoro, in pausa pranzo, mangiano sulle tovagliette di carta. La televisione in alto trasmette le ultime notizie del telegiornale. Scorrono i titoli di borsa. Papà è dietro al bancone, dove sono allineati i suoi famosi spuntini di mezzogiorno, che mescolano allegramente Cina e Italia: grande Insalata del Dragone (è la specialità del Jolli), bocconcini di pollo alla Chen con broccoli e riso, frittatine con le erbette.
«Papà!»
«Aurora! Come è andata a scuola?» Le erre di papà assomigliano ancora pericolosamente a delle elle, ma Aurora adora che con lei si sforzi di parlare italiano. Perché sa che lei preferisce così.
«Bene!» risponde.
Si serve un piattino di insalata e pollo, poi fa il giro del bancone e va nello stanzino dove prima che suo papà rilevasse i...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- 1. Una questione di nomi
- 2. Liquori dimenticati
- 3. Via Bovisasca
- 4. Quaranta dì, quaranta nott
- 5. 19 novembre 1979
- 6. Renato preme il grilletto
- 7. Incastrati
- 8. Una ciofeca
- 9. Come in un vecchio poliziesco
- 10. La scatola del destino
- 11. Una lettera dal passato
- 12. Il grande schema delle cose
- 13. Si fa presto a dire Londra
- 14. Il ritorno della Patty
- 15. Colpi di scena prima di cena
- 16. Dalla Bovisa a Notting Hill
- 17. La versione di Barigazzi
- 18. Veduta montana con sorpresa
- 19. Segreti ingialliti
- 20. Briscola a cinque
- 21. Addio, Little Raven
- Epilogo
- Copyright